Sui passi di Diego Armando Maradona

La morte di Diego Armando Maradona ha colpito tutto il mondo sportivo. Se sul campo era Dio, al di fuori dello stadio era un'anima fragile con sulle spalle il peso di un'intera nazione.

“Oh mama mama mama, Oh mama mama mama, Sai perché mi batte il Corazon, Ho visto Maradona, Ho visto Maradona, Oh mama inamorato sono”. Così cantavano i tifosi napoletani a quello che era per molti, se non per tutti, il Dio del Calcio, il più grande di tutti i tempi, Diego Armando Maradona. Il 25 novembre, solo pochi giorno dopo l’operazione al cervello, il forte cuore del Pibe de Oro ha cessato di battere. E con il suo anche quello del mondo calcistico.

Due campioni distanti solo 30 km

Diego Armando Maradona nasce il 30 ottobre 1960, una domenica neanche a dirlo, da papà Chitoro e mamma Tota in un poverissimo quartiere di Villa Fiorito, dove le case non erano altro che baracche di mattoni, con sole due camere, una per i genitori e l’altra per i figli, prive sia di acqua che di corrente elettrica. A 30 km di distanza, a Fuerte Apache, è nato un altro campione del calcio argentino, Carlos Tevez, che certamente non ha lasciato il segno quanto El Pibe, ma la sua carriera lo ha visto protagonista di importanti titoli e coppe nelle squadre di Manchester United, City, Juventus e ora nel Boca Juniors, squadra in cui ha militato lo stesso Maradona.

Oltre ad avere in comune la nazionalità e la squadra, anche Tevez ha dovuto affrontare un’infanzia difficile, forse molto di più: una madre che lo ha abbandonato sette mesi dopo la nascita, per poi rivendicarne la proprietà, un padre ucciso prima ancora di venire al mondo, e due zii che sono stati in grado di fornirgli una buona educazione in un quartiere dove droga, sparatorie e degrado erano come una formalità.

Dopo la dolorosa scomparsa del Pibe il calcio mondiale ha provato a ripartire rendendo omaggio al loro Dios indossando la maglia numero 10 e su tutti i campi è stato osservato un minuto di silenzio prima del fischio di inizio, ma per Carlos Tevez è stato molto difficile: rimasto fortemente sconvolto dalla perdita di Maradona, con il quale aveva un rapporto speciale, ha chiesto al suo allenatore di non farlo scendere in campo. Richiesta alla fine assecondata. Memorabile è il gesto d’affetto dell’Apache verso Maradona nell’ultimo turno del campionato precedente: prima del fischio di inizio andò sugli spalti e salutò El Pibe baciandolo sulla bocca. Alla fine il Boca vinse il Campionato.

Nella partita di Copa Libertadores contro l’Internacional, l’Apache ha realizzato il gol decisivo per il Boca Junior e ha festeggiato con un emozionante omaggio al suo connazionale esibendo una storica maglia degli Xeneizes del 1981, quella del primo anno del Diez al Boca.

I 10 a confronto

“Una giornata molto triste per tutti gli argentini e per il calcio. Ci lascia ma non se ne va, perché Diego è eterno”. E’ il ricordo di colui che molti vedono come il ‘figlio calcistico del ‘Pibe de Oro’, Lionel Messi che durante la partita del Barcellona contro l’Osasuna ‘La Pulga‘  ha voluto omaggiare Maradona a modo suo. Nell’azione che ha portato al gol del vantaggio, realizzato da Martin Braithwaite, l’argentino è saltato vicino alla linea di porta, tra i due centrali, con la mano sinistra alzata, ricordando così la celebre Mano de Dios. Inoltre, al 73′ ha segnato il quarto gol del Barcellona con un’altra dedica, mostrando la maglia numero 10 del Newell’s Old Boys, club in cui hanno militato sia lui che Maradona, alzando la braccia al cielo.

Molti sportivi si sono chiesti se si può paragonare Messi a Maradona, o addirittura se lo si può ritenere il suo erede. Entrambi sono nati in quartieri poveri dell’Argentina e provenivano da una famiglia non agiata e numerosa: Maradona lasciò la povertà di Villa Fiorito, il barrio di Buenos Aires: “Non avevamo la televisione e a casa lavorava solo mio padre. Speravo sempre che potesse prendere un pallone e giocare con me, ma non poteva, si alzava alle quattro per andare in fabbrica. E dormivamo tutti nella stessa stanza, non avevamo spazio per vivere liberi”, racconterà a Maurizio Costanzo, nel 2017. “Non ho avuto giocattoli ma amore. Ero il quinto dei fratelli: eravamo in 10 a mangiare”

Lionel Messi è nato a Rosario, insieme ai suoi tre fratelli. La madre lavorava come donna delle pulizie, mentre il padre era un operaio con la passione per il calcio, che lo porterà a fare l’allenatore.

Li accomuna la militanza in due squadre: il Newell’s Old Boys e il Barcellona, oltre a quella nell’Argentina. Mentre per Messi la squadra blaugrana rappresenta una consacrazione, per Maradona, invece, i due anni nella squadra non furono memorabili. Complici furono diversi infortuni e problemi, tra questi un’epatite virale che lo tenne lontano dai campi per oltre tre mesi.  Per il Pibe de Oro la gloria arrivò invece con il Napoli e la Nazionale: con la prima vinse due scudetti, una Coppa Uefa, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana mentre con la seconda un mondiale, quello di Messico 1986, dove nei quarti contro l’Inghilterra scrisse la storia in pochi minuti segnando ‘il gol del secolo’ , pochi minuti dopo aver realizzato una rete con la mano, la celebre ‘Mano de Dios’. La Pulce, invece, con la selecciòn albiceleste arrivò in finale ma per un soffio perse il mondiale del 2014.

Messi è il calciatore che ha vinto più volte di fila il pallone d’oro, per ben quattro edizioni consecutive, per un totale di 6. Negli anni ’80, quando Diego dava fondo a tutta la sua immensa classe, il popolare riconoscimento di France Football era riservato solo ai calciatori di nazionalità europea. Una discriminante, questa, che ha sempre impedito al Pibe de Oro di consacrarsi anche su questo tipo di scenario negli anni di Napoli, degli scudetti e delle indimenticabili prodezze all’ombra del Vesuvio.

Non sono solo i premi che hanno vinto a differenziarli ma anche un carattere evidentemente agli antipodi. Diego ha sempre avuto un carattere esuberante, mentre Messi da parte sua, è tutt’altro che irascibile. La Pulga si limita alle cose di campo e raramente eccede dimostrandosi più riservato e tranquillo. Trova le motivazioni per fare bene in un equilibrio psico-fisico ai limiti della perfezione. Allenamenti, costanza, voglia di dominare e consapevolezza nella forza del suo club sono alla base dei successi e delle battaglie de La Pulga.

Icona Diego, nel bene e nel male

Cosa ha rappresentato Diego Maradona per l’Argentina? “Il tutto – ha detto Nicolas Burdisso, ex calciatore di Boca, Inter, Roma, Genoa e Torino che ha avuto l’onore di avere El Pibe come allenatore nel biennio 2008/2010 – Il mondo conosce il calcio argentino grazie a Maradona, così come oggi succede con Messi. Con Diego è morta una parte dell’Argentina. Una parte nostra”.

Quante volte la frase “Diego Maradona è morto” stava per essere stampata sui giornali o per essere pronunciata dai suoi milioni di tifosi? Diego è stato capace di ‘dribblare’ questa frase in più di un’occasione. Ma questa volta la giocata non è riuscita.

Maradona non verrà ricordato solo per le sue magie sul campo, ma anche per la sua vita sgretolata al di fuori del terreno di gioco. I social si sono riempiti di dediche, di saluti, di video che ricordavano i suoi goal, ma anche di critiche. Maradona ha combattuto tante volte con la morte, forse era solo questione di tempo, ma sicuramente ‘l’inevitabile’, come ha intitolato la testata argentina El Clarin, è avvenuta quando meno il mondo sportivo e non solo se lo aspettava: “Diego era il nostro Dio, calcisticamente parlando, in campo ha fatto cose che nessun altro è riuscito a fare. Ci ha rappresentati in un momento molto difficile per il nostro paese, portando l’Argentina il più in alto possibile”, come lo ha voluto ricordare il suo connazionale Maxi Lopez, ora in forza alla Sambenedettese.

Diego Maradona lo si può definire un essere a due volti: Dio sul campo, uomo fragile fuori dallo stadio. Una volta tolti gli scarpini sembrava che quella divinità lo avesse abbandonato, eppure una volta disse: “Io non firmerò mai nulla se devo vendere me stesso”, una promessa che non è riuscito a mantenere: droga, cocaina, conoscenze sbagliate e ‘amici’ che si sono rivelati semplici usurpatori lo hanno rovinato. Perché El Pibe si è lasciato vincere da questi sfizi? Una domanda a cui nessuno saprà dare una risposta.

Oggi in Argentina lo Stadio dell’Argentinos Juniors porta il suo nome, il mondo è ricco dei suoi murales, altari e statue, di cui una fuori a ‘La Bombonera’, lo stadio del Boca Juniors, ed è stata anche aperta l’iglesia maradoniana: una religione a lui dedicata che conta tra i suoi aderenti Ronaldinho, Messi, Michael Owen e Manuel Ginobili.

Versatile, stravagante e pieno di eccessi, Maradona è stato un calciatore ed una delle persone più amate. Nel 2000 è stato nominato ‘Calciatore del Secolo’, lo stesso premio che aveva ricevuto Pelé. Rispetto però al Pibe, il fuoriclasse brasiliano lo aveva ricevuto dalla giuria ufficiale della FIFA, non da una giuria popolare. Perché questa è la domanda che ancora oggi fa discutere, e lo farà ancora, gli amanti dello sport: chi é veramente il più grande calciatore di tutti i tempi? 

di Arianna Maffina, Samrawit Gebre Egziabher e Mattia Celio

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