Mamma-atleta? Adesso si può

Nuovi diritti, svolte e testimonianze dal mondo dello sport agonistico femminile

Foto: sito ufficiale FIFPro

Fare un figlio o proseguire la carriera?”
Questo interrogativo, che all’apparenza sembra un crocevia, si è presentato – presto o tardi – nell’arco della vita di molte atlete. Nel corso degli anni questa domanda ha condotto spesso le sportive agoniste a un bivio tra maternità e competizioni, una svolta decisiva unidirezionale che non prevedeva la compresenza di entrambe le dimensioni.

I dibattiti che ancora hanno luogo tra professionismo e dilettantismo, assieme alle questioni legate al superamento delle differenze di genere nel mondo dello sport, recano non poche difficoltà alle atlete ancora oggi.

Tuttavia, nonostante le complicazioni e i vari ostacoli che una gravidanza si porta dietro, sono state diverse le testimonianze di atlete che sono riuscite a conciliare la carriera sportiva con la vita da mamma. Tra queste, ne è esempio l’olimpionica Elisa Di Francisca che dopo la nascita del primo figlio è tornata con successo in pedana, tra i più importanti palcoscenici internazionali. 

Mamma-atleta? Si può, la testimonianza di Elisa Di Francisca

Dopo una carriera alla conquista di medaglie e vittorie, la schermitrice della nazionale italiana si è aggiudicata un ulteriore trofeo con la nascita del primo figlio: “È stata una scelta ponderata, ho conosciuto mio marito nel 2014, ci siamo innamorati siamo andati a vivere insieme. Ho partecipato alle olimpiadi di Rio de Janeiro nel 2016 e in seguito entrambi abbiamo sentito il bisogno di mettere su famiglia e di provare a fare un bambino: nel 2017 è nato Ettore”.

La gravidanza ha portato senz’altro forti cambiamenti nella vita da atleta, ma non è stato un allontanamento lungo e forzato: “Quando sono rimasta incinta pensavo a mio figlio e a nient’altro, ero stanca della scherma, non mi ero fermata per anni e anni, avevo preparato gare importanti. A livello di nervi ero stanca e non pensavo a riiniziare. Poi è nato Ettore, l’ho allattato per un anno e mezzo, ha iniziato il nido e io ho deciso di mettermi in forma e ricominciare a fare anche le gare e rientrare in nazionale”.

I momenti successivi al parto e le implicazioni che si porta dietro un neonato potevano far pensare a un ritiro: “All’inizio ho pensato: le olimpiadi le ho fatte, ora basta, voglio pensare a mettere su famiglia, perché quando fai un figlio poi ci devi stare. Però poi piano piano ho considerato alcune cose: ci sono stata nei primi anni di vita – gli anni fondamentali – quelli dell’allattamento e ho visto che rispondeva bene e che aveva tutta la serenità del mondo. Con Ettore non ho mai avuto problemi e lui non è mancato niente, anzi, ha viaggiato tanto, ha visto paesi diversi, conosciuto popoli diversi, lingue diverse, cibi diversi ed è stato molto importante per lui”.

Dal profilo Instagram Elisa Di Francisca @tuttaelisa

Poi la consapevolezza di essere una mamma-atleta ha cominciato a prendere piede: “È stato difficile, perché era difficile l’organizzazione. Ettore ha preso quasi 26 aerei, è venuto con me ai ritiri, alle gare, poi andava al nido, ma c’erano i nonni, il papà, gli zii. È stato faticoso dal punto di vista organizzativo, ma bellissimo, stupendo, mi ha dato una carica in più. Averlo con me, riuscire a non togliere del tempo a lui e allo steso tempo allenarmi e fare le gare è stato bello, entusiasmante. Ho vinto la prima gara e poi mi sono qualificata anche per le Olimpiadi di Tokyio 2020 che speravo di fare”.

E a quasi due anni dal parto è stato possibile il ritorno in pedana: “Si può fare, assolutamente. Se si vuole ci si riesce, una donna ce la può fare” afferma la Di Francisca. Conciliare le due dimensioni di atleta e madre è quindi possibile, ma non facile: “Le difficoltà sono venute dopo: finché è piccolo lo porti dappertutto, ma quando ha compiuto due anni ha iniziato ad avere bisogni diversi, una routine, la scuola. Allora ho iniziato a lasciarlo un po’ a casa: lì sono iniziate le difficoltà perché mi sentivo in colpa, mi dispiaceva. Sapevo che stavo lavorando, ma non è un lavoro come gli altri: andavo ai ritiri, stavo fuori 5 giorni, gare fuori, fusi orario e iniziava a pesare lasciarlo a casa. È stata quella la difficoltà maggiore da mamma: sì poteva fare, ovvio, ma dispiaceva a me”.

Oggi con il suo blog “Mammatleta aiuta le donne che cercano risposte sul mondo dello sport e della maternità: “Per chi li desidera, consiglio sempre di fare i bambini. Uno all’inizio si fa mille remore, ha paura e altre cose, ma un figlio è un senso. Per chi vuole un figlio dico di non farsi tanti problemi perché poi dopo si riesce a far tutto. Ci vuole solo organizzazione e qualche aiuto, ovviamente, ma ci si riesce e quando succede è ancora più bello, perché dai a tuo figlio un bell’esempio: di una mamma che lavora, che è forte e che riesce a fare tante cose“.

Gravidanza, Sport e Diritti: dai contributi al congedo maternità

Sacrifici, lavoro e passione aiutano ad andare avanti, ma a volte non bastano: tocca ai diritti fare la loro parte. Dal 2019 lo Stato italiano ha stanziato un fondo unico a sostegno del potenziamento del movimento sportivo, con iniziative a sostegno della maternità delle atlete non professioniste. Il decreto del 26 febbraio 2019 ha sancito la cifra di tre milioni di euro totali, che suddivisi per il triennio per il 2019-2021, sono destinati alle mamme sportive che esercitano l’attività agonistica e a quelle partecipanti a campionati nazionali o internazionali riconosciuti dalle varie federazioni. 

Il Ministero dello Sport ha scelto la pallavolista – e mamma – Eleonora Lo Bianco come volto dello spot Mamme campionesse, con la campagna che vuole “Favorire la promozione della cultura di conciliazione tra sport e maternità”. La richiesta per il sostegno maternità può essere fatta attraverso il sito del Dipartimento dello Sport, che fornisce linee guida e modulistica per favorire l’accesso al contributo maternità fino a un massimo di dieci mensilità di mille euro ciascuna. 

Tuttavia, la novità a sostegno delle atlete non professioniste è arrivata pochi giorni fa dal mondo del calcio femminile. Si tratta di una vera e propria svolta che, sviluppatasi all’interno del percorso intrapreso dalla Federazione, vede al traguardo il raggiungimento del professionismo nel calcio femminile (auspicabile) nel 2022.

Dal 19 novembre scorso la FIFA, con la collaborazione di FIFPro (Federazione Internazionale dei calciatori professionisti) e in accordo con i sindacati dei calciatori, ha stabilito nuove tutele in favore delle calciatrici, con specifiche norme riguardanti l’ambito della maternità. Dal primo gennaio 2021 tutte le società dei campionati femminili riconosciuti dalla FIFA dovranno assicurare a tutte le donne il diritto alla gravidanza durante la carriera sportiva.

Con la normativa emanata da FIFA e FIFPro verrà garantito un congedo di maternità pari a 14 settimane (di cui almeno otto a seguito del parto), durante il quale è previsto il pagamento di un indennizzo corrispondente ad almeno due terzi del compenso contrattuale stabilito in precedenza. Inoltre, le giocatrici avranno il diritto di rimanere tesserate con la propria società durante il periodo di congedo e, in caso di rescissione consensuale con la società di appartenenza, avranno poi il diritto di poter essere ricontrattualizzate con un altro club anche lontano dal periodo di mercato.

Oltre a ciò, se la società dovesse decidere di rescindere il contratto durante il periodo di congedo, le queste dovranno motivare il licenziamento in maniera valida e dettagliata, dimostrando la non correlazione alla maternità e, in caso contrario, dovranno risarcire la giocatrice con sei mensilità in aggiunta al valore residuo del contratto. Infine, è stato stabilito che sarà piena libertà della calciatrice decidere se continuare a giocare dopo il periodo di stop oppure no, a condizione che la propria condizione di salute – valutata indipendentemente – glielo permetta.

La direzione presa verso maggiori tutele – sia da parte del nostro Paese, sia dalle organizzazioni internazionali per lo sport – sembra essere quella giusta. È vero che il panorama dei diritti per le donne del calcio aspira a essere molto più ampio, ma questa prima apertura potrebbe segnare l’inizio di un percorso destinato a salvaguardare non solo la questione maternità, ma anche quella lavorativa, con maggiore protezione occupazionale per le donne.

di Eleonora Ciaffoloni

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