Il Covid ferma il Teatro Regio, ma su 350mila spettatori solo un positivo. Meo: “Abbiamo fatto tutto il possibile”
La direttrice Anna Maria Meo racconta ostacoli e sfide di un teatro chiuso al pubblico.
Sin da questa primavera si era annunciato un secondo picco di contagi da Covid-19 in autunno. Dopo un’ estate nuovamente frenetica, il virus è tornato ma l’occidente sembra impreparato a contenere il contagio e moltissime nazioni sono investite da una ondata paragonabile a quella dello scorso marzo. Tornano le chiusure e tra le attività costrette a girare la chiave vi sono i teatri, che hanno potuto riaprire solo durante la pausa estiva, adeguandosi alle direttive sul distanziamento per svolgere in sicurezza gli spettacoli.
Dimostrando grande resilienza nella città che quest’anno è Capitale Italiana della Cultura, Il Teatro Regio di Parma è riuscito a terminare Festival Verdi 2020 anticipandone le date e svolgendolo all’aperto, presso il Parco ducale. Con il pubblico costretto a rimanere a casa, il teatro è in seguito riuscito a portare in live streaming il Festival Barezzi, svoltosi il 13 e il 14 novembre. Per approfondire l’argomento, abbiamo intervistato la direttrice generale del Teatro Regio Anna Maria Meo, che con prudenza e coraggio affronta problemi che sembrano insormontabili per un settore che, nel 2020, ha potuto aprire neanche 4 mesi a causa della pandemia.
“Noi abbiamo fatto tutto il possibile”
“Marzo fu veramente una ghigliottina e ci ha colti anche abbastanza impreparati”- racconta la direttrice del Teatro Regio, Anna Maria Meo – stavamo provando il Pelléas et Mélisande, il primo allestimento ad andare in scena per Parma capitale 2020 e dall’oggi al domani abbiamo dovuto mandare via gli artisti, chiudere il teatro, siamo scappati lasciando i camerini con i costumi. Siamo andati via perché impreparati ma questa volta non si può dire lo stesso, abbiamo visto e sentito arrivare questo provvedimento e noi abbiamo adottato un principio di prudenza”.
Come tutte le attività alla riapertura anche il Regio si è adeguato alle direttive d’obbligo per garantire il distanziamento del pubblico e lo svolgimento in sicurezza degli spettacoli ma le recenti misure del governo sembrano una soluzione indiscriminata nei riguardi del settore. L’obiettivo del decreto è di “intervenire su attività, ambiti e situazioni suscettibili di favorire, direttamente o indirettamente, fenomeni aggregativi”, spiega il Premier Giuseppe Conte il 29 ottobre in un intervento alla Camera dei Deputati. Inutili perciò gli investimenti per adeguarsi alle direttive. Secondo il Sole 24 ore: “su 347.262 spettatori in 2.782 spettacoli tra lirica, prosa, danza e concerti, con una media di 130 presenze per ciascun evento, nel periodo dal 15 giugno (giorno della riapertura dopo l’isolamento) ad inizio ottobre, si è registrato un solo caso di contagio da Covid 19“, ma essendo luoghi di ritrovo sociale, precisa il premier nel medesimo intervento, si doveva intervenire per “diradare il più possibile i contatti sociali e le interazioni tra le persone“, questo nonostante la veloce circolazione del virus nelle ultime settimane non sia una responsabilità dei luoghi di spettacolo dal vivo.
“Noi abbiamo fatto tutto il possibile, le ragioni per cui i teatri e i musei sono stati chiusi sono legati alla mobilità connessa agli spostamenti per raggiungere i luoghi di spettacolo, perché i teatri sono sicuri e noi abbiamo fatto uno sforzo immane per garantirlo”, sottolinea la Meo. “Con grande pazienza abbiamo adottato i protocolli d’obbligo – continua la direttrice – Abbiamo distanziato il pubblico, adeguato gli spazi del teatro per essere assolutamente in linea con il distanziamento, al Regio abbiamo aggiunto delle barriere in plexiglass che consentissero al pubblico di voltarsi e dire due parole di commento nell’intervallo, abbiamo separato i palchi e formato il personale per garantire un accesso allo spettacolo e uno svuotamento delle sale in sicurezza. Abbiamo fatto tutto quello che potevamo e non so cos’altro potremo fare, quello che servirebbe è che il contesto sia tale da consentire al pubblico di venire”.
Allo spettacolo solo lo 0,027% degli investimenti statali
Le misure del decreto introdotto il 26 ottobre sono un colpo durissimo per i teatri, considerando che uno stato di sofferenza esisteva ben prima dell’emergenza: da decenni il teatro vive in stato di crisi, questo è in parte dovuto al pieno sviluppo della rivoluzione digitale, una concorrenza spietata al settore culturale, in più aggiunge la Meo: “Il nostro settore paga un’atavica inadeguatezza del sistema di welfare, a partire dal disconoscimento del ruolo dei lavoratori dello spettacolo e di quei dividendi non solo economici che restituiamo, perché lo spettacolo è una industria, non un’accolita di simpatici intrattenitori, muove nella società un’economia che è anche immateriale e che in questo momento, a dire il vero, potrebbe addirittura essere più importante dell’indotto che genera e degli occupazionali che garantisce”.
Secondo un articolo di Linkiesta “le imprese culturali in Europa sono 1,2 milioni, il 5 per cento delle imprese totali, escluse quelle finanziarie. Il loro valore economico nel 2016 è stato quasi pari alla produzione alimentare e di poco superiore al settore del commercio automobilistico. Il 15 per cento delle imprese culturali europee, la fetta più ampia del totale, sono italiane e il nostro paese assieme a Francia, Germania, Spagna e Regno Unito nel 2016 ospitava quasi il 60 per cento delle imprese culturali nell’Unione”. Nonostante l’alto potenziale del nostro patrimonio culturale, non partiamo come in altri paesi europei da una spesa consolidata nell’ordine dell’1% sul Pil, secondo un articolo su L’Incontro “l’Italia investe nel Fondo Unico dello Spettacolo lo 0,027% del suo Pil e lo 0,6% in tutta la cultura, quando la Germania arriva allo 0,9%, Francia e Spagna all’1,1%“.
“Parliamo di investimenti pubblici ridicoli, questa è la verità. Bisogna investire di più perché ci restituirebbe interessi in termini di qualità della vita e di qualità della partecipazione democratica che nessun investimento può dare nè oggi nè in passato”, spiega la direttrice Meo. Il Teatro è generalmente percepito come un passatempo mondano, superfluo, così i suoi professionisti e organizzatori non sono adeguatamente valorizzati a partire dal mancato riconoscimento della loro dignità professionale, tecnica e artistica. “La percezione comune spesso li vede come dei doppio-lavoristi, che hanno un lavoro di giorno e poi magari la sera si divertono, sono poco più di intrattenitori”, commenta la Meo. “La questione da prendere in mano è il riconoscimento delle attività culturali come infrastruttura sociale al pari della scuola perché una società che ha cura della sua educazione, della sua arte, della sua cultura, la porta ad essere abitata da cittadini consapevoli, meno manipolabili e più adatti a interpretare un ruolo critico”, conclude la direttrice.
2020: Festival Verdi al parco Ducale, Festival Barezzi a casa
Nonostante i molti ostacoli cui si aggiunge un’insormontabile pandemia, il Regio ha continuato con decisione l’attività teatrale, optando dove possibile per uno svolgimento in forma diversa. Durante l’estate è stato possibile portare all’aperto gli eventi, che nella percezione comune sono luoghi per natura più sicuri in una situazione di contagio. “Non che il luogo chiuso non lo sia, ma bisogna combattere anche il timore”, sottolinea la direttrice. Così si è optato per un allestimento al parco ducale, col palcoscenico sullo sfondo della villa ai giardini, riuscendo a svolgere con successo l’edizione anticipata del Festival Verdi 2020, salvandolo per tempo prima delle restrizioni. La prudenza ha in effetti ripagato: “L’andamento del contagio negli altri paesi già avvertiva di un peggioramento della pandemia, perciò il Teatro Regio ha preferito non pianificare eventi come negli anni passati”, commenta la direttrice. A causa del covid-19 il Regio ha dovuto annullare o cancellare la stagione lirica e concertistica del 2020, il REGIOYOUNG e PARMADANZA, con l’aggravarsi dell’emergenza sanitaria in autunno la direzione si è riservata dal calendarizzare eventi dal vivo per evitare ulteriori cancellazioni.
“Abbiamo però continuato a credere nel Festival Barezzi, una di quelle iniziative a cui teniamo di più, perché vuole aprire il Regio a una platea diversa, un pubblico giovane“, afferma la Meo. Organizzato e prodotto dal Teatro Regio, il festival nasce da un’idea di Giovanni Sparano, che ne segue la direzione artistica, ispirato dalla figura di Antonio Barezzi, mecenate che riconobbe il talento del giovane Giuseppe Verdi sostenendone gli studi.
Come gli anni precedenti, al termine del Festival Verdi, il Regio ha accolto al Barezzi le promesse più brillanti del panorama musicale italiano contemporaneo, un progetto che sperimenta la novità dei giovani con la consapevolezza della tradizione in una speciale edizione interamente in streaming. Ai teatri comunque la scelta obbligata della diretta streaming di uno spettacolo dal vivo è una soluzione innaturale, si richiede la presenza del pubblico per apprezzare pienamente la musica e la performance fisica, la versione sullo schermo da casa è per molti un impoverimento dell’esibizione, nonostante rappresenti una opportunità per il teatro di ampliare la propria visibilità.
Nell’opportunità però si nasconde un problema: la fruizione in rete costringe il settore culturale ad entrare in concorrenza proprio con la rivoluzione digitale che lo ha messo in crisi negli anni, inoltre se si è disposti a comprare un biglietto per uno spettacolo lirico a teatro, non molti farebbero lo stesso per un contenuto diffuso in livestream. “Dopo questa prima ondata di streaming gratuito, nel caso rimanga un percorso obbligato dalla situazione, è importante che si entri in futuro nell’ottica di pagare lo streaming perché pagare vuol dire pagare gli artisti e le maestranze, certo nel migliore dei mondi possibili naturalmente sarebbe bello poter offrire tutto gratuitamente ma non è un bel segnale fornire tutto gratis, perché vuol dire non legittimare adeguatamente intere categorie di lavoratori dello spettacolo”, spiega Anna Maria Meo. “La dimensione digitale personalmente la vedo come una inevitabile dimensione parallela – continua – non credo possa mai sostituire la fruizione di spettacoli e di eventi culturali dal vivo, spero che questo non accada mai”, in ogni caso conclude la direttrice “quando le condizioni pandemiche lo consentiranno dovremo tornare a riempire i teatri“.
“Quando riapriremo venite a teatro perché il teatro è anche vostro”
Nella difficoltà giunge però una buona notizia: a maggio il governo ha prorogato al 2021 la nomina di Parma capitale della cultura italiana, come aveva già anticipato il ministro per la Cultura Dario Franceschini. “Mi chiedo spesso come sarebbe stata la città in questo maggio che era già sold out. Le persone in giro, le mostre, gli spettacoli, gli incontri nel territorio e nei quartieri”, ha commentato l’assessore alla Cultura Michele Guerra. La città attendeva con impazienza l’occasione per essere protagonista di novità ed eventi culturali, ma la pandemia ha sabotato il progetto. Ora Parma può tirare sospiro di sollievo: “Dobbiamo prendere atto che questo prolungamento di Parma capitale della cultura è un occasione in più, non era scontato, e può costituire quel volano per la ripartenza ma sarà molto diverso da quel che avevamo immaginato per il 20″, spiega la Meo. La situazione italiana non consente ancora di intravedere un allentamento delle restrizioni ma, continua la direttrice: “Sin da primavera, quando le condizioni ci permetteranno di muoverci nuovamente in sicurezza, avremo tutti una voglia pazzesca di ricominciare, perché questa condizione di ingabbiati non è naturale per nessuno. Ci auguriamo davvero che Parma capitale 2021 costituisca il primo vero appuntamento di una comunità che nella cultura si riconosce”.
Alla domanda su che cosa perda una società chiudendo gli spazi per fruire l’arte dal vivo, la direttrice del Regio risponde così: “La situazione che stiamo vivendo genera smarrimento, incertezza, sofferenza psicologica. Non tutti sono ben attrezzati alla difficoltà e nel primo lockdown e nel corso della pandemia, alcune categorie hanno visto potenziare le proprie fragilità economiche o psicologiche. Ebbene il consumo di cultura fortifica. All’indomani del finire di questa pandemia – perché finirà prima o poi – il nostro ruolo di settore culturale sarà importantissimo perché dovremo aiutare a uscire da questa depressione, dovremo aiutare la gente a bruciare le tappe del recupero psicologico e sociale, dovremo aiutare tutti a recuperare la fiducia, perché senza sarà molto più dura risalire la china e nessuno di noi si immagina che questo avvenga in pochi mesi”.
di Guido Cocconi
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