Il caso Bridgerton: riflessione sulla serie-fenomeno Netflix

Che lo si faccia bene o male non importa, ma del nuovo successo della piattaforma non si riesce proprio a smettere di parlare.

82 milioni: questo è il numero di telespettatori che Bridgerton ha totalizzato in 28 giorni. Ed è subito record, la serie è diventata la più vista di sempre su Netflix e, indubbiamente, una delle più discusse. Tra chi la ama, chi la detesta, chi non sa cosa pensare e chi si rifiuta di guardarla, proviamo a capire meglio il perché di tutto questo successo (e di tanto sconcerto).

Una storia come tante, o forse no

É il 1813, in piena età della reggenza – così chiamata per il ruolo ricoperto dal principe Giorgio Augusto Federico, data l’infermità mentale del padre, re Giorgio III – e la nobiltà è la vera protagonista. Durante la fervida stagione sociale londinese, fa il suo debutto Daphne Bridgerton, quarta di otto figli di una facoltosa famiglia, che viene subito notata, persino dalla regina Charlotte, per la sua bellezza e il suo portamento. La giovane si ritrova così a essere circondata da numerosi pretendenti, ma essi vengono prontamente allontanati dal fratello maggiore Anthony che, dopo la morte del padre, è diventato (per lo meno ‘sulla carta’) il nuovo capofamiglia, convinto che nessuno dei potenziali corteggiatori sia all’altezza della sorella. L’unico nobile a non arrendersi è lo sgradevole Nigel Berbrooke e, proprio quando una proposta indesiderata sembra imminente, ecco che Daphne stringe un accordo con un amico di Anthony: Simon, il tanto ricco e avvenente, quanto brusco e arrogante, duca di Hastings. Così i due inventano un finto corteggiamento: lei per attirare nuovi pretendenti, lui, partito ambito da molte nobildonne, per evitare in tutti i modi il matrimonio. Ovviamente, il resto è storia. Nonostante le premesse non siano delle più originali – soprattutto per chiunque abbia un minimo di affinità con Jane Austen e i suoi romanzi – la serie viene arricchita e, soprattutto, stravolta da alcuni aspetti decisamente interessanti.

© LIAM DANIEL/NETFLIX

Bridgerton nasce dall’omonima serie di romanzi rosa dell’autrice americana Julia Quinn, in particolare dal primo Il duca ed io. L’idea di adattare la saga di questa famiglia – ogni libro è incentrato su uno degli otto figli – al piccolo schermo arriva da una delle più importanti showrunner degli ultimi anni: Shonda Rhimes (Grey’s Anatomy, Scandal, Le regole del delitto perfetto) che ha assegnato l’incarico al suo ‘protetto’ e collaboratore Chris Van Dusen.

La grande produttrice afroamericana è rimasta così ‘dietro le quinte’ (con la sua casa di produzione Shondaland), ma il suo fondamentale contributo si ritrova in alcuni tratti distintivi, tipici dei suoi prodotti: come il ritmo veloce e incalzante o la grande attenzione all’universo femminile e a tutto ciò che esso include, sessualità compresa. Sì, perché, a differenza di altri prodotti di questo genere, Bridgerton non si mantiene su una linea tortuosamente pudica che conduce alla classica conclusione: le agognate nozze. Qui vi è una netta separazione tra i primi quattro episodi, che, sotto questo punto di vista, potrebbero rientrare nei canoni, e i quattro della seconda metà della stagione, nei quali si assiste a una rapida escalation di scene un po’ piccanti – con tanto di presenza sul set di un “coordinatore d’intimità” – da un punto di vista fortemente femminista. Una (non molto velata) strizzata d’occhio al pubblico contemporaneo? Probabilmente sì e non è l’unica.

Mai sottovalutare l’importanza dei colori

A differenza dei libri, nella serie un ruolo chiave è giocato dalla regina Charlotte, consorte di Giorgio III. La donna trascorre le sue giornate intrattenendosi con gli scandali e i pettegolezzi pubblicati da una misteriosa scrittrice, nota come Lady Whistledown (che non si vede, ma diventa voce narrante delle vicende e nella versione originale è quella di Julie Andrews, grandiosa interprete, tra i tanti ruoli, di Mary Poppins).

La reginaoltre ad apparire come efficace espediente per rappresentare lo spettatore tipo catapultato nel mondo di Bridgertonsi contraddistingue per un’evidente peculiarità: è interpretata dall’attrice guyanese naturalizzata britannica Golda Rosheuvel. Nel corso delle sue ricerche, il creatore Chris Van Dusen ha appreso che alcuni storici ritengono che la regina Charlotte fosse discendente di una famiglia reale portoghese con origini africane. Van Dusen ha poi sviluppato l’idea di realizzare una storia alternativa, in cui le origini di questo personaggio potessero risultare determinati: perché non farle utilizzare il suo potere per concedere titoli ad altre persone di colore nell’Inghilterra di quell’epoca? Ecco che allora il duca di Hastings e Lady Danbury, sua mentore, sono impersonati da attori neri britannici (rispettivamente Regé-Jean Page e Adjoa Andoh). Tuttavia, nonostante questa fetta di popolazione non avrebbe potuto ricoprire realmente posizioni di potere all’epoca, la serie presenta anche personaggi in ruoli storicamente accurati. Ad esempio, Will Mondrich, amico del duca, è basato su un famoso pugile nero del XIX secolo, Bill Richmond.

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Oltre alle numerose e inconsuete scelte stilistiche (come dimenticare le cover realizzate dal quartetto d’archi Vitamin String Quartet di famosi brani pop di Taylor Swift, Billie Eilish o dei Maroon 5?) ciò che rende Bridgerton un prodotto unico è la sua difficile collocazione: si può parlare di un semplice guilty pleasure, letteralmente “colpevole piacere”? O è qualcosa di più? Il lavoro di ricerca che vi è alla base della sua realizzazione non è la sola caratteristica che eleva la serie. Basti pensare all’incredibile qualità e numero di costumi utilizzati. Come rivela Vogue, la costume designer newyorkese Ellen Mirojnick ha realizzato più di 7500 abiti: la sola Daphne ne cambia 104 in otto episodi. Inoltre, seppur in ruoli secondari, sono molti i personaggi che ruotano attorno ai due protagonisti. In primis, le due famiglie principali: i Bridgerton da una parte – caratterizzati da abiti dalle tonalità pastello – e i Featherington dall’altra, con i loro colori accesi.

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Un fenomeno culturale

Se quindi il grande successo di pubblico poteva essere chiaramente all’orizzonte, in pochi avrebbero potuto prevedere la vera e propria “Bridgertonmania”: un evento di portata tale da dare grande spinta sia all’industria della moda che a quella libraria. Per quanto riguarda la prima, come riporta la rivista americana Entrepreneur, il commercio al dettaglio è stato tra i settori più colpiti dalla pandemia, ma con il passare dei mesi i consumatori hanno cercato nuovi spunti per i propri outfit casalinghi e futuri, traendo ispirazione dagli spettacoli visti sulle varie piattaforme.

Dall’uscita della serie a Natale, l’app per lo shopping LTK ha registrato un aumento del 1.900% di settimana in settimana delle ricerche “moda Bridgerton”, del 3.900% di abiti di seta e del 1.000% di ricami e corsetti. Per quanto riguarda i romanzi, invece, vi è stata una corsa alle ristampe della saga (pubblicata tra il 2000 e il 2016) dopo il tutto esaurito in molte librerie e dopo la vendita online della raccolta che ha toccato cifre astronomiche, fino a oltre 700$.

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In definitiva, cosa rimane al termine della visione di Bridgerton? Forse la meraviglia e lo stupore di un ottimo impianto visivo, dovuto anche alle splendide scenografie, o la perplessità dinnanzi a qualcosa che ha osato parecchio nel modo in cui si pone, ma non nella sostanza. Quello che è uno degli aspetti fondamentali di qualsiasi prodotto audiovisivo è stato forse il più trascurato: l’intreccio della trama.

I personaggi principali non brillano per lo spessore e alcuni personaggi secondari, decisamente più accattivanti (come la già citata Lady Danbury o Lady Violet Bridgerton, matriarca della famiglia), non ricevono l’attenzione che meriterebbero. E chi invece la riceve, purtroppo scade nel banale: mi riferisco soprattutto al rapporto tra Penelope Featherington e Marina Thompson. È anche vero che i libri da cui trarre materiale sono molti e che con la prima stagione si sono poste le basi su cui lavorare e sviluppare (si spera meglio) molti altri personaggi: in primis i componenti delle famiglie protagoniste. Non resta ora che aspettare, con l’immane curiosità della regina Charlotte, la prossima stagione – che sarà incentrata su Anthony – e chissà cosa avrà in serbo per noi l’universo Shondaland.

di Federica Mastromonaco

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