Coronavirus e Università: perché non se ne parla?
L'UNIVERSITÀ HA RESISTITO ALLA PANDEMIA, MA AL CONTRARIO DELLA SCUOLA, DI LEI NON SI PARLA MAI. QUESTIONE DI IMPORTANZA O DI COMUNICAZIONE?
Nel continuo flusso di informazioni che ci giungono ogni ora, da ogni angolo del globo e da ogni mezzo di comunicazione possibile, è sempre molto difficile trovare delle notizie che leghino la crisi Covid-19 con l’istituzione Università, particolarmente nel nostro Paese. Sono molteplici gli interrogativi emersi a riguardo, soprattutto in un contesto nazionale – sia governativo che mediatico – che si è concentrato molto sulla questione ‘scuola primaria e secondaria’ e sulle problematiche relative al suo funzionamento, dimenticandosi tuttavia di menzionare i disagi delle università.
Nel contesto socio-culturale attuale, permeato dalla crisi post-lockdown, anche l’Università ha risentito dei limiti imposti dal Covid-19, nonostante la poca o quasi nulla considerazione a livello mediatico nazionale. Da marzo in avanti, insieme agli asili, alle scuole di primo e secondo grado, le facoltà e gli atenei sono stati i primi luoghi ad essere oggetto di limitazione e chiusura. Tuttavia, partendo dal primo lockdown e proseguendo nei mesi a successivi, le università italiane non hanno mai smesso di funzionare grazie alle efficaci misure di contenimento, alla didattica a distanza con lo svolgimento degli esami e delle lezioni online, fino alle lauree da remoto.
Istruzione e Coronavirus: perché l’Università resta dietro le quinte?
La logica ci porterebbe a riflettere proprio su questo: considerando il buon funzionamento del modello attuato, perché non parlarne? Nel nostro paese l’Università riveste un ruolo di secondaria importanza? È forse dovuto a uno scarso interesse rispetto alla stragrande maggioranza della popolazione? O magari si è innescato quel meccanismo del ‘fai-da-te’ caratteristico del mondo universitario? L’apparente indipendenza del modello universitario rispetto al resto dell’istruzione scolastica ha probabilmente allontanato l’interesse e i problemi dall’agenda dei media e, di conseguenza, da quella del cittadino, quasi come se non riguardasse tutti da vicino.
Tuttavia, i numeri dicono il contrario. Attualmente in Italia sono circa due milioni gli studenti universitari attivi sul territorio nazionale, di cui circa il 70% tra pendolari e fuorisede. Un numero molto più basso rispetto alla media Europea (circa del 10%), ma relativamente alto per il nostro Paese. Un numero che, nonostante la crisi economica e sanitaria, non ha accennato ad abbassarsi, come invece aveva previsto l’Osservatorio Talents Venture , secondo cui le iscrizioni al nuovo anno accademico 2020/2021 sarebbero calate dell’11%. Al contrario, invece, queste non sono calate, con buone risposte da nord a sud.
Il rodato sistema universitario nazionale, assieme alla politica governativa del laissez faire – che ha dato molta libertà ai singoli rettori – ha probabilmente reso questo ambito uno dei meno colpiti dalla pandemia sia dal punto di vista sanitario che economico. Ad oggi, le università hanno infatti ripreso, esattamente come le scuole di ogni ordine e grado, senza incontrare particolare problemi grazie a un sistema di organizzazione molto flessibile basato sulle esigenze degli studenti. Tutto ciò è passato tuttavia inosservato agli occhi dei più, poiché la maggior parte dei cittadini non ne ha sentito parlare praticamente mai, né in tv, né in radio, né sui social.
Azzolina e Manfredi: questione di importanza o di comunicazione?
Forse sconosciuto agli occhi di molti per la scarsa attrattiva mediatica e per il suo lavoro da dietro le quinte, Gaetano Manfredi è il ministro per la Ricerca e l’Università. A differenza della più discussa e ‘famosa’ ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina, ormai da tempo al centro del dibattito popolare, Manfredi è apparso pochissime volte in televisione e tra le pagine dei quotidiani. Ciò è accaduto sia a causa delle misure adottate dal Governo a proposito dell’Istruzione a discapito di quelle per le Università, sia a livello di organizzazione dell’agenda mediale. Solo nelle ultime settimane abbiamo captato qualche suo intervento attraverso alcune interviste in collegamento tv, come quella su SkyTg24, o su Uno Mattina e attraverso il servizio sulla ripartenza delle Università prodotto da Le Iene su Italia Uno.
Tuttavia, questa istituzione è rimasta sempre in secondo piano: le innumerevoli discussioni nei telegiornali e nei talk-show hanno visto il tema scuola recitare un ruolo da protagonista da molti mesi a questa parte. A fare da riflettente a tutto il focus mediatico è stata la ministra Azzolina, in prima linea nella squadra di governo e molto attiva fin da subito anche sui social con post, foto e video che sono rimbalzati sui device di tutti. Il ruolo ‘secondario’ nella formazione governativa e la minore visibilità (anche sui social) del Ministro Manfredi, non hanno probabilmente aiutato in questo contesto a sensibilizzare la cittadinanza sulla tematica università e sui problemi ad essa connessi.
Covid-19 e Università: l’emergenza in mano ai rettori
La questione sulla gestione delle Università durante tutto il periodo del lockdown – e anche successivo – non ha trovato molto spazio nemmeno nei vari DPCM emanati nel corso dei mesi. A differenza delle enormi misure – economiche e strutturali – del governo indirizzate direttamente alla scuola, le università italiane hanno continuato a vivere e muoversi sì con l’aiuto – seppur minore – dello Stato, ma soprattutto per mano e per testa dei singoli rettori.
Anche l’ultimo atto del Governo, attraverso il neonato DPCM del 18 ottobre 2020 e poi del 24 ottobre, non interviene sulle normative di sicurezza riguardanti l’università e lascia aperte le modalità di intervento ai singoli atenei, con la responsabilità che va a ricadere ancora una volta sulle spalle dei rettori: “Le università predispongono, in base all’andamento del quadro epidemiologico, piani di organizzazione della didattica e delle attività curriculari in presenza e a distanza in funzione delle esigenze formative e tenendo conto dell’evoluzione del quadro pandemico territoriale e delle corrispondenti esigenze di sicurezza sanitaria”. Pertanto, le direttive generali sulla sicurezza sanitaria si spalmano in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, ma ogni ateneo potrà decidere sul proprio funzionamento interno a livello di lezioni e lauree (in presenza o a distanza), di laboratori, tirocini e stage. Dovranno essere quindi in grado da sole di adattarsi agli sviluppi della situazione.
Proseguendo su questo trend, l’università rimane ancora una volta ai margini dell’interesse sociale nazionale, sempre in secondo piano rispetto al mondo dell’istruzione obbligatoria. È vero che l’accessibilità alle due istituzioni è diametralmente differente sia a livello sociale che umano, ma è anche vero che oggi per milioni di giovani, l’università rappresenta il trampolino di lancio per il mondo del lavoro e, di conseguenza, per la carriera e per il futuro nel nostro paese.
A livello ministeriale, tuttavia, sembra si stiano facendo dei passi avanti proprio in questo senso: il ministro Manfredi qualche giorno fa ai microfoni di SkyTg24 ha parlato di un piano molto ampio da mettere in atto con alcuni degli aiuti economici che arriveranno dai fondi del Recovery Fund. Manfredi parla di investimenti indirizzati all’aumento del numero dei laureati e diretti al miglioramento delle competenze degli universitari, al fine di avere in futuro un Paese sempre più competivo a livello europeo.
Ma nonostante la piccola luce in fondo al tunnel che sembra intravedersi per i prossimi anni, la situazione attuale non si presenta comunque rosea. Gli universitari “Sono stati sbattuti in fondo alla catena delle priorità”, commenta in un post Enrico Mentana. L’interesse e l’attenzione per i giovani e per il futuro di essi non sembra essere attualmente una prerogativa della classe dirigente e dell’opinione pubblica. Forse, una maggiore considerazione sul mondo universitario e sul suo relativo andamento – sia in ambito politico sia in ambito comunicativo e mediatico – potrebbe sensibilizzare la popolazione al tema della formazione post scolastica del nostro Paese e magari renderla, in futuro, ai livelli della media europea.
di Eleonora Ciaffoloni
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