Lu Guang: fotografie da una Cina all’ombra della censura

Le fotografie che hanno incorniciato la Cina più rurale e povera, in un Paese in cui da sempre è difficile trovare spazio di denuncia. Lu Guang lo ha fatto con le sue opere

Tutte le foto: Fiaf FB

Un disperato richiamo giunge dalla Cina sugli schermi della Rai. A portarlo è Emma Tassy, autrice di Snapshot Cina, una serie documentaristica sul sistema sociale cinese dal 2 Novembre in onda su Rai5.

Nell’episodio La ribellione attraverso l’immagine viene raccontata la Cina rurale, sopraffatta dallo sviluppo economico, attraverso gli scatti di Lu Guang, pioniere del fotogiornalismo cinese. Fotografie che hanno il potere di  liberare le voci di una popolazione stremata, in un mondo dimenticato, governato da miseria e ingiustizia.
Da questo una profonda riflessione sul ruolo sociale sempre più marcante della figura professionale del fotoreporter, quasi equivalente a quella di un missionario.

La fotografia diventa così uno strumento di ribellione politica che, nonostante una censura intransigente, continua ad essere espressione di identità e resistenza.

Fotografia in Cina: nascita, sviluppo e successo

La prima volta che si utilizzò la fotografia nell’impero cinese risale alla fine degli anni ’30 del 1800 durante la guerra dell’oppio. Sembra però che già allora la vita dietro la fotocamera non fosse così semplice: fotografi stranieri affiancati dai primi colleghi cinesi, si ingegnavano per immortalare personaggi famosi, paesaggi rurali caratteristici o per offrire scatti legati ai numerosi conflitti che scoppiavano nel Paese. L’obiettivo era tutt’altro che semplice perché l’Impero non permetteva con facilità di riprendere i luoghi della Cina Imperiale: per questo motivo ad oggi non è possibile trovare delle fotografie dell’epoca scattate nelle più importanti siti dell’Impero, come ad esempio la città proibita di Pechino.

Procedendo con gli anni i benestanti incominciarono ad apprezzare questa nuova forma d’arte e dunque iniziarono a farsi immortalare in foto ricordo. La fotografia divenne così uno dei passatempi preferiti delle classi medio-alte. La stessa onorabile Cixi, l’imperatrice vedova, chiese di essere fotografata diverse volte. Agli inizi del Novecento, esattamente come nel resto del mondo, la fotografia divenne anche in Cina un vero e proprio mezzo di divertimento e di intrattenimento: si diffuse sui quotidiani e sulle riviste e venne utilizzata sia per la propaganda politica sia come forma d’arte.

Dopo la Prima guerra mondiale, però, la Cina affrontò diverse rivolte culturali che causarono enormi perdite e stravolgimenti anche per libertà espressiva. Infatti per buona parte del Novecento la Cina venne attraversata da rivolgimenti sociali (dalla rivolta dei Boxer, alla Rivoluzione culturale fino all’avvento della Repubblica Comunista Cinese): questi eventi causarono enormi perdite e distruzione di materiale fotografico.

Le cose iniziarono a cambiare dopo la seconda metà del XX secolo quando la Rivoluzione culturale segna l’intero mondo della fotografia cinese: nel decennio che va dal 1966 al 1976 il governo cinese, sotto la guida coercitiva di Mao Zedong, comprese che le foto potevano essere un potente strumento di propaganda.

Dagli anni Ottanta ci fu una straordinaria espansione della fotografia documentaria e molti fotografi scelsero di lavorare per lo Stato che garantiva loro un impiego sicuro ma dall’altra parte, però, implicava una rinuncia ai diritti d’autore sulle proprie opere. In quell’anno a Pechino si sviluppò l’East Village, che creò una sorta di linea di demarcazione fra un prima e un dopo: a partire dalla nascita di questa comunità di artisti d’avanguardia, che è ormai una vera e propria istituzione culturale nel Paese, la fotografia cinese si installa di diritto fra le arti concettuali non solo in Oriente ma anche in Occidente.

Grazie alla spinta degli artisti de l’East Village, venne creata da la New Photo la prima rivista d’arte concettuale fotografica cinese. Il fondatore era infatti convinto che la fotografia fosse un ottimo mezzo di comunicazione. Sono numerosi i fotografi cinesi che, a partire dalla fine del secolo scorso, si imporranno come artisti-fotografi in tutto il mondo.

Dunque, in questo ultimo decennio, anche il mondo occidentale è rimasto impressionato dall’arte fotografica cinese tanto che anche il mercato fotografico del Sol Levante è visto con maggior interesse. Un nome di spicco è quello di Ai Weiwei, leader della protesta cinese sulla libertà di espressione che, nonostante i problemi che in patria, riesce a vendere le sue opere in tutto il mondo.

Lu Guang e le sue foto da soffocare

Fotografo, giornalista e reporter. Lu Guang è un altro importante esponente della fotografia cinese, vincitore di ben tre World Press Photo Award. Egli racconta e documenta con i suoi lavori ciò che si nasconde dietro all’invadente sviluppo economico cinese.

Le sue prime foto sono realizzate nelle miniere di carbone e nei centri cinesi di disintossicazione. La sua passione per la fotografia, dunque, è nata insieme all’esigenza di denunciare situazioni riguardanti la povertà, il disagio e il malessere cinese. Le serie includono immagini di vita in città minerarie inquinate, storie di tossicodipendenza e il destino degli abitanti dei villaggi cinesi che hanno contratto l’HIV.

Questa tragica diffusione ebbe inizio negli anni Novanta, quando il governo cinese promosse la vendita del sangue nelle campagne per far fronte al sempre minor numero di donazioni da parte dei cittadini e per cercar di alleviare le condizioni di estrema povertà dei contadini pagandoli per il loro sangue.

I villaggi si riempirono di centri di raccolta per il sangue e le stalle si trasformano in ambulatori. Dieci anni dopo molti iniziarono ad ammalarsi e poi a morire: succedeva a chi aveva venduto il sangue, succedeva alla maggior parte degli abitanti di quei villaggi.

Furono proprio gli scatti che avevano per tema la diffusione di questa epidemia di Aids nella provincia dello Henan a portare il fotografo, nel 2003, alla prima grande vittoria del premio. Anche grazie a questo, le sue foto raggiunsero una maggiore celebrità e aprirono in Cina un dibattito pubblico sulla questione delle trasfusioni di sangue.

Nel 2009 vince il premio annuale W. Eugene Smith Grant nella categoria Humanistic Photography per le sue foto sulla situazione ambientale. Fu una vera e propria inchiesta sui principali siti inquinanti in Cina. Lu Guang è stato il primo cinese a vincere tale premio e, ancor più importante, è stato uno dei primi a rappresentare la drammatica situazione ambientale della Cina con una tale forza visiva. Nei suoi scatti non solo si coglie la problematica ambientale, ma emerge anche una forte volontà di denunciare, attraverso volti e sguardi, la tragicità della vita di chi abita e lavora in questi luoghi dimenticati e spesso celati al grande pubblico dai media cinesi.

E’ stata denunciata, a inizio Novembre del 2018, la scomparsa del fotografo: avrebbe dovuto incontrare un amico per partecipare a un evento di beneficenza nella regione di Xinjiang, dove sono detenuti un milione di Uighurs e altre minoranze musulmane.

La moglie Xu Xiaoli è venuta a sapere dopo settimane che Lu era stato arrestato dalla polizia, senza però conoscere i motivi dell’arresto e avere una prova scritta del mandato. Secondo Xu, l’intenzione del marito non era quella di fotografare ciò che stava accadendo nello Xinjiang, ma lo Stato cinese è determinato ad evitare qualsiasi intrusione nei campi dove i musulmani sono rinchiusi per seguire programmi di indottrinamento volti a rompere i loro legami con la religione e a rafforzare la loro fedeltà al Partito. Nel 2019 la moglie Xu ha annunciato che il marito si trovava nuovamente a casa da alcuni mesi.

La storia di Lu è una delle tante che dimostrano come la fotografia possa essere uno degli strumenti più potenti per denunciare: ne sono la dimostrazione i diversi premi che gli sono stati riconosciuti e la sua temporanea scomparsa nella regione dello Xinjiang, che diventa testimonianza di quanto un simile tentativo di far luce su diverse situazioni sia indesiderato da parte dello Stato.

Cina e censura

Il Paese del Sol Levante, di cui si è ampiamente parlato da un anno a questa parte, è considerato ormai da tanti anni una delle potenze mondiali che vanta, tra le tante cose, una sviluppata tecnologia e un impeccabile senso civico da parte dei cittadini. Ma se a tutti sono noti gli aspetti che illuminano il Paese, allo stesso modo non a tutti è chiaro ciò che fa ombra sulla vita dei cittadini cinesi: la censura.

La censura in Cina venne imposta in maniera rigida da Mao Zedong nel 1942 con lo scopo di utilizzarla nella propaganda politica. Finirono sotto il suo mirino tutte le arti visive, dalla pittura al teatro, tra cui la fotografia. Qualsiasi contenuto visivo era controllato e veniva scartato se non metteva in risalto gli aspetti più floridi del Paese e l’immagine che si provava a raggiungere era quella di una Cina prospera priva di problemi.

Tuttavia i problemi c’erano e ci sono, la censura li maschera(va) soltanto come fa un antidolorifico con il dolore e sono pochi i fotografi ad essere tanto coraggiosi da infrangere le regole per offrirci spaccati tragici di vita e denunciare ciò che non va. Si potrebbe affermare che la censura sia diventata uno strumento politico a tutti gli effetti e le immagini della protesta di piazza Tienanmen ne sono un esempio. Sui motori di ricerca cinesi infatti le foto dell’episodio non sono disponibili perché rimpiazzate con quelle turistiche della città. Ma a discapito di tutto ciò, alla fotografia resta comunque un potere molto più nobile di quello della censura, quello di rappresentare la realtà e impedirci di non dimenticare il passato.

 

di Silvia Giordano, Sofia Frati, Elisa Ceruti e Issraa Zorgui

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