Antonio Battei: “Non è il mestiere che ti qualifica ma è come lo fai”

UNA PASSIONE CHE SI TRAMANDA DAL 1870

Antonio Battei Un mestiere affascinante e romantico. Chi meglio di Antonio Battei può raccontare come negli anni è cambiata la figura dell’editore? Chi altro a Parma può raccontare di una famiglia che ha costituito una parte significativa nella tradizione libraria della città, dal 1870 ad oggi? L’attività editoriale tramandata da padre in figlio ebbe inizio con Giovanni Battei, rilegatore della corte ducale di Maria Luigia, passando per il figlio Antonio, che aprì una libreria in Borgo Giambattista Fornovo, seguito da Luigi, il quale poi decise di lasciare la bottega paterna per gestirne una tutta sua, in via Cavour. Dopo di lui, nonno Antonio, papà Angelo ed infine lui, Antonio Battei, oggi titolare dell’omonima casa editrice.

Quali sono secondo lei le peculiarità della figura dell’editore?

“Un editore deve essere sensibile ed amare il bello, da buon esteta. Deve avere cultura e mostrare un profondo piacere per la lettura, perché quando ci si trova davanti un manoscritto bisogna leggerlo con molta attenzione. Il lettore acquista e legge il prodotto finito, ma non ha idea di quanto lavoro quest’ultimo comporti. E poi, è un mestiere che deve compiere delle scelte, non tutto può essere pubblicato: in passato, su cento poesie ne pubblicavo magari solo una che non fosse banale e che mostrasse qualità”.

Nel passaggio dalle piccole alle grandi case editrici si è assunto un punto di vista sempre più imprenditoriale: cosa pensa di questo cambio di direzione?

“Con questo passaggio i libri sono diventati oggetto di consumo immediato. Alcuni testi che vengono pubblicati a dicembre, ad esempio, a gennaio sono già resi e questa velocità deriva dal fatto che spesso si tratta di libri che lasciano ben poco. Personalmente penso che bisognerebbe puntare un po’ di più sulle fiere librarie, che si prestano come ottime vetrine e trampolini di lancio per autori inediti. Chi ha puntato molto sui giovani scrittori in passato è stato Giulio Einaudi, che nella maggior parte dei casi ha pubblicato per il semplice gusto della scoperta; così facendo, ha avuto fiuto su autori inimmaginabili come Cesare Pavese, che da traduttore è diventato il grande personaggio che tutti noi oggi conosciamo. Seguendo ragionamenti prettamente economici, attualmente si preferisce invece evitare la scoperta e orientarsi verso prodotti già preconfezionati, e tutto questo porta ad un lavoro basato su poca cultura e molta economia”.

Alcune librerie utilizzano i loro locali per ‘mercificare’ il libro, puntando cioè più alla creazione di un luogo di attrazione (introducendo bar e ristoranti) dove si può anche (ma non solo) acquistare un libro. Ritiene che così facendo si privi il libro del suo vero significato?

“Ricordo ancora quando si aggirava tra gli scaffali della libreria Battei Giangiacomo Feltrinelli, un uomo silenzioso che si metteva in un angolo a studiare e leggere dei libri; ecco, la libreria secondo me è un luogo di meditazione, di tranquillità. Se oggi si entra, per esempio, all’interno della libreria Feltrinelli non si trova neanche un attimo di privacy e il baccano e il frastuono non aiutano a compiere una giusta scelta. Tutto tende a consumarsi subito, così come accade per i rapporti interpersonali: si accendono e si spengono con una velocità allucinante. A me piace andare più volte nello stesso posto per scegliere, per toccare, per fiutare un libro, per lasciarlo lì e poi magari tornare a prenderlo. Il libro deve essere considerato come un oggetto prezioso, e non perché costi trecento euro e non tre, ma perché fatto su misura per te”.

Le case editrici come la Battei (locale e tradizionale) in cosa differiscono principalmente da quelle nazionali?

“A Parma non si diventa Mondadori. L’errore di Luigi Battei, il mio bisnonno, è stato a mio parere quello di non trasferirsi a Milano o a Bologna; ricordo infatti che quando venne a Parma Arnoldo Mondadori negli anni ‘60 mi presentai pensando che non mi conoscesse, invece mi disse che conosceva benissimo il mio bisnonno Luigi perché fino al 1917 erano stati entrambi editori a livello nazionale. Poi tutto è cambiato. I libri Battei partono e restano a Parma. Fino a cinque anni fa, prima dello scoppio della crisi, abbiamo venduto migliaia di libri a Parma e nel suo territorio, ed è anche vero che tuttora mandiamo testi in tutta Italia, ma si tratta di un numero talmente esiguo di copie che non si può certamente parlare di distribuzione e vendita nazionali. Il consumo veloce di un libro richiede un budget destinato alla pubblicità talmente tanto alto che difficilmente ci si può affermare in tutta Italia”.

Quali sono le collaborazioni che ricorda particolarmente e da dove nasce quella con l’Università di Parma?

“In tutti questi anni le collaborazioni sono state numerose: in primis con i poeti dialettali, attraverso la collana ‘Musa Dialettale Parmense’; con Eugenio Tessoni, Giuseppe Banchetti, Alessandro Bosi; e ancora, con i fotografi e gli storici più importanti di Parma. Per quanto riguarda l’Università invece è stato inizialmente mio padre a creare una collana su misura in collaborazione con la Facoltà di Giurisprudenza, ma pubblicava sporadicamente. In seguito, quando io stesso ho cominciato a frequentare l’Università per mio piacere e diletto, ho incontrato persone come Alessandro Bosi e Sergio Manghi, siamo diventati amici e, partendo dal concetto di interculturalità, abbiamo deciso di dar vita ad una solida collaborazione. Il primo frutto di questa unione è stato ‘Città di culture’. In generale, se e quando ho deciso di non pubblicare alcuni testi su Parma è stato perché non volevo proprio pubblicarli e non li avrei mai pubblicati”.

Stiamo assistendo ad una crescente affermazione dell’e-book: la conseguenza sarà la morte del libro cartaceo?

“Ritengo che il problema di fondo non sia l’e-book ma il fatto che l’italiano medio non legga. Basti pensare che detiene il record di maggior consumatore di ore televisive in Europa. L’e-book si rivela interessante perché permette di acquistare i testi più velocemente e ad un prezzo più basso, dato che un libro cartaceo costa intorno ai venti euro mentre un testo scaricato su Kindle può costarne anche due o tre. Detto questo resto comunque dell’idea che niente sarà mai paragonabile al piacere di sfogliare un libro, un piacere riservato sempre a meno persone ma che non morirà mai”.

Ancora oggi molti ragazzi vorrebbero entrare a far parte del mondo dell’editoria. Che consiglio si sente di dare ad un aspirante editore?

“Un aspirante editore dovrebbe rivolgersi a me. Non perché sia chissà chi, ma perché sarei capace di parlargli con il cuore, con la passione ma anche con estrema sincerità: le cose stanno così e non si possono cambiare, la realtà è questa ed è molto dura da accettare e da affrontare, però si possono ancora trovare delle alternative. E soprattutto, bisogna ricordare ai ragazzi una cosa importantissima: non è il mestiere che ti qualifica, ma è come lo fai. Sempre”.

 

di Carlotta Falcone, Marica Musumarra

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