La deriva dei diritti umani in Bielorussia

Nel Paese dell'Est Europa, i cittadini chiedono libere elezioni democratiche e le dimissioni del dittatore Lukašėnka. Una testimonianza diretta racconta le proteste in Bielorussia

 

Bielorussia proteste

Bielorussia, elezioni presidenziali, 2020, proteste nelle maggiori città bielorusse.

Ancora oggi, a distanza di oltre 3 mesi dalla fine delle elezioni presidenziali bielorusse, la situazione è rimasta la medesima. Le principali città del Paese continuano ad essere cariche di manifestanti che chiedono elezioni democratiche e che si oppongono al presidente Aljaksandr Lukašėnka, in carica dal 20 luglio 1994.

Le proteste sono state più volte represse con la violenza, che ha portato ad almeno 5 morti, centinaia di feriti, 50 persone scomparse e testimonianze di abusi sessuali e torture.

La presidenza di Aljaksandr Lukašėnka

Aleksandr Lukashenko

Dalla pagina Instagram alexandr__lukashenko

Il suo primo mandato presidenziale è datato al luglio 1994, dopo un periodo da parlamentare in cui fu l’unico ad opporsi allo scioglimento dell’Unione Sovietica.

Assunta la carica di presidente,  lavorò al rafforzamento dei legami tra la Bielorussia e la Russia e nel 1996 fece approvare una nuova Costituzione che gli conferiva nuovi poteri, come il diritto di prolungare il proprio mandato, di governare per decreto e di nominare un terzo della camera alta del Parlamento.

Da sempre Lukašėnka ha portato avanti una politica fondata su un grande autoritarismo, riuscendo a tenere a bada i media e isolando la Bielorussia dagli altri Paesi europei. Inoltre, sotto il suo governo gli oppositori sono stati sempre arrestati.

Le elezioni presidenziali del 2020 

Svetlana Tikhanovskaja

Dal profilo Facebook Светлана Тихановская

Domenica 9 agosto si sono tenute le nuove elezioni presidenziali e i due candidati in corsa Svjatlana Cichanóŭskaja  e Aljaksandr Lukašėnka si sono sfidati in un acceso duello.

Fin dai mesi prima delle elezioni, la Bielorussia si trovava in un clima tutt’altro che pacifico. I principali oppositori politici erano stati arrestati già mesi prima, e nei giorni successivi alle elezioni ci sono stati ulteriori arresti. In una dichiarazione, l’ex Segretario per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Condoleeza Rice, ha definito il presidente bielorusso “l’ultimo dittatore d’Europa”, ed è così che viene considerato dalla maggior parte dei Paesi dopo il risultato delle odierne elezioni.

Svjatlana Cichanóŭskaja, moglie di Sjarhej Cichanoŭskij, blogger e youtuber bielorusso, considerato uno dei principali oppositori di Lukašėnka, ha deciso di candidarsi proprio per il marito, che ha subito due arresti con l’accusa di turbamento dell’ordine pubblico. Il piano politico della Cichanóŭskaja era quello di essere eletta e di indire nuove elezioni libere entro sei mesi, con il grande obiettivo di mettere un punto alla dittatura.

Il presidente non ha però preso bene la candidatura della Cichanóŭskaja e, secondo quanto riportato dal magazine digitale “European Affairs”,  avrebbe giudicato inadatta per una donna, quella carica. “La nostra costituzione non è fatta per una donna e la società non è abbastanza matura perché una donna diventi presidente”.

Comunicati i risultati delle elezioni – 80% di Lukašėnka contro l’8% di Cichanóŭskaja – il popolo ha cominciato a protestare nelle principali città del Paese.

Secondo quanto affermato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale, il viceministro dell’interno bielorusso Gennady Kazakevich ha minacciato i manifestanti, affermando: “Non lasceremo le strade. Gli agenti delle forze dell’ordine e le truppe speciali useranno equipaggiamento antisommossa e armi letali se necessario”.

L’oppositrice Cichanóŭskaja è stata costretta a rifugiarsi in Lituania, dove ha richiesto asilo politico per un anno. Proprio grazie al suo impegno, il Parlamento europeo le ha assegnato il premio Sakharov per la libertà di pensiero.

Importante è stato anche l’impegno di Maria Kolesnikova, musicista bielorussa considerata scomoda per la dittatura di Lukašėnka. Il 7 settembre 2020 la Kolesnikova è stata arrestata, o meglio, rapita dagli agenti del Kgb con l’intento di trascinarla al di fuori del confine bielorusso, verso quello ucraino. L’attivista, per restare in Bielorussia, ha però stracciato il suo passaporto e oggi è in attesa di un processo, detenuta ormai da quasi tre mesi in una cella d’isolamento. L’accusa è quella di aver minacciato la sicurezza nazionale del Paese.

Conseguenza delle elezioni e la reazione dell’Europa

Bielorussia manifestazioni

L’Europa ha fin da subito minacciato provvedimenti contro lo svolgimento irregolare delle elezioni in Bielorussia: il Consiglio Europeo ha dichiarato che Lukašėnka dal 9 novembre  – data che segna la fine del suo mandato politico – non sarebbe stato più riconosciuto come presidente della Bielorussia.

Secondo quanto sostenuto dal Segretariato generale del Consiglio, l’Europa “Ha aggiunto 15 membri delle autorità bielorusse, tra cui Aljaksandr Lukašėnka e suo figlio – nonché consigliere per la sicurezza nazionale – Viktor Lukašėnka, all’elenco delle persone soggette a sanzioni”.

Tra i provvedimenti del Consiglio Europeo vi sono anche le misure restrittive attuate verso coloro che sono stati considerati responsabili di repressioni violente contro manifestanti pacifici. Le restrizioni, imposte lo scorso 2 ottobre, comprendono il divieto di transito o entrata nei Paesi dell’UE e il congelamento dei beni dei presunti responsabili.

La nostra intervista a Polina

Bielorussia Proteste 2

Polina, 33 anni, è un’avvocatessa e giurista bielorussa, che ora vive a Parma. Molti suoi colleghi sono rimasti in Bielorussia e hanno partecipato alle procedure preelettorali per conto della Cichanóŭskaja, in qualità di avvocati.

Ci sono stati molti ostacoli che spesso non le hanno consentito di lavorare con i propri colleghi, “venivano chiusi gli uffici, venivano confiscati i documenti”, racconta con la sua testimonianza diretta, rivelando come la campagna elettorale della Cichanóŭskaja sia stata ostacolata in tanti modi.

Una volta arrivato l’esito dei risultati, però, la popolazione bielorussa ha deciso di non restare più in silenzio. Qualcosa andava assolutamente fatto. Le percentuali di vittoria di Lukašėnka erano “impossibili da credere”, anche perché molte persone vivono all’estero e altrettante non votano. Di conseguenza, una percentuale così schiacciante “Non può essere considerata veritiera”.

Le proteste, sempre pacifiche, sono cominciate perché i sostenitori dell’opposizione di Lukašėnka hanno richiesto degli elenchi, mai arrivati, per verificare la validità delle elezioni. La risposta del Governo è stata la violenza. “Molte persone, tra cui molti miei amici, sono stati arrestati ed imprigionati per 15 giorni o più, alcuni addirittura sono scomparsi.”

Le rivolte durano ormai da oltre 3 mesi, ma la gente non può smettere di manifestare, perché “Qualora lo facesse, Lukašėnka si vendicherebbe contro chiunque si fosse opposto alla sua presidenza, chiudendo conti bancari, pignorando case e facendo multe. Proprio per questo, ogni domenica le persone scendono in strada per manifestare”.

Inoltre, Polina ci racconta della costruzione di una prigione in tempi record: “In Cina è stato costruito un ospedale per Covid in tempi record, mentre negli stessi tempi in Bielorussia è stato costruito un carcere nei pressi di Minsk”.

Ciò che oggi i manifestanti bielorussi chiedono è un appoggio da parte dell’Europa, che in questo periodo è assente. La Bielorussia è un paese piccolo e risente molto dell’influenza della Russia, che in questo momento più che mai è vicina a Lukašėnka. Quindi i manifestanti si trovano soli contro una minaccia più grande di loro. “Si ha paura ad uscire di casa dopo le 18-19 perché si può essere arrestati anche senza alcun motivo”.

 

di Simone Mazzella, Vanessa Boilini e Susanna Coppola

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