Quanto bene fa un sorriso: volontari all’Ospedale dei Bambini
PICCOLI PAZIENTI ALLONTANATI DAL LORO MONDO, GENITORI DAL LORO LAVORO
“Capita talvolta che ti insegni di più un bambino di 9 anni di quanto tu possa trasmettergli con un gioco”. A Noemi, 22 anni, bastano poche parole per spiegare lo spirito che pervade lei e i suoi “colleghi” di Giocamico, associazione che opera da ormai diciasette anni sul territorio di Parma assistendo i bambini dell’Ospedale. Qui il sorriso è di casa. Sì, perché, per ripetere una frase di Maria Teresa di Calcutta, a loro molto cara, “non capiremo mai abbastanza quanto bene è capace di fare un sorriso”. Nella nuova struttura dell’Ospedale dei Bambini ‘Pietro Barilla’, che ha da poco compiuto due anni e che è costata 34 milioni di euro, si svolge l’attività di Giocamico. L’Ospedale vanta, oltre ad un’alta specializzazione delle cure ed elementi tecnologici d’avanguardia, ambienti a misura di bambino, resi più vivibili grazie alla presenza di spazi ludici ed educativi creati appositamente per farlo sentire il più possibile ‘a casa’, se non ‘a scuola’: grandi finestre, colori, tavolini, pareti magnetiche, luci da lettura. Un ambiente ideale, come spiega il presidente dell’associazione Corrado Vecchi: “Diamo la possibilità ai nostri piccoli pazienti di giocare in libertà, offrendo loro un supporto psicopedagogico”.
Ad oggi fanno parte dell’associazione 237 volontari, molti studenti, provenienti da varie parti d’Italia e d’Europa, francesi, spagnoli e tedeschi in testa. Chi fa il volontario da tanto tempo, come Maria Eugenia, 27 anni, vede le proprie motivazioni cambiare nel corso degli anni. Lei stessa è cresciuta da quando è iniziato il suo percorso, dieci anni fa: dall’approccio iniziale da “amico dei bambini” al rivolgere uno sguardo in più al genitore. Noemi è sulla stessa lunghezza d’onda: “Nel corso del tempo capisci le dinamiche che si creano, scopri tante cose, le motivazioni cambiano assieme al tuo percorso”.
L’assistenza di un bambino malato richiede una certa predisposizione e preparazione, non può essere improvvisata, pur trattandosi di ‘gioco’, proprio per questo per diventare volontario si deve seguire un corso di formazione, durante il quale viene spiegato come mantenere i rapporti all’interno dell’ospedale. Oltre a simulazioni riguardanti situazioni che possono verificarsi all’interno della stanza del bambino, l’ultima parte del corso è dedicata anche alla proiezione di un video, su cui scorrono le testimonianze dei volontari con più esperienza: “Sono testimonianze che portano a prendere una decisione più matura e cosciente – spiega Giada, volontaria da circa due mesi -. “Non è detto che tutti i partecipanti diventino volontari. Quando ho partecipato io, eravamo 15 al primo incontro, 9 alla fine”.
NOI PER LORO, NON SOLO PER LUI – Attorno al variegato e complesso mondo del volontariato gravita anche un’altra associazione che si occupa del bambino in ospedale: Noi per Loro, laddove la parola ‘loro’ non riguarda prettamente i bambini, i loro bisogni, le loro realtà, i loro universi, ma anche le loro famiglie, i loro medici ed infermieri. Perché “non tutto del bambino malato è malato”, e tutte le parti cui i medici non sono chiamati ad occuparsi direttamente, continuano ad esserci, lo compongono. Presente sul territorio di Parma dal 1984, lo scorso 17 dicembre Noi per Loro ha festeggiato i suoi trent’ anni di attività, attraverso i quali ha sempre perseguito il suo scopo fino ad’oggi, anche se con strumenti e risorse differenti. La presidente dell’associazione Nella Capretti chiarisce così il concetto base: “Il bambino è al centro, al di là della sua patologia. Bisogna quindi domandarsi che cosa serve al bambino oltre che per curarlo, per farlo star meglio”.
La parola ‘malattia’ ha così molteplici significati: vuol dire “medici e strumenti di diagnosi e di cura, e, se il settore pubblico non arriva a dare risposta, significa anche intervenire direttamente, economicamente, rimborsando le spese per la partecipazione a corsi di aggiornamento o a convegni. Lo stesso avviene con gli strumenti: nei 30 anni di vita abbiamo donato diversi macchinari, ristrutturato reparti e dato il nostro contributo al Nuovo Ospedale dei Bambini”.
‘Malattia‘ per un bambino rinchiuso all’interno di un ospedale significa anche giochi e passatempi, la cosiddetta attività di socializzazione: “I bambini ammalati di tumore o di malattie del sangue sono spesso allontanati dal loro mondo per evitare contagi che più facilmente li possono colpire in quanto resi immuno-depressi dalle cure; ricreiamo quindi – in luogo protetto e con molti accorgimenti – occasioni di incontro con altri amici: feste di carnevale, feste in reparto, gite, feste fuori reparto”.
Per un genitore, ‘malattia’ vuol dire lasciare il lavoro, andando ad incrementare i problemi economici della famiglia. Noi per Loro si occupa anche di questo aspetto: dal 2004, in particolar modo, mettendo a disposizione una casa per chi viene da lontano.
L’associazione ricava i fondi tramite cui gestire le proprie attività dai cittadini, sia attraverso la campagna del 5×1000, sia attraverso quella che loro chiamano la ‘coltivazione dei rapporti’: una serie di persone e di organizzazioni con le quali vengono in contatto e alle quali si rivolgono.
Di iniziativa di Noi per Loro sono poi i calendari con i disegni dei piccoli pazienti e le campagne di sensibilizzazione che consistono nella vendita di uova a Pasqua e di altri prodotti di cioccolato a Natale, o nella vendita dei biglietti della lotteria che nell’ultimo anno ha garantito 32.000 euro. Un’attività importante tanto quanto quella a contatto con i bambini come racconta Maria, 52 anni, collaboratore esperto linguistico di spagnolo: “Mi capita spesso di partecipare ai banchetti, vendendo le uova di pasqua. È la parte che più mi piace, perché li ci si può rendere conto che il proprio lavoro produce qualcosa di positivo. Riesci a conoscere qualche persona in più, in modo più approfondito”.”La risposta dei cittadini è ottima – racconta Silvia, 45 anni e gestore di un centro elaborazione dati -, alcune persone aspettano il periodo dell’anno in cui vengono allestiti i banchetti per contribuire in base alle proprie disponibilità all’attività dell’associazione. I cittadini si affezionano perché sanno dove andranno a finire i soldi della loro offerta”.
Lo zoccolo duro dell’associazione è composto da 25-30 persone, ma i volontari ‘occasionali’ sono molti di più. La formazione qui è variegata: il corso preposto, ‘Io sono volontario‘, si suddivide in più livelli. Durante alcune serate nel corso dell’anno si affrontano vari argomenti: la raccolta fondi e i social network, per citarne un paio. “Nell’ ultimo incontro ci siamo concentrati sulla possibilità di avere un ruolo più concreto all’interno del reparto – prosegue Silvia – in modo da avere una nostra presenza settimanale per farci carico dei problemi delle famiglie, per essere più pronti ad aiutarli”.
di Emanuele Maffi, Francesca Gatti
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