La lotta per le donne con le donne: il lavoro del centro antiviolenza Parma durante la pandemia

L'avvocatessa Samuela Frigeri interviene al seminario dell'Università di Parma “Donne e Diritti: prospettive tra ricerca e territorio”

La violenza sulle donne, tra le mura della propria casa, per mano del proprio partner, è un fenomeno che purtroppo in Italia non vede un calo. E oggi il bilancio si fa più amaro. A causa dello scoppio della pandemia da Covid-19, emergono criticità mai avute prima, e i centri antiviolenza hanno fatto il possibile per adattarsi alla nuova situazione.

Di questo tema ne parla l’avvocata Samuela Frigeri, presidente del centro antiviolenza di Parma, ospite del primo incontro della Terza edizione dei seminari “Donne e Diritti: prospettive tra ricerca e territorio” dell’Università di Parma. Gli incontri sono organizzati e coordinati da Fausto Pagnotta, docente di sociologia delle disuguaglianze di genere. All’incontro svoltosi online hanno preso parte anche – dopo i saluti istituzionali  di Giovanni Francesco Basini, Direttore del dipartimento di Giurisprudenza, Studi politici e Internazionali -, Nicoletta Paci, Assessora alla Partecipazione e ai Diritti dei cittadini, Giacomo Degli Antoni, Presidente del corso di Laurea in Scienze Politiche, Chiara Scivoletto, Presidente del Centro Interdipartimentale di Ricerca Sociale e Francesca Nori, Presidente del Cug.

La pandemia e i numeri delle richieste di aiuto

Come spiega l’avvocata Samuela Frigeri, nel primo periodo di Covid-19, quando tutta l’Italia è in lockdown totale, il numero di donne che chiede aiuto, al centro antiviolenza di Parma, crolla vertiginosamente. In tutta la regione, nel mese di marzo dell’anno scorso si nota una riduzione di richieste di aiuto intorno al 51% rispetto al periodo del 2019: tale dato viene fornito dal coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna fatto su 13 centri, che facevano parte del coordinamento regionale.

Verso aprile, siccome la situazione Covid-19 è leggermente più ‘tranquilla’, si riscontra un aumento del numero di chiamate. Nel mese di giugno, invece, il numero di violenze segnalate aumenta rispetto al periodo del 2019. A ottobre, con il ritorno a un semi-lockdown, il numero di richieste di aiuto cala di nuovo. Oggi, invece, le richieste sono tornate nella media degli anni precedenti.

Al centro antiviolenza di Parma i numeri alla fine dell’anno hanno confermato quelli del 2019, ma con queste fasi di alti e bassi, legate alle difficoltà di movimento, alle difficoltà di chiamare con il partner sempre in casa, per segnalare, chiedere aiuto o denunciare. E poi forse, per alcune vittime, c’è anche la paura che servizi sociali e Forze dell’ordine impegnate e limitate dalle regole anticontagio non fossero in grado di aiutarle.

Le settimane febbrili di riorganizzazione del centro a Parma

Il centro antiviolenza, quindi, si trova davanti ad una serie di problematiche: si interroga su come arrivare a queste donne, sul come non farle sentire smarrite, trovare un modo per far comprendere che loro ci sono e, soprattutto, che si sta lavorando per loro.

L’avvocata Samuela Frigeri le definisce settimane febbrili, poiché per far sì che il centro si possa riorganizzare e razionalizzare in termini di spazio e accoglienza – essendo il centro relativamente piccolo – si sono dovute attuare delle modifiche per evitare assembramenti.

Nel primo periodo di situazione emergenziale hanno ripensato anche a come affrontare i colloqui, perché quelli in presenza non erano più possibili. Hanno utilizzato mezzi come WhatsApp e altre piattaforme online, ma non sempre era possibile per queste donne riuscire ad utilizzare il telefono senza essere scoperte dal loro aguzzino. Nel momento in cui si riprendono i colloqui di persona, diverse sono le richieste di colloquio con le operatrici, tali da costringere a trovare subito modalità per farlo in sicurezza.

La lontananza fisica tra l’operatrice e la donna, sicuramente, ha aggravato ulteriormente le difficoltà di comunicazione. Tutt’ora il centro riscontra delle difficoltà di accesso che cerca di gestire aumentando l’orario di apertura per accogliere queste donne e per consentire, quindi, a un numero più ampio di loro la possibilità di accedere fisicamente. Tutto questo anche a tutela delle operatrici.

Durante la fase di riorganizzazione il centro ha dovuto attingere a risorse straordinarie, chiedendo disponibilità di alloggi a residence, alberghi, e qualsiasi altra struttura che possa garantire un tetto alle donne, ma anche ai loro figli.

Una tra le varie soluzioni adottate dal centro, come risposta di aiuto, è quella di attivarsi anche sui social.  “Siamo aperti, potete chiamarci, potete venire al centro se avete bisogno” si legge nei post della campagna di sensibilizzazione e informazione. Ci sono poi diversi consigli utili: per esempio l’indicazione di motivare lo spostamento come situazione di emergenza; consigli sul come non farsi scoprire dal partner violento, cioè cancellando la cronologia del proprio telefono; e se non è possibile si può chiedere aiuto e far chiamare dalla banca, dal supermercato, dal negozio in cui si va a fare la spesa.

Chi sono le donne che chiedono aiuto?

Come spiega l’avvocata Frigeri :” le richieste di aiuto telefoniche, nella maggior parte dei casi, sono fatte da donne italiane, mentre, quelle fatte da donne straniere sono di meno, a causa della scarsa comprensione della lingua italiana o la macanza di strumenti di comunicazione e, di conseguenza, per loro diventa fondamentale per poter accedere alla struttura del centro antiviolenza di persona.

Le donne che si rivolgono al centro possono farlo tranquillamente in anonimato, senza presentare documenti di riconoscimento, e se la donna è straniera non richiedono il permesso di soggiorno.

Un’altra tipologia di donne che chiedono aiuto sono coloro che hanno uno stipendio, ma non sufficientemente remunerativo per poter affrontare delle spese e mantenere i propri figli da sole. E la situazione emergenziale sta accentuando le situazioni già presenti di disuguaglianza e precarietà.

Come aiutare le donne in difficoltà

All’interno del centro antiviolenza di Parma vengono proposti dei percorsi di presa di coscienza e di empowerment, cioè di autodeterminazione, perché nel momento in cui si diviene succubi di un altro individuo, l’adattamento ai suoi comportamenti per farsi piacere, vengono dati per scontati.

Tali percorsi possono essere anche di ordine giudiziario, ma dipende sempre dalla volontà della donna, per questo è importante che sia lei a fare il primo passo, cioè quello di chiamare per farsi aiutare. E’ importante, inoltre, che sia proprio la vittima a chiedere aiuto, non un parente o un’amica, perché non si otterrebbero i risultati migliori e di reale aiuto per uscire sia da una situazione di violenza fisica sia da una psicologica.

L’avvocata Frigeri, inoltre, spiega che “questi percorsi non sono autoreferenziali, altrimenti sarebbe una violenza sulla violenza, poiché queste donne devono uscire dallo stato di sudditanza che hanno nei confronti del compagno violento. Le violenze che vengono raccontante sono varie, da quelle fisiche a quelle psicologiche, ma anche economiche. Prima del virus queste donne potevano sostenere tirocini formativi insieme ad imprese che erano in accordo con l’associazione, ma purtroppo ora questo percorso è stato interrotto a causa della pandemia”. 

Il virus ha messo in evidenza, come afferma l’avvocata Frigeri, delle situazioni che erano già presenti in passato, mettendole però in rilievo. Ma la cosa più grave è il sommerso, cioè tutte quelle donne che non chiedono aiuto nonostante le violenze. Secondo un’indagine Istat, queste sono circa il 5% dei casi stimati. Il lavoro per aiutarle tutte è quindi ancora lungo.

di Giulia Specchio

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