Legge Zan approvata alla Camera, ma c’è ancora molto da fare per la comunità LGBTQ+

Una prima vittoria contro l'omotransfobia, ma non si fermano le polemiche della destra più conservatrice

Lo scorso 5 novembre è stata approvata alla Camera la tanto discussa legge Zan, primo disegno di legge contro discriminazioni e violenze per motivi legati al sesso,  all’identità di genere, all’orientamento sessuale, e alla disabilità. Sono dieci gli articoli che la compongono, nei quali si parla di nuovi reati, istituzione di centri di tutela per le vittime e di una giornata nazionale contro la discriminazione.

Una legge a tutela delle categorie sociali più discriminate, che però non è rimasta esente da critiche politiche. Nel mirino della destra più conservatrice soprattutto gli articoli del testo dedicati alla tutela della comunità LGBTQ, che da anni ormai denuncia la necessità di una legge contro le discriminazioni omotransfobiche. Ad alimentare il dibattito negli ultimi mesi sono state anche le notizie legate alla finta aggressione omofoba inscenata da Marco Ferrero, popolare influencer conosciuto sui social come Iconize, e la video-testimonianza di Camilla Cannoni, infermiera genovese di 23 anni che avrebbe subito intimidazioni e atti di vandalismo dai vicini di casa a causa del proprio orientamento sessuale.

Testimonianze (non) shock: Iconize e il caso Camilla Cannoni

“Quando sei lesbica, in Italia, si comportano così i tuoi vicini di casa omofobi: ti tolgono lo specchietto e ti bucano quattro ruote. Possiamo fare qualcosa, membri della comunità LGBT, per avere dei diritti?”. Questa è una parte del racconto che Camilla Cannoni pubblica sui social, con tanto di riprese alla macchina distrutta. Una testimonianza che è subito diventata virale scatenando forte indignazione tra gli utenti. Non sono mancati però dubbi riguardo alla veridicità delle dichiarazioni della giovane infermiera, la cui versione è stata presto messa in discussione. Come si comprende, infatti, da un articolo pubblicato su Tpi dalla scrittrice e  giornalista Selvaggia Lucarelli, sarebbero numerose le incongruenze all’interno del racconto della Cannoni: “Camilla: “Mi hanno bucato le gomme perché sono lesbica.” Ma i vicini raccontano una storia diversa (che parla di liti condominiali che vanno avanti da anni e cani maltrattati)“.

Anche nel caso dell’aggressione omofoba a Marco Ferrero i dubbi non hanno tardato ad arrivare. In questo caso, tuttavia, la storia è differente: l’Influencer è stato smentito pubblicamente dai suoi stessi amici e colleghi, dopo la condivisione di alcune Instagram stories dove mostra grandi ematomi sul suo volto e dichiara di essere stato vittima di violenze sulla base del suo orientamento sessuale. Queste sono alcune delle sue parole: “Sono uscito con il cane e tre ragazzi mi hanno fermato per chiedermi una sigaretta. Io non ce l’avevo. Uno di loro mi ha urlato fr***o. Io ho risposto, uno di loro si è girato e mi ha dato un pugno“. Dopo giorni di dubbi e supposizioni, è stato lo stesso influencer a confermare quanto detto sulla questione fino a quel momento, pubblicando un ulteriore video in cui si scusa e sottolinea il sostegno per la comunità LGBTQ, ricordando, a sua discolpa, tutto quello che ha fatto di buono contro il bullismo, la violenza e l’omofobia.

“Internet è diventato un po’ una gabbia (…). Non capisco più che cos’è Iconize o chi è Marco, non riesco a capire molto. Se Internet mi ha portato a compiere tale gesto mi faccio due domande (…). Quella che ho fatto è stata una cosa orribile, chiedo scusa a tutti quelli che ho preso in giro”. Finisce così la vicenda di Marco, la quale non ha fatto altro che scatenare un’ondata di odio e critiche nei suoi confronti e in quelli di tutta la comunità LGBTQ, la quale si è poi sentita in dovere di dissociarsi completamente dal folle gesto dell’influencer, riconoscendone però serie problematiche psicologiche alla base.

Risvolti politici e legge Zan

Se nei casi precedentemente esposti sono molti gli elementi che fanno riflettere, è importante sottolineare come il problema legato all’omofobia sia tutt’altro che inesistente nel nostro Paese. Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Agenzia Europea per i diritti fondamentali, infatti, in Italia, il 62 % delle persone LGBT non vive liberamente il proprio orientamento sessuale, mentre il 92% ritiene di non essere sufficientemente tutelato dallo Stato.  Un’analisi più dettagliata dei dati è consultabile in questo articolo de Il post.

Risulta chiaro quindi come denunciare finte aggressioni sui social, utilizzando l’omofobia come pretesto per facili consensi, risulti particolarmente dannoso per la comunità LGBT. Tra i mille tentativi di delegittimazione della legge Zan, spiccano quelli del Senatore leghista Simone Pillon, che ha trovato nella vicenda di Marco, così come in quella di Camilla, un pretesto per mettere in discussione la veridicità del problema omofobia nel nostro paese. Qui sotto i suoi due interventi sulle vicende.

 

Oltre alle parole di Pillon, spiccano quelle pronunciate pubblicamente da Giorgia Meloni, nell’aula di Montecitorio: “Ma siete sicuri che gli omosessuali di questa nazione, non avrebbero voluto vedervi al lavoro per difendere le loro attività piuttosto che su questa roba qui?”. Diversi sono stati i cittadini italiani, appartenenti (e non) alla comunità LGBTQ, ad aver risposto all’Ex ministro per la gioventù con le seguenti parole: Sì, Giorgia. siamo sicuri!”. In pochissimo tempo, questa risposta si è trasformata in una video-campagna realizzata da QUiD-Queer Identities, che ritrae un gruppo di attivisti, scrittori, attori, personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport e blogger, stanchi delle violenze e delle discriminazioni che aleggiano nell’aria ogni qual volta in Italia si ha a che fare col concetto di diversità.

Da Tiziano Ferro a Vladimir Luxuria, nel video ci si unisce per rispondere ai dubbi di Giorgia, ci si unisce per la pace e per la libertà di poter amare e di poter essere chi siamo davvero. “Sì, siamo sicuri. Perché tutta la discriminazione, i calci, i pugni, le spinte, che ho subito da ragazzino non devono succedere ancora, e non devono rimanere impunitidice Tiziano Ferro, indossando una maglia che raffigura il volto di Papa Francesco. Lo segue Luca Paladini, fondatore e portavoce de I Sentinelli di Milano, movimento laico e antifascista, che risponde alla Meloni in questo modo: “Eh sì, Giorgia. Siamo sicuri che c’è gente così strana che trova importante l’idea di poter passeggiare mano nella mano con la propria compagna o con il proprio compagno, e non rischiare di essere picchiato/a e insultato/a”.

Nonostante la propaganda politica contro la legge Zan, quest’ultima è stata approvata Mercoledì 4 Novembre dalla Camera, con scrutinio segreto. Con 265 sì, 193 no, e un solo astenuto, la legge è passata finalmente al Senato, generando un clima di festa all’interno dell’aula di Montecitorio, a cui non sono mancate però anche le proteste.

Contenuti social, tra vittimismo ed approvazione

Ciò nonostante, c’è ancora molto da fare per la comunità LGBTQ. Sappiamo benissimo che non basterà una legge per eliminare o affievolire i continui pregiudizi infondati con cui essa deve convivere, così come non è bastato l’articolo 3 della costituzione ad eliminare il razzismo. Basta però questo senso di sicurezza e di protezione, dato dalla legge, ad alleggerire i cuori dell’Italia arcobaleno, che vive costantemente con la paura di sentirsi sbagliata agli occhi degli altri, tanto da arrivare a compiere gesti azzardati come quello di Marco e, forse, quello di Camilla.

Spesso quando accadono eventi del genere si parla di vittimismo, atteggiamento secondo cui un individuo tende a mostrarsi oppresso e danneggiato da persone e circostanze, in cerca di continua simpatia e approvazione sociale. Sicuramente, la vicenda di Iconize rientra perfettamente nel contesto, ma è davvero giusto includere in questo scenario anche la testimonianza di Camilla? Era davvero in lacrime solo per un po’ di compassione? Sono domande alle quali non potremo mai dare una risposta univoca ed oggettiva. Queste vicende hanno però messo in luce ancora una volta un fenomeno già noto da tempo: chi sui social si mostra vittima di una discriminazione o violenza, anche senza fornire prove concrete, sarà sicuramente ben più ascoltato rispetto a chi cerca di sensibilizzare la società su determinati temi in maniera costante ed argomentata.

In conclusione, è chiaro che la lotta della comunità LGBTQ non è ancora terminata. Tanti sono gli ostacoli da superare, come tanta è la speranza che l’approvazione di una legge risveglia. Non abbiamo la certezza di quello che accadrà in futuro, ma possiamo augurarci di vivere in un’Italia in cui si può essere chi si vuole ed amare liberamente, senza che l’odio ci divida a metà.

di Alessia Capuano e Nuhalia Arfaoui

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