“Il calcio di ieri, oggi e domani”: Arrigo Sacchi, il maestro che partì da Parma

Lo storico ex allenatore del Parma è stato protagonista di un webinar organizzato dall'UniPr

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La mattina di giovedì ha visto Parma protagonista di un grande ritorno, anche se, purtroppo, soltanto virtuale. Uno degli ex più amati nel mondo calcistico emiliano è tornato a fare visita e a divulgare calcio come una volta. Questa volta lo ha fatto in un’altra veste: non più quella di allenatore, ma di super ospite che dispensa aneddoti, racconti e consigli ai giovani appassionati. Stiamo parlando del grande ex allenatore Arrigo Sacchi, colui che ha rivoluzionato il calcio italiano, e non solo. L’ex tecnico originario di Fusignano, oggi 74 anni, è salito alla ribalta internazionale soprattutto per via dei successi ottenuti con “Il Milan degli olandesi” (1987-1991) e sfiorati con la Nazionale italiana, classificatasi seconda nell’edizione americana dei mondiali del 1994.

L’ex allenatore della Nazionale di calcio italiana, del Milan e del Parma è stato il grande protagonista di un webinar, che si è tenuto il 21 gennaio, nell’ambito di un ciclo di appuntamenti con personaggi del mondo del calcio. Organizzato dai corsi di studio in Scienze Motorie dell’Ateneo in collaborazione con Vincenzo Pincolini, preparatore atletico della Nazionale di calcio Under 21, ed Elio Volta, docente a contratto dei corsi in Scienze Motorie, l’evento ha avuto un grande successo in termini di partecipanti. In altri tempi, le 350 persone presenti avrebbero riempito l’aula magna dell’Università. Purtroppo, viste le disposizioni attuali, ci si è dovuti accontentare di essere collegati virtualmente.

Arrigo Sacchi, la scalata verso il successo partì da Parma

Grazie ai suoi successi e al suo stile di gioco, Sacchi occupa il terzo posto nella classifica degli allenatori più importanti di sempre, stilata dalla prestigiosa rivista francese France Football, la stessa che assegna il pallone d’oro. Ma prima di diventare il maestro che conosciamo tutti, Sacchi è passato proprio da Parma. Erano gli esordi come capo allenatore di una prima squadra e la compagine gialloblù non si trovava certo nei piani nobili del calcio italiano, essendo appena retrocessa in serie C1. Sacchi riuscì immediatamente a riportare i ducali in Serie B e attirò l’attenzione di tutti eliminando il Milan a San Siro, in Coppa Italia. Quella partita rimase negli occhi di Berlusconi, presidente milanista che, abbagliato dalla sua difesa a zona e dal gioco basato sul pressing alto, decise  di ingaggiarlo come allenatore del Milan.

Sono stati tanti gli argomenti trattati durante l’incontro da Sacchi, che non si è limitato a raccontare i suoi successi e i suoi segreti, ma ha anche parlato di presente e di futuro del calcio italiano, incarnando a pieno il titolo dell’evento:Il calcio di ieri, di oggi e come sarà domani”. Una gran parte del suo intervento è stata dedicata al racconto di come sia arrivato a fare quello che ha fatto: “Non ci rendevamo conto di quanto sarebbe stato importante e rivoluzionario per il mondo del calcio” spiega Sacchi.

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Stimolato da Vincenzo Pincolini, fedele preparatore atletico che ha fatto sempre parte degli staff di Sacchi e che ora si occupa della Nazionale italiana under-19, il ‘Maestro’ Sacchi ha raccontato dei suoi esordi, dando grande importanza alla sua esperienza parmigiana. “Era la mia prima vera avventura, dopo aver allenato squadre giovanili, non è stato facile anche perché ero molto esigente fin da subito. Pretendevo tanto dai giocatori, ci allenavamo ad altissimi ritmi e non nego che qualcuno si lamentava; quando poi però si vedevano i risultati sul campo capivano che era la cosa giusta da fare. Sono estremamente grato al Parma perché è il club che mi ha permesso di fare il salto finale e più importante”.

La rivoluzione di Sacchi nel mondo del calcio

A sentire l’ex allenatore tutto era molto semplice, come se fosse la cosa più naturale del mondo: “Io credevo semplicemente che avere il possesso del pallone fosse meglio che lasciarlo agli avversari. In Italia essere normali significa essere rivoluzionari“. Ma la realtà è che sono veramente pochi gli allenatori capaci di far giocare così bene le proprie squadre e di andare totalmente controcorrente rispetto ai tempi. Poi va ricordato che si trattava, e si tratta tutt’ora di calcio italiano, dove uno dei mantra è sempre stato prima non prenderle. Siamo quelli che hanno inventato e sfruttato più di tutti il catenaccio, basterebbe soltanto questo per spiegare la portata rivoluzionaria trasmessa da Arrigo Sacchi.

Pochi prima di lui e dopo di lui ne sono stati capaci, ad altissimi livelli. Ed è lo stesso tecnico che lo spiega con precisione: “Siamo stati in pochi veramente rivoluzionari. Prima di me c’è stato Rinus Michels, allenatore dell’Olanda del calcio totale, guidata da Cruijff, al quale mi sono sempre ispirato.” Non è un caso che il tecnico olandese occupi il primo posto nella classifica di France Football citata in precedenza. “Dopo di me, a distanza di vent’anni c’è stato Guardiola, con il suo Barcellona, che ha apportato un’altra rivoluzione storica al calcio”. Parliamo della ricerca ossessiva del palleggio, tiki taka, del grande pressing e dell’intuizione del falso nueve, Lionel Messi.

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“Davamo tanta importanza anche all’aspetto mentale, non soltanto al gioco. Durante gli allenamenti cercavamo di stimolare il sistema nervoso centrale dei calciatori, simulando delle determinate situazioni che si sarebbero potute verificare durante le partite; questo per allenare l’improvvisazione, che per certi versi è più importante di tecnica e tattica”. Un altro dei punti forti della filosofia di gioco ispirata da Sacchi era la maggior importanza che aveva la squadra nei confronti del singolo. “Il calcio è uno sport di squadra; si allenano i giocatori certo, ma lo si deve fare in modo che giochino bene insieme, come un meccanismo unico – spiega Sacchi, che poi rivela un aneddoto- Quando ero al Milan, Berlusconi era innamorato di un giocatore gallese, che però a me non piaceva, era un dribblatore, un solista, che non si sarebbe sposato con il mio credo. Questo non significa che non fosse un giocatore forte, ma io apprezzavo maggiormente quelli funzionali al progetto e quindi non lo comprammo; ad esempio prendemmo Ancelotti che pur avendo parecchi problemi fisici era dotato di grande carisma e intelligenza tattica”.

Arrigo Sacchi tra presente e futuro del calcio italiano

L’ex tecnico emiliano non si è limitato a raccontare ricordi e curiosità del passato, ma ha anche analizzato l’attuale situazione del movimento calcistico italiano e quello che  potrà riservare il futuro. Le proiezioni non sono ottimistiche: “In Italia, in questo momento manca uno stile di gioco ben definito, vedo ad esempio allenatori che quando arrivano in una nuova squadra si ‘accontentano’ dei giocatori a disposizione, senza cercare quelli più adatti al proprio gioco. Sono invece le cosiddette provinciali come Sassuolo ed Atalanta che si stanno facendo notare rispetto alle big. Devo dire che anche lo Spezia mi sta piacendo molto come organizzazione di gioco”.

Il principale problema evidenziato da Sacchi è invece quello che riguarda il futuro, soprattutto per quanto concerne i giovani italiani. Una problematica che il calcio italiano si trascina dietro da almeno 15 anni e che di conseguenza non riguarda soltanto le squadre di club, sempre meno inclini a puntare sui vivai, ma si manifesta soprattutto nelle selezioni nazionali, sia quella maggiore che le giovanili. Il punto più basso è stato raggiunto con la mancata qualificazione ai mondiali del 2018. Nonostante la situazione, negli ultimi due anni di gestione Mancini e con l’inizio di un nuovo corso anche a partire dalle selezioni minori, sia leggermente migliorata, c’è ancora tanta strada da fare per essere al livello di altre potenze europee.

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“In Francia e Germania, dal 2000 in poi hanno attivato tantissimi centri federali territoriali (utili per la valorizzazione e la formazione tecnico-sportiva-educativa, ndr); in Francia più di 15 ad esempio. In Italia invece si va avanti con uno soltanto, questo è il problema. Quando lavoravo con l’under italiana mi sono reso conto che anche una nazione piccola come la Svizzera era molto più all’avanguardia di noi da questo punto di vista. Loro, grandi come la Lombardia, avevano più centri federali attivi rispetto a tutta l’Italia”. Negli ultimi anni, fortunatamente, si è assistito ad un cambio di rotta, complice anche la rifondazione post mancata qualificazione ai mondiali. Nel giro di 4 anni sono nati quasi 50 centri, sparsi per l’Italia; la Lombardia è la regione più rappresentata con 6, seguono Lazio e proprio Emilia-Romagna con 4. L’obiettivo è continuare con questo tipo di lavoro sui settori giovanili, anche perché, nonostante i primi segnali positivi, i risultati non si vedranno a breve, ma nel giro di parecchi anni.

di Pierandrea Usai

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