Smart working: è iniziata l’era dell’industria 4.0
Con la pandemia il lavoro si è spostato sempre di più all'interno delle mura di casa, ma come evolverà tutto questo?
Con il Decreto direttoriale del 9 giugno 2020 è stato fatto un intervento agevolativo finalizzato a sostenere la trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi delle imprese, avendo la pandemia innescato uno sviluppo esponenziale del cosiddetto smart working. Ma cosa intendiamo quando parliamo di digitalizzazione dei processi di lavoro? Ci riferiamo al fatto che l’azienda è passata dalla carta alla gestione dei dati in digitale, e dalla gestione dei documenti cartacei ai flussi di lavoro automatizzati. Gli aspetti positivi più importanti sono la riduzione della quantità di carta utilizzata, del lavoro manuale e degli errori umani, tramite l’utilizzo di software dedicati. Inoltre, un altro aspetto importante che ci dà la digitalizzazione è la possibilità di condividere documenti in un istante, facilitando ulteriormente il lavoro e abbreviandone la tempistica.
Scott Snyder, partner di Heidrick Consultin ed esperto di innovazione digitale, dice: “L’utilizzo del digitale, per ripensare i processi esistenti, può offrire vantaggi significativi in termini di velocità ed efficienza nel modello operativo complessivo di un’azienda. Investire nell’aggiornamento delle competenze della forza lavoro esistente e nell’aggiunta di talenti digitali contribuirà ad accelerare la trasformazione digitale in tutta l’azienda, consentendo a una maggior parte della forza lavoro di innovare attorno al business attuale e, allo stesso tempo, incubando nuovi prodotti e modelli di business abilitati digitalmente per il futuro”.
“Il digital abbatte le distanze e questo è un aspetto molto positivo – commenta Claudia Minozzi, Business and Life Coach di ICF – il rovescio della medaglia è che alcune organizzazioni non erano pronte alla digitalizzazione dei processi, e tante persone non erano abituate a lavorare online. Per i lavoratori spesso ciò ha impattato sul bilancio vita-lavoro”.
L’industria 4.o e le nuove figure professionali
L’industria 4.0 ha bisogno di una totale interconnessione tra le risorse aziendali e di nuove competenze e professionalità, per le quali però non esistono ancora percorsi formativi. Tra i profili professionali più richiesti in questi ultimissimi anni troviamo gli operai 4.0, i manutentori 4.0, i project manager 4.0, i data scientist e i data protection officer. Tutte queste figure sono accomunate dal fatto che necessitano di un’elevata competenza digitale per poter operare in contenuti tecnologici differenti, in base al proprio profilo.
“Sono richieste competenze nuove – continua Claudia Minozzi – hard skills digitali, uso dei software, la lingua inglese che ormai è un must da anni in epoca di globalizzazione, e le soft skills. Queste ultime servono sempre, a prescindere dal contenuto di lavoro: problem solving, pensiero critico, creatività, flessibilità. Ai manager è richiesta anche l’intelligenza emotiva, buone capacità di leadership in ambiente di smart working, e ancora una volta flessibilità. Ad un giovane consiglierei di formarsi sulle competenze digitali e allenarsi sulle competenze trasversali, a fare molta pratica in entrambi i campi attraverso tirocini, stage, volontariato, ecc… In modo tale da presentarsi nel mondo del lavoro con un vissuto che non sia esclusivamente accademico”.
Una delle figure professionali nate dalla digitalizzazione dei processi di lavoro, è quella dell’Innovation Manager, che ha il compito di analizzare e monitorare tutte le funzioni del business e capire dove c’è bisogno di un eventuale intervento. Questa figura professionale può essere sia interna che esterna all’azienda, in quest’ultimo caso viene chiamata come consulente per un periodo di tempo per svolgere il suo compito di rinnovamento. Per poter lavorare bene nel suo ambito, un innovation manager deve avere conoscenze tecniche, tecnologiche e di marketing, specialmente nel settore industriale in cui opera.
La manager Carlotta Dainese racconta a Startupbusiness il suo percorso all’interno di Siram, società italiana che si occupa di progettazione, gestione e manutenzione di grandi impianti per la produzione e distribuzione di energia. Inizialmente il dipartimento era parte della direzione tecnica, per poi rappresentare un collegamento tra la direzione tecnica e quella commerciale, sottolineando come uno dei primi compiti dell’innovation manager fosse quello di fare scouting di tecnologie. La novità è stata quella di guardare anche il lavoro delle startup. In un’intervista di Startup Hi-tech & Digital Transformation, la Dainese racconta della sua occupazione attuale alla Prysmian, azienda specializzata nella produzione di cavi per applicazioni nel settore dell’energia e delle telecomunicazioni: “Prysmian cambia il suo assetto e il suo approccio all’innovazione. L’innovazione è sempre stata al centro della nostra strategia ma adesso non è più compito di qualcuno in particolare ma è più pervasiva e fondata sulle competenze trasversali. Per noi come innovazione in ambito digitale ci sono grandi novità: quest’anno ci siamo ristrutturati, abbiamo fondato le basi di una nuova strategia che ha anche portato alcuni cambi organizzativi. La strategia si chiama La strategia delle tre D: Data, Digital and Dynamics“.
L’epoca che stiamo vivendo richiede una ridefinizione e rinegoziazione di procedure, spazi e tempi, chiedendo ad aziende ed individui di apprendere nuove competenze e modificare aspetti della produzione. Cludia Minozzi consiglia di avere un atteggiamento anti-fragile nei confronti della quarta rivoluzione industriale, che, come l’acqua, si adatta all’ambiente e allo stesso tempo riadatta il proprio ambiente modellandolo.
di Lorenzo Barizza
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