“Era la stampa, bellezza!”: informazioni sull’informazione di oggi

UN CICLO DI INCONTRI ONLINE CON IMPORTANTI OSPITI PER RIFLETTERE SUI CAMBIAMENTI E SULLO STATO DEL GIORNALISMO NEL MONDO DI OGGI

Cos’è l’informazione? Cosa è stata, cosa ha rappresentato fino ad oggi e cosa sta diventando? Per ragionare su questi temi si è tenuto un ciclo di incontri online dal titolo ‘Era la stampa, bellezza!’, citazione di Humphrey Bogart nel film ‘L’ultima minaccia’.

Gli incontri, organizzati dal Centro Studi Movimenti di Parma, sono visibili sul loro canale YouTube. Presentati dal ricercatore e giornalista Marco Severo hanno visto la partecipazione di: Milena Gabanelli, Piero Dominici, Stefano Feltri e Carlo Verdelli.

Crisi dei giornali e frammentazione della narrazione

Nel 2006 il settimanale britannico The Economist uscì con il titolo ‘Who killed the newspaper?’: da quel momento si iniziò a parlare della morte del giornalismo, o almeno di quello tradizionale, di una sua crisi di identità.

Milena Gabanelli, ospite del primo incontro del ciclo, nel 2006 lavorava a Report su Rai 3, e secondo lei la professione del giornalista non è stata investita da grandi cambiamenti. Ad essere cambiati sono però i mezzi – si pensi all’arrivo dei social network – e quindi anche il ruolo della notizia: mentre prima era necessario comprare il giornale, ora non si paga più per l’informazione. È cambiata anche la consapevolezza del lettore: “Quando non paghi per il servizio, il prodotto sei tu” afferma Gabanelli. Internet ha reso possibile un’enorme quantità di informazione (anche se diminuiscono i lettori). Ma che tipo di informazione è questa? Se non ci sono gli strumenti adeguati per distinguere le manipolazioni dalla verità siamo di fronte ad un problema, e spesso un lettore medio non dispone di questi strumenti.

Oggi si parla di disintermediazione, ovvero della tendenza a fare a meno di un’istituzione come il giornale, che dà una gerarchia, una struttura, un ordine alla narrazione del reale. La disintermediazione è il rischio di cedere a notizie lette su Facebook o WhatsApp, e ha portato ad una frammentazione del racconto sul mondo: ognuno può così farsi il proprio giornale e costruirsi la propria rappresentazione del reale. “Da sempre tendiamo a scegliere le notizie che più ci colpiscono o più ci riguardano, o a preferire un giornale piuttosto che un altro, costruendoci una gerarchia di notizie, è normale” osserva la giornalista. “Il rischio più grave, però, lo corre chi non ha la capacità di capire quando una notizia è stata manipolata, considerata anche la facilità con cui oggi è possibile inserire qualsiasi informazione senza alcun controllo nei social network”.

Tra le altre cose, come invece fa notare Piero Dominici (sociologo, professore all’Università di Perugia, membro della World Academy of Art and Science e ospite del secondo incontro) questa frammentazione della narrazione del reale genera individualismo: “Crescono le opportunità di connessione, ma spesso non si traducono in possibilità di relazione e di comunicazione, per questo assistiamo a un’egemonia dei valori individualisti” afferma. “Possiamo solo rilevare questo paradosso, ma è pressoché impossibile cercarne le cause: sono in gioco infiniti fattori, e sono tutti cause e causanti gli uni degli altri”.

Le due principali fonti di guadagno per la stampa sono la pubblicità e i lettori, ma oggi entrambe sono diminuite; come tenere insieme queste necessità? Semplicemente, più aumenta una e meno si dipende dall’altra.

Gabanelli ci ricorda che il senso del mestiere del giornalista oggi sta nel non farsi travolgere dall’imperante flusso continuo e disordinato delle informazioni e nel puntare sulla qualità. Però l’abitudine ad avere tutto subito e gratis ha portato una generazione di lettori a pretendere che anche l’informazione debba essere gratuita (nonostante oggi costi già molto poco). Siccome la notizia dovrà pur pagarsi in qualche modo, obiettivo dell’autore è farla leggere il più possibile, ricorrendo anche a qualche “esca”, a qualche strategia per attirare lettori (l’importante è però che non ci sia solo l’esca senza sostanza): “Il numero di lettori – sostiene Gabanelli – è ciò che garantisce la sopravvivenza del giornale.”

Il problema Fake News

In questo flusso continuo di informazioni non fanno fatica ad inserirsi le Fake News. Ma è possibile che, in questa confusione di informazioni, la responsabilità sia addebitabile anche al giornalismo cosiddetto mainstream? Così risponde Gabanelli: “La stampa mainstream ha una tradizione e una reputazione: raccontare falsità significherebbe disonorarle”. Ma, anche se solo negli ultimi anni se ne parla, le fake news sono sempre esistite: prima per diffondersi si servivano dei canali allora disponibili, mentre ora questi canali sono migliaia, quindi è molto più facile crearne e diffonderne. È proprio per questo che sono importanti le reputazioni della testata e della firma.

Gabanelli non si ritiene affatto ottimista per il futuro del giornalismo: certamente oggi abbiamo molti più mezzi con cui poter divulgare l’informazione, però dietro ad ogni articolo c’è sempre un cervello che l’ha pensato (in questo il mestiere del giornalista è rimasto sostanzialmente invariato). Con questa riflessione la giornalista conclude il primo incontro: “Ciò che è essenziale per delle scelte consapevoli, che sono alla base della democrazia, è un’informazione corretta, approfondita, che non abbia paura di spiegare temi complessi; ma oggi sembra che ci si preferisca identificare nella semplificazione, che non risolve nulla. Quello del giornalista è un mestiere che richiede tempo e, dal momento in cui non è pagato e chi usufruisce del suo lavoro pretende sempre più velocità e semplicità, avremo un’informazione (e, di conseguenza, una società) sempre più scadente. Ci si auspica perciò che si sviluppi nei lettori questa consapevolezza.”

L’arrivo dei Social Network

Piero Dominici fa notare che gli strumenti digitali e i social network hanno cambiato e cambiano l’informazione, promuovendo la sintesi di nuovi valori e di nuovi criteri di giudizio, e contribuendo a definire un nuovo ecosistema globale” della comunicazione, che ridefinisce assetti e gerarchie. Nonostante le logiche di dominio e di controllo in atto in questo ecosistema, sono le persone a poter fare ancora la differenza, ma affinché questo possa accadere è necessario rivedere seriamente l’educazione e la formazione. Questo perché la tecnologia ha il potere di cambiare la realtà, la nostra percezione, le identità e le soggettività, ed è in grado di penetrare radicalmente nei nostri modi di conoscere il reale.

“La società iperconnessa – sostiene Dominici – è accompagnata da grandi illusioni: quella della razionalità totale, quella del controllo, quella della misurabilità e quindi della prevedibilità del reale; sono tutte illusioni che l’uomo si porta dietro da sempre e che si sono tradotte in culture organizzative, in modelli educativi e pedagogici: su di esse abbiamo costruito l’architettura complessiva dei saperi e delle competenze.” La grande narrazione a proposito di queste illusioni, promossa anche dagli stessi autori dell’informazione, è che la cultura del digitale portasse con sé il concetto della semplificazione della realtà, che potrebbe riassumere tutte queste illusioni e che, tra le altre cose, può indurre alla già citata disintermediazione.

Ma come possono coesistere l’idea della semplificazione dell’accesso e della narrazione del reale avvenuta col digitale e l’ineludibile complessità del reale (ovvero con la funzione della spiegazione della complessità da parte dei professionisti dell’informazione)? “Durante questa pandemia – risponde il sociologo – si è manifestato, oltre all’inadeguatezza strutturale delle nostre culture organizzative, quanto possa essere dannoso continuare a tenere separato qualcosa che è profondamente unito: di fronte ad una realtà che si mostra profondamente interconnessa e interdipendente in tutti i suoi aspetti, noi (anche per inadeguatezze e vulnerabilità sociali e culturali radicate nelle istituzioni educative) abbiamo dei limiti nel rapportarci alla realtà e nel tentare di conoscerla; ma la tecnologia da questo punto di vista può aiutarci nell’individuare e riconoscere le connessioni e i livelli di correlazione tra i fenomeni e gli eventi.”

Il concetto di semplificazione del linguaggio giornalistico, connaturato alla funzione giornalistica, è peggiorato con l’avvento del giornalismo digitale, ed è ciò che Stefano Feltri, direttore di Domani, cerca di evitare: “C’è un nesso tra la qualità del linguaggio e il processo produttivo che genera il contenuto” afferma. Domani si propone di pensare meno all’immediato e più al futuro: la sua scelta non è la fretta, ma è quella di fermarsi sulle cose e ragionarci in modo più approfondito.

“Tutti i giornali sono delle intelligenze collettive: sono fatti dalla gente che c’è dietro e dalla gente che li legge”, osserva il direttore. Molte testate italiane sono fatte principalmente dalla generazione dei baby boomer, e per loro sono pensate: ne condividono le priorità, i gusti e gli ideali, ed è una generazione essenzialmente conservatrice, che non ha mai messo in discussione i privilegi di cui gode, ma le nuove generazioni hanno altre priorità, altre morali e altri gusti. Domani si propone di dar voce a una sinistra riformista, laica, attenta alle disuguaglianze e alle minoranze.

“Nell’odierna società iperconnessa, con la velocità del digitale – continua Dominici-  e la nuova viralità dell’informazione, che ha portato fuori dalle cerchie ristrette degli esperti temi che prima erano di loro esclusiva fruizione, la percezione e il ruolo dell’opinione pubblica diventano sempre più centrali.”

Il tempo dell’approfondimento

Ma come si può raccontare oggi la complessità del reale? Il giornalista deve avere la capacità di acquisire sufficienti informazioni su argomenti di cui non conosce tutti i dettagli, di coglierne il nucleo informativo e trasmetterlo ai lettori. “Di fronte alla complessità combinata con la velocità – ritiene Feltri – nessun giornalista, almeno oggi, è veramente all’altezza: la figura del giornalista vecchio stampo che padroneggiava i fatti e li sintetizzava in una forma narrativa romanzata si è estinta; oggi non c’è più la pretesa di avere la padronanza assoluta delle cose, ma mettendo in relazione varie prospettive e competenze, anche di esperti, si può costruire un resoconto complessivo, utile ad aumentare la conoscenza: in questo modo quindi si chiede anche al lettore un certo impegno.”

Carlo Verdelli, giornalista, editorialista del Corriere della sera e più volte direttore di importanti quotidiani e settimanali italiani parla della crisi della carta stampata: “L’intero sistema è in crisi: è importante fare un ragionamento a monte, dalle chiusure delle edicole alla scarsa vendita del cartaceo, è impossibile non notare il nesso di causalità. In più, lo spostamento al digitale ha dei prezzi notevolmente ridotti per lo stesso risultato”.

La crescita dell’offerta online ha decisamente cambiato il sistema delle priorità. Ne sono un chiaro esempio i titoli fuorvianti: perché accadono questi “incidenti”? Verdelli mette in luce una dura verità, i tempi sono frenetici e il bacino d’utenza è frenetico: “La massa è itinerante, vuole rapidità e tempestività, vuole aggiornare continuamente l’offerta, non c’è dunque tempo di appurare, verificare e contro verificare la notizia. Il maestro Alberto Ronchey diceva che i giornalisti devono essere malati di psicosi di accertamento. Ad oggi è tutto in movimento, sempre più spesso accade che si aggiustino le notizie man mano che vengono verificate”. 

A questo proposito, non è necessario pubblicare tutto, dice: il cosiddetto oversharing è a discrezione del giornale, ma nessuno pubblica tutto. Il Post è un esempio adatto di chi ha privilegiato la qualità e l’accuratezza nel sistema caotico, ma, continua Verdelli: ” I grandi giornali non penso potrebbero permetterselo, perchè sono dimensioni differenti e per questo hanno funzioni differenti, è un modello troppo rischioso. è come fare un cinema d’essay e fare una multisala: rispettosi entrambi i modelli, però la multisala deve fare multo pubblico mentre il cinema d’essay un pubblico più selezionato”.

Il giornalismo online

Portare il giornalismo online ha stravolto il modello per il quale era previsto un approccio unicamente verticale – in cui il giornalista riportava i fatti, questi potevano piacere al fruitore oppure no, ma non c’era scambio – per uno orizzontale, in cui il pubblico diventa anche interlocutore oltre che fruitore. A questo proposito si è parlato di infoemotion, strumento narrativo che Verdelli predilige: “Il modello britannico, quello dei fatti separati dalle opinioni è molto difficile, le opinioni si intrecciano con i fatti, la notizia ‘nuda’ è un’illusione. Piuttosto, per me, ha più senso dare un’informazione coinvolgente e comprensibile. Con l’ingresso nella società digitale si è creata una nuova modalità. Il fruitore vuole dire la sua, lo rivendica come diritto e il linguaggio emotivo permette di dare un’informazione più accurata e allo stesso tempo coinvolgente”. Ora invece sembra ci sia un sovraccarico di emotività.

Di questi tempi c’è un altro fattore che ha ridimensionato il giornalismo: la pandemia, ricorda Verdelli. Sono cambiate le necessità, se prima ognuno poteva decidere di quale “dieta d’informazione” cibarsi, adesso cercare l’informazione è un gesto che è entrato a far parte degli atti quotidiani necessari. Proprio per questo lui sostiene che, sempre, ma specialmente di questi tempi, il sesto senso di un giornalista debba essere la responsabilità civile, aggiungendo scherzosamente che forse sarebbe necessario un giuramento di Ippocrate anche per coloro che fanno informazione. 

Non è saggio temere una contrapposizione tra social media e giornalismo in quanto si muovono in due campi distinti; “La stampa sarà una traccia importante alla storia della contemporaneità. Il giornalismo però, come contro potere, deve rappresentare l’altra campana. Deve andare a rompere le scatole, non credere alla verità preconfezionate, verificare: è un intermezzo necessario tra notizia e fruitore”.

Negli ultimi anni quindi l’intero mondo del giornalismo è stato travolto, direttamente e indirettamente, da profondi e strutturali cambiamenti. Riscontriamo queste trasformazioni nel ruolo che ha l’informazione nella società, nei mezzi di cui si serve, nel suo prezzo, nelle sue priorità, nel disordinato flusso in cui si trova, nella semplificazione e nella sua crisi.

 

di Nina Petillo e Alessandro Volpari

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