Braci vive: il racconto anima gli oggetti
Brevi Ricordi Antichi Creano Immagini: tre giovani sorelle raccolgono oggetti e storie di Parma e delle sue campagne
Si dice che gli oggetti non abbiano un’anima: solo gli esseri animali- si dice – e tra questi gli uomini in massimo grado, ne sono dotati. Oggetti inanimati, appunto. Eppure, neanche troppo raramente, tra uomo e oggetto si creano rapporti che vanno ben al di là del solo lato pratico/funzionale: provate a spiegare a un bambino che il suo peluche è soltanto un groviglio contorto di fili, erosi dal tempo, ormai sporco e puzzolente. Cose infantili, direte voi: ebbene, sfido chiunque a privarsi della propria automobile, di un proprio vestito o del più banale degli orologi da muro senza nemmeno un filo di rammarico, senza pensare, in modo più o meno esplicito: “Ah, quanti ricordi!”
Accettare la sfida
Provocazioni certo, ma fino a un certo punto. Sta a noi scegliere se riconoscere che spesso tra noi e i nostri oggetti si instaura un legame che va ben oltre la razionalità e quindi se accettare o meno la sfida. Certo hanno deciso di accettarla tre giovani ragazze, Virginia e Thea Ambrosini, Lucrezia Bolfo e il loro zio Marco Valesi che, pinte da un incrollabile amore per l’arte e per il racconto, hanno ottenuto i fondi del bando per la valorizzazione e tutela del territorio Think Big. “Tutto nasce da un’idea di zio Marco- spiega Lucrezia- per noi Lo Zio, una figura al confine tra reale e mitologico, professore di sociologia, fisicamente lontano nella sua Barcellona, ma sempre presente al nostro fianco con le sue idee: è stato lui nel marzo dello scorso anno a proporci di partecipare. ‘Inventate qualcosa e sono con voi‘ ci ha detto. Subito avevamo pensato ad un cinema all’aperto: siamo tutte esperte in fatto di animazione e stop-motion e così l’idea c’era venuta quasi spontanea. Poi però abbiamo preferito legare il progetto al territorio. Da qui lo spunto decisivo per la nascita di B.R.A.C.I.: un progetto che si propone di raccogliere oggetti, e soprattutto le loro storie, di qualunque tipo e valore”.
Dopo mesi di difficoltà e continui rinvii, a fine gennaio si è finalmente potuto partire con la prima tappa di Vianino, piccola frazione del comune di Varano de’ Melegari e luogo di origine delle ragazze, seguita a ruota da quelle di San Secondo e Roccabianca. “Temevamo che le persone non venissero- racconta Thea. Dovevamo iniziare già a settembre, poi, causa Covid, siamo state costrette a rimandare ai mesi invernali che certo non invitano la gente a uscire per una passeggiata. Al freddo si aggiunge la paura che, in un modo o nell’altro, accomuna tutti noi in queste settimane difficili”. E invece, fin dalla prima tappa di Vianino, il carro di B.R.A.C.I. – Brevi Ricordi Antichi Creano Immagini – ha potuto ospitare decine e decine di persone, di ogni età e provenienza.
Le radici profonde
Un nome non casuale: non sarà certo sfuggito ai più attenti il chiaro riferimento alla raccolta di poesie di Renzo Pezzani, poeta e scrittore parmigiano, autore di una raccolta di poesie in dialetto dal titolo Bornisi, braci appunto. “Non conoscevamo Pezzani- spiega Thea- è stato appunto Lo Zio a suggerirci il nome, facendoci scoprire un autore davvero straordinario. Inizialmente avevamo intenzione di mantenere l’originale. Poi però abbiamo preferito la traduzione, più chiara e comprensibile per tutti e che soprattutto si sposa alla perfezione con l’acronimo“. Pezzani è però solo una delle radici del progetto: “Da piccole siamo rimaste colpite dalla figura di Ettore Guatelli, maestro elementare e collezionista, che raccolse gli oggetti di una vita in quella che ora è la Fondazione omonima di Ozzano Taro. Andammo in gita scolastica e ci innamorammo non soltanto dagli strumenti in sé, cose (in senso letterale) di uso quotidiano, ma soprattutto della disposizione nello spazio: un museo dell’ovvio, come amava definirlo lo stesso Guatelli”.
Un melting pot generazionale
Che delle ragazze si interessino di storie e racconti spesso oggetto di interesse di nonni, se non addirittura bisnonni, può sorprendere. Ancora più sorprendente è, però, l‘interesse trans-generazionale che sono state in grado di creare: “Ciò che più mi ha colpito- racconta Virginia- è stata la presenza sul nostro carro di svariate generazioni, da nonni che ci portavano racconti di guerra, fino ai loro figli e nipoti, dai 7 ai 92 anni. Ho trovato davvero emozionanti questi bambini che, tramite oggetti banalissimi, intendevano trasmetterci la loro personale immagine dei nonni. Uno di loro ci ha portato un sifone per acqua di seltz. Avreste dovuto vederlo: nei suoi occhi si leggeva tutto lo stupore verso una generazione che, desiderosa di acqua gassata, non poteva permettersi il lusso di infilare una monetina in un distributore per una bottiglietta di Ferrarelle“.
Fuoco vivo sotto la cenere
Sono proprio gli sguardi e le emozioni a trasmettere il calore degli oggetti: come da definizione di vocabolario, la bornisa (p.234), conserva sotto uno spesso strato di cenere un fuoco vivo capace di intiepidire le fredde serate invernale. “Soltanto il racconto– spiega Lucrezia- è in grado di trasformare gli oggetti in qualcosa di vivo, quasi magico. Ecco che strumenti di uso quotidiano vengono ad assumere un’identità, un’anima“.
Vari sono gli oggetti raccolti in queste prime tappe e nelle settimane precedenti, custoditi questi ultimi, in un primo archivio virtuale, pensato per far comprendere al pubblico la finalità del progetto: semplici fotografie, chiavi, cappelli, trombe, ditali e persino un machete. “Nulla mi ha colpito come i trampoli che ci ha portato un anziano di Vianino- racconta Thea- un paio di zeppe alte almeno 30 centimetri, all’apparenza scomode e inutilizzabili. Dopo alcuni minuti, però, il suo racconto ha assunto le tonalità di una favola: il signore ci raccontava di come il babbo lo portasse sulle spalle a scuola, sull’altra sponda del torrente Ceno, attraversando l’acqua senza bagnarsi i piedi“.
Generazioni a confronto, si diceva, generazioni che, in molti casi, hanno affrontato guerre e ricostruzioni, non molto dissimili, per certi versi, a quelle che noi tutti ci troviamo oggi a vivere. “Sempre a Vianino- racconta Lucrezia- abbiamo ricevuto un telo bianco, apparentemente un lenzuolo. Si trattava in realtà di una sorta di paracadute, utilizzato dall’aviazione inglese per gettare dagli aerei aiuti e rifornimenti previsti dal Piano Marshall. In un’epoca di stenti, però, anche un telo di scarsa fattura poteva tornare utile, come lenzuolo o persino come stoffa per un abito da sposa“.
Oggetti molto semplici, in alcuni casi persino banali. “Ciò che più mi ha sorpreso- spiega Virginia- è stato vedere strumenti di lavoro trasformati, davanti ai nostri occhi, in esseri dotati di un’anima: spesso le persone ci portavano non soltanto pezzi di storia, ma pezzi di sé“.
Uno sguardo al futuro
Completata la prima tourne, le ragazze non intendono certo fermarsi: per la prossima estate sono già in programma tre appuntamenti tra Compiano e Berceto, in attesa di definire un terzo comune ospitante. Fine ultimo del progetto è, però, la realizzazione di qualcosa di ben più concreto e duraturo. Grazie anche all’aiuto di Marco, Francesca e Carolina, collaboratori per riprese, audio e montaggio, la raccolta porterà ad un’esposizione in cui gli oggetti concessi in prestito dagli utenti saranno affiancati da docufilm, video interviste in pillole e sei video-racconti, uno per ciascuna delle località visitate. La speranza rimane quella di realizzare, in un ventunesimo secolo di tecnologia e innovazione, un portale che sappia valorizzare la tradizione, realizzando in un certo senso il sogno che già era di Guatelli:
“Tutti sono capaci di fare un museo con le cose belle, più difficile è crearne uno bello con le cose umili come le mie”
di Filippo Pelacci
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