Dietro ogni grande uomo, c’è sempre una grande Lea Vergine

CI HA LASCIATI LA CRITICA D'ARTE CHE HA RIPORTATO ALLA LUCE DONNE DIMENTICATE

Foto di Verita Monselles (Fonte: “Il Salotto di Rossana”)

Il 20 Ottobre è venuta a mancare all’età di 82 anni la critica d’arte Lea Vergine. Era risultata positiva al Coronavirus ed era ricoverata al San Raffaele.

“Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna” sosteneva Virginia Woolf.
Lea se n’è andata solo un giorno dopo il suo “grande uomo”, il noto designer Enzo Mari, che fu uno dei maggiori protagonisti del panorama artistico italiano del Novecento ed insegnò anche a Parma. Lea, in verità, fu tutt’altro che una donna “dietro le quinte”: fu rivoluzionaria e fuori dagli schemi, riuscendo a trattare con grande maestria e coraggio anche tematiche molto delicate attraverso le sue opere.

La sua forte personalità spiccò nel panorama della critica, in particolare nel mondo femminile, quel mondo su cui volle puntare i riflettori nella sua mostra ‘L’altra metà dell’avanguardia‘, allestita da Achille Castiglioni e tenutasi a Palazzo Reale a Milano nel 1980. Essa presentava le opere di oltre cento donne artiste appartenenti ai movimenti d’avanguardia d’inizio Novecento, di cui si conosce poco in quanto ingiustamente cancellate dalla storiografia.  Ancora oggi, tale esposizione è considerata di fondamentale importanza per il grande contributo dato in ambito artistico, ma anche e soprattutto per il focus posto sul tema della discriminazione di genere, che rispecchia perfettamente il contesto sociale italiano degli anni Settanta, caratterizzato dai primi veri movimenti femministi.

Esistere sì, ma con un altro nome

Innumerevoli sono le  opere di donne cadute nell’obliodimenticate dal tempo, oggetto di una damnatio memoriae che ha cancellato le loro tracce dalla storia per sempre. Tale trattamento riservato spesso ad artiste brillanti è senza dubbio da ricondurre a pregiudizi, a retaggi culturali sul ruolo sociale della donna,  che la relegavano ad occupazioni considerate prettamente “femminili, da cui erano esclusi l’arte e la cultura: ambiti nei quali gli uomini erano ritenuti nettamente più capaci.

Anne Bradstreet,  autrice del primo testo poetico in assoluto della letteratura americana, nel 1650 dovette quasi giustificarsi per il suo scritto nel prologo della sua raccolta The Tenth Muse: “Gli uomini fanno meglio, e le donne lo sanno bene. La precedenza in ogni cosa è vostra, eppure dateci un piccolo riconoscimento”. 

La maggior parte degli scritti e delle opere artistiche di cui siamo a conoscenza oggidunque, appartengono a uomini. Le donne hanno da sempre  fatto arte, ma per emergere ed essere prese in considerazione spesso sono ricorse all’espediente di fingersi uomini, cambiare il proprio nome, costrette al “suicidio” della loro identità. 

Molte di queste donne hanno lavorato al posto dei mariti, al posto dei fratelli, al posto degli amanti e molte cose che noi vediamo firmate al maschile sono state fatte da loro.” (Lea Vergine) 
È il caso ad esempio delle sorelle Emily e Charlotte Brontë, che utilizzarono pseudonimi maschili (Currer e Ellis Bell) per poter arrivare alla pubblicazione dei loro libri, di Mary Shelley (autrice di “Frankestein”) costretta ad utilizzare il nome del marito, di Louisa May Alcott che firmò “Piccole Donne” con  A.M.Bernard. 
Mfondamentale è anche la relativamente più recente vicenda riguardante l’artista di ritratti Margareth D.H. Keane, le cui prime opere negli anni Sessanta furono vendute, senza il suo consenso, sotto il nome del marito (tale storia è al centro del film “Big Eyes” di Tim Burton). Jane Austen, invece, tentò di rispondere con sarcasmo e raffinatezza agli stereotipi femminili dell’epoca, firmando i suoi romanzi con “A lady”. 

Sebbene 
alcune donne siano riuscite ad emergere ed affermarsi con il loro nome, lo fecero non senza ostacoli, quasi a dover pagare lo scotto per il successo raggiunto. Si pensi ad Elsa Morante, la quale fu la prima donna a vincere il premio Strega, ma fu sempre associata all’immagine e alla popolarità del marito Alberto Moravia.

Non solo nell’arte

Donne nascoste nell’ombra di uomini esistono fin da epoche remote, e non solo in ambito artistico-culturale, ma anche in quello scientifico o nella politica. Un esempio risale all’Impero romano: Agrippina, esclusa dal trono in quanto donna,  riuscì comunque ad esercitare il suo potere dietro le quinte attraverso il figlio, l’imperatore Nerone. Noto e discusso è poi il caso del medico chirurgo inglese James Barry, che si dice fosse in realtà una donna chiamata Margareth Ann Bulkley, fintasi uomo nel Settecento per poter frequentare gli studi e poter esercitare questa professione.  Anche il politico e statista scozzese Murray Hall (1841-1901) era in realtà una donna, e riuscì addirittura a votare, quando ancora questo diritto non era riconosciuto alle donne.

Cos’è cambiato oggi

Oggi senza dubbio molti dei pregiudizi associati al ruolo della donna sono ormai superati Si è tentato di ridare dignità a figure femminili che hanno fatto la storia, scoprendole dal velo dell’oblio. Da Frida Kahlo (rivoluzionaria artista messicana) a Coco Chanel (che, cresciuta in un orfanotrofio, è stata in grado di innovare radicalmente il concetto di stile ed eleganza nella moda), da Marie Curie (brillante scienziata, prima donna a vincere il premio Nobel) a Rita Levi Montalcini e Grazia Deledda (le uniche due donne italiane ad aver ricevuto il premio Nobel, rispettivamente per la Medicina e per la Letteratura).


Eppure non è così lontano il 1997, anno di uscita del primo capitolo della saga di Harry Potter, quando la casa editrice Bloomsbury impose all’autrice lo pseudonimo “J.K. Rowling, temendo che il pubblico degli adolescenti non accettasse particolarmente l’idea che la scrittrice fosse donna. 

E neppure è avulsa dal contesto attuale la vicenda della donna che per affermarsi come manager in ambito lavorativo si finge uomo. No, non è la trama del film “Funny Money”, ma la storia di Paola raccontata da La7, fondatrice di un’agenzia di comunicazione che, accorgendosi di non essere presa sul serio nel suo lavoro dai colleghi, in prevalenza uomini, decide di assumere l’identità di Robert Cutty, riuscendo così a raggiungere gli obiettivi che prima vedeva lontani.

Ci chiediamo dunque: appartengono ormai solo al passato i pregiudizi sul ruolo della donna?

di Francesca Caruso

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