Un anno di Covid? Ma va, non ce n’eravamo accorti
Servizi giornalistici, speciali TG e commemorazioni: il Coronavirus in Italia ha compiuto un anno e pare ci fosse bisogno di ricordarlo...
21 febbraio 2020 – 21 febbraio 2021.
Un 38enne positivo al Coronavirus ricoverato a Codogno. Sì, ok, sei in Lombardia, ma la provincia di Lodi non è proprio dietro l’angolo e poi dicono si tratti di influenza. Chiama tua madre. “A Parma domani ti ci porto io, non lo prendi un treno da lì”. È iperprotettiva, eccome se lo prendi quel treno. Non ti impegni neanche troppo a cercare una mascherina, le due farmacie che conosci non ne hanno più: non era destino. In stazione, però, c’è un’aria un po’ strana. Pochi annunci, quelli che bastano a dirti che tutti i treni passanti per Casalpusterlengo non fermeranno più in quella stazione. Sono isolati. Va beh, mica andavi a Casalpusterlengo scusa. Infatti. Una strana sensazione di disagio in treno, quella che avremmo poi imparato a riconoscere come sospetto: con noncuranza tutti alzano la sciarpa apparentemente più del dovuto. A Parma ci arrivi e tanto basta. Pensi che in fondo è andata bene, anche se non lo puoi sapere davvero e soprattutto non ti preoccupi che sia così. Avresti cominciato a preoccuparti solo dopo. Il resto lo abbiamo vissuto tutti.
Se qualcuno se lo fosse perso – fortunato lui – lo aggiorno: il Coronavirus abita in Italia da un anno. Lo so, ne sembrano passati sei. Eppure. Dopo 366 giorni di Ce la faremo e Ne usciremo migliori siamo ancora qua. Ce l’abbiamo fatta sì, a esaurirci. E no, non ne siamo usciti, né migliori né altro. E mentre siamo alle prese con la segnaletica semaforica delle Regioni, con le varianti, i vaccini desaparecidos e con un Governo patchwork forgiato col fuoco del Drago, si è pensato che fosse opportuno fermarsi un attimo per ricordare. Il rispettoso ed elegante minutino di silenzio? No, un intero giorno tutt’altro che silenzioso dedicato a tutto ciò che l’ultimo anno è stato.
Plot twist: è ancora tutto così. Non sarebbe giusto dire che non è cambiato niente. Ma tutto ciò che si è voluto ricordare il 21 febbraio è ancora presente: ci sono ancora vittime ogni giorno e in quantità non trascurabili, il personale sanitario è ancora stremato e ancora numericamente insufficiente, le persone sono ancora lontane e sono ancora sole, moltissimi ragazzi ancora non frequentano regolarmente le aule scolastiche, i sussidi Statali ancora arrivano a fatica e a rilento.
Solo che abbiamo tutti un anno di Covid in più. Il 2020 era iniziato con un inaspettato senso di vicinanza e comunità che prometteva di tendere la mano a chiunque avesse bisogno di aiuto per arrivare in fondo. È che non c’è nessun fondo per adesso. Ci sarà, ma non è oggi…neanche a un anno di distanza. E forse fa bene al cuore pensare a ciò che è stato piuttosto che a ciò che sarà, ma non mi sembra un’idea geniale: certo, una più una meno non farà differenza. Cosa ricordiamo allora, di essere sopravvissuti? Strano, pensavo stessimo ancora cercando di farlo.
E non c’è nessuna volontà di sterile polemica, così catartica a volte, ma sempre così abusata. C’è solo la convinzione – ferma, forse troppo – che la memoria abbia un diverso valore. Non si commemora per ricorrenza. O meglio, lo si fa: motivo per cui molti associano il 27 gennaio a La vita è bella in TV e a nient’altro. Ma questa è un’altra storia. Si commemora per evitare di dimenticare. Per non ripetere storici e/orrori. Per far sì che l’esperienza abbia sempre un valore.
Ebbene, nessuno ha dimenticato. Le ambulanze. Le mascherine. Le restrizioni. La morte. La paura. La crisi. La distanza. Tutto ancora saldamente qua. E a dirla proprio tutta riportare il pensiero a quel 21 febbraio 2020 rischia di provocare – con me ci riesce benissimo, ad esempio – solo un fortissimo giramento di zebedei più che un accorato ricordo. Perché non mi pare che sia finita presto come si diceva. Non siamo tornati ad abbracciarci più forte di prima: non ci siamo proprio più visti, pensa un po’.
“Il virus è clinicamente morto” dicevano, e poi invece ecco una di quelle resurrezioni degne del Vangelo. Abbiamo mandato i ragazzi a scuola, ma senza potenziare i trasporti pubblici: che magari era una pensata intelligente. Ma forse si sarebbe creato un precedente che poi si sa, la gente si abitua, e vuoi mica che si metta a pretendere idee intelligenti più spesso? Perfino il venerdì non è più venerdì: era l’inizio del weekend e ora è il giorno di temute sentenze cromatiche.
Il telegiornale del 2021 non è così diverso da quello del 2020: avrebbe dovuto? Forse. Lo hanno sperato in tanti. E lo so benissimo che non è tutto uguale a un anno fa. Bisogna ammetterlo con consapevolezza. Ma con altrettanta consapevolezza si deve riconoscere – ed è disfattista anche solo scriverlo, figuriamoci pensarlo – che prevale spesso la sensazione che ogni buona notizia possa essere da un momento all’altro smentita. L’ultimo anno ci ha abituati così. Questo dovremmo ricordare: l’esasperazione guasta l’ottimismo. C’è poco da fare, troppi sacrifici e troppo poco in cambio.
Eh ma allora che si fa se non si ricorda? Si progetta. Questa cosa spaventosa e oscura comunemente detta ‘fare piani per il futuro’. Progettate. Che siano le vacanze del 2035 o il tasso d’interesse per un mutuo che non aprirete mai per comprare una casa che non acquisterete mai, progettate. Non importa se i piani per il futuro sono ridicoli e se è ridicola anche l’idea stessa di futuro. Fate progetti, abbiate un piano B per quando andrà tutto male (non è ora quel momento? Ah già!) e non crogiolatevi troppo in quello che è stato e poteva essere: è andato tutto a bagasce, come direbbero a Genova. Quindi fatelo, progettate. Tanto è gratis e senza impegno in fondo, come direbbe la signorina delle televendite.
L’impegno, in ogni caso, non dovreste mettercelo voi: lo Stato semmai, l’Europa o addirittura Dio secondo alcuni. Sarebbe auspicabile che fossero loro i primi a progettare. Una campagna vaccinale efficiente, ad esempio, sarebbe un gran bel progetto: secondo OmniCalculator una studentessa media – ogni riferimento è puramente casuale – potrebbe ricevere il vaccino in un periodo di tempo compreso tra il 5 novembre 2021 e il 14 aprile 2022. Un minuto di silenzio qui ci vorrebbe davvero.
Certo che passa la voglia di progettare a questo punto, è comprensibile: ma ricordate, per restare in tema, quando nessuno credeva che un vaccino sarebbe arrivato così in fretta? Qualcuno ha fatto un progetto che sembrava irrealizzabile e un vaccino è arrivato. Più ad altri che a noi, senza dubbio, ma è comunque arrivato.
E se il totale anti-romanticismo non fosse ancora emerso fin qui, buttiamola proprio sul semplicistico: forse più che ricordare che è passato un anno, dovremmo pensare a come evitare che ne passi un altro altrettanto di m****a.
di Bianca Trombelli
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