Essere social in sicurezza: il caso TikTok

Il social desta preoccupazione per la forte deregolamentazione nei suoi contenuti che attirano soprattutto i più giovani. L'intervista al professore di Elementi di didattica, Paolo Calidoni

Instagram, Facebook, TikTok: strumenti di svago o di lavoro, ma che per molti possono rivelarsi anche delle trappole virtuali capaci sì di incantare con le possibilità creative che permettono, ma anche di sottoporre gli utenti più ingenui a rischi non indifferenti. Per questo si tratta di strumenti che richiedono un alto grado di responsabilità nell’utilizzo per evitare di finire vittime di giochi pericolosi.

È il caso di Antonella, la bambina di dieci anni morta lo scorso gennaio a causa di una challenge pericolosa, chiamata “blackout challenge“, lanciata proprio su uno dei social più popolari del momento: TikTok. Il gioco che le è costata la vita consiste nel legarsi una cintura intorno al collo e stringerla finché il sistema respiratorio non si affatica e va in difetto. Non è chiaro se la bambina si stata contattata in privato da un altro utente e cosa l’abbia indotta a quella sfida. Quello che però è chiaro è che non si tratta di un caso isolato: all’elenco si aggiungono altre challenge come la “planking challenge“, che richiede ai partecipanti di lanciarsi sopra macchine in corsa.

Essendo TikTok  al centro dell’inchiesta a causa di questi episodi, il Garante per la protezione dei dati personali è intervenuto imponendo un controllo sull’età degli utenti iscritti al social. Dal 9 febbraio 2021 infatti l’applicazione ha richiesto a tutti i suoi iscritti di confermare la propria data di nascita, e i minori di 13 anni sono stati espulsi automaticamente. Il Garante interverrà anche attraverso l’utilizzo di filtri del sistema capaci di stabilire se si tratta effettivamente di persone dell’età richiesta per presenziare su TikTok.

 

Tuttavia, il controllo non è una battaglia facile. Come ci spiega Sofia Sozzari, membro del Comitato Scientifico di Clusit e del Direttivo di Women for Security, “ogni social network ha già delle normative in atto riguardo all’età di utilizzo, ma sono di difficile verifica in quanto l’iscrizione non richiede documenti di sorta. D’altra parte imporre ai vari Social verifiche più stringenti non è facile in quanto parliamo sempre di società private che possono decidere come meglio amministrarsi.” L’obiettivo principale di CLUSIT è proprio quello di diffondere la cultura e la consapevolezza della Sicurezza Informatica presso Aziende, Pubblica Amministrazione e cittadini, organizzando eventi dal vivo e online.

A riguardo, il docente di Elementi di didattica e ricerca innovativa all’Università di Parma, Paolo Calidoni ritiene tuttavia che l’età non sia un fattore decisivo per prevenire il problema e che imporre la sua dichiarazione come regola rischi di spingere i più giovani a trasgredirla per sfida. “Trasgredire la regola è un modo per far notare la propria esistenza per chi non riesce ad emergere in altro modo.”

Il punto su cui bisogna lavorare risultano essere gli adulti, ovvero le figure a cui i giovani guardano per prendere esempio e che imitano inevitabilmente. E i primi adulti a cui si fa riferimento sono i genitori. Da loro infatti i ragazzi cercano le azioni e i comportamenti che fanno propri per diventare i nuovi adulti. A sostegno di questa tesi si schiera anche  Sofia Sozzari:“La soluzione migliore, a mio avviso, è agire sull’approfondimento e la consapevolezza dei rischi, con i giovani in particolare, ma anche nei confronti dei genitori, spesso non abbastanza preparati sulle minacce di Internet.”

Anche il Garante Privacy ha lanciato una campagna di sensibilizzazione sul tema, in collaborazione con Telefono Azzurro, attraverso uno spot che recita: “Se non ha l’età, i social possono attendere.” Lo scopo  è proprio quello di insistere sulla necessità dell’intervento e del controllo da parte dell’istituzione famiglia.

Il professor Calidoni cita poi l’esempio del momento del pasto, accompagnato spesso dalla presenza di un dispositivo elettronico, che un tempo era la televisione, oggi è lo smartphone. “Se ci sono momenti in cui si sta insieme senza cellulare e senza televisione e si parla, e momenti in cui si usano questi mezzi e se ne parla. Devono essere momenti spontanei, non forzati. Allora si genera una comunicazione in cui le relazioni tra persone prevalgono.”

Spetta dunque alla famiglia, in primis, monitorare e stabilire quali contenuti e a che orari i propri figli vi possono accedere all’uso dei social, specialmente per quel che riguarda TikTok.

Bisogna infatti tenere in considerazione che Instagram e Facebook hanno un target con età media più alta rispetto al pubblico di TikTok, che al contrario sta spopolando tra i giovanissimi. Come riporta Statista, l’audience del social raccoglie soprattutto la Generazione dei Millennials e in parte quella ‘Z’.

 

 

Su TikTok circolano però video che prevedono performance di ballo e canto provocanti e fortemente inadatti ai più giovani. Vi sono inoltre  challenge a sfondo discriminante che diffondono gravi stereotipi legati a ideali e standard di bellezza sbagliati, come mostra sul suo profilo Instagram la giornalista e blogger Danae Mercer da anni attivista in tema di body positivity.

 

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E il danno è amplificato se si pensa che tutto questo impatta su menti ancora fragili e ingenue che affrontano determinate problematiche per la prima volta e che hanno bisogno di modelli positivi a cui ispirarsi. È fondamentale quindi pensare ad un intervento capillare e mirato sulla fruizione dei social in particolare quella di TikTok.

Oltre alla famiglia, la formazione dell’individuo passa anche da un’altra grande istituzione, che deve collaborare con quella famigliare, ovvero la scuola. “La scuola è in ordine ambiente di vita in cui si cresce, ambiente di relazioni tra coetanei e persone più grandi, ambiente di apprendimento in cui al desiderio e alla curiosità viene data la possibilità di apprendere, e da ultimo ambiente di insegnamento in cui qualcun altro decide cosa bisogna imparare”, continua il docente.

Profilo Facebook di TikTok

La scuola odierna non affronta però la formazione dell’individuo secondo questo ordine, e lascia in secondo piano lo sviluppo di capacità come quella relazionale. Resta però fondamentale che il primo insegnamento derivi dall’esempio che dà la figura di riferimento. “La professoressa che pretende che i ragazzi tengano i cellulari spenti e lei lo usa a scuola, può fare tutti i corsi del mondo, e comunque il modello diffuso è in contraddizione con questi insegnamenti” specifica il professore. In tal senso, CLUSIT è stata promotrice di incontri presso scuole medie e superiori per affrontare l’argomento insieme ai ragazzi. Sofia Sozzari parla di diffusione più capillare possibile e confronto continuo: “L’ideale è far seguire ai ragazzi, fin dalle medie, percorsi di awareness su rischi e minacce presenti sui Social e su Internet, e diffondere il più possibile materiale formativo a riguardo.”

Dunque, più che demonizzare il mezzo dei social che utilizziamo come strumenti di lavoro, di educazione e di svago, il punto da indagare è come vengono effettivamente utilizzate queste piattaforme. Il professor Calidoni riflette: “L’esercizio da fare è di passare da un uso sincretico, cioè tutto mescolato insieme, a un uso più consapevole, attraverso i meccanismi fondamentali dal sapere scolastico ovvero l’analisi (vedere le varie componenti interne) e la sintesi (utilizzo di strumenti diversi per certi scopi). Questi non sono solo strumenti di lavoro ma diventano sempre più oggetti di analisi, di studio e attenzione”.

L’obiettivo quindi sarebbe quello di affrontare un percorso che preveda un diverso modo di fare educazione linguistica, di insegnare a ragionare e scrivere con il materiale di esperienza quotidiano, che nella nostra epoca vuol dire quello delle tecnologie.

 

di Camilla Ardissone 

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