Dad e disabilità: inclusione o esclusione? “Senza socialità rischio regressione”

Tra aprile e giugno 2020, oltre il 23% degli alunni con disabilità non ha preso parte alle lezioni. Grazie alle testimonianze di studenti e genitori, facciamo il punto su questo tema spesso trascurato

 

Prof. io non riesco a vedere le slide”.“Accenda il microfono per favore”. “Ho problemi di connessione”. “Può condividere lo schermo?”.

Frasi che, lette un paio d’anni fa, probabilmente non avrebbero avuto alcun senso, ma che oggi invece studenti e insegnanti si ritrovano ad ascoltare e pronunciare quotidianamente. La Didatti a distanza durante il lockdown ha rappresentato una ‘scialuppa di salvataggio’, evitando l’interruzione dell’insegnamento e ancora oggi è l’unica possibilità per alcuni. 

Ma se tutti gli studenti riscontrano limiti ed ostacoli nello svolgimento della didattica a distanza, questi risultano spesso amplificati nel momento in cui parliamo di studenti con particolari disabilità. Dal report dell’IstatL’inclusione scolastica degli alunni con disabilità – A.S. 2019-2020’ emerge infatti che la didattica a distanza crea meno possibilità per gli studenti italiani con disabilità di seguire le lezioni.

Dunque i livelli di partecipazione sono diminuiti sensibilmente, tanto che tra aprile e giugno 2020, oltre il 23% degli alunni con disabilità (circa 70 mila) non ha preso parte alle lezioni, quota che cresce se si guarda alle regioni del Sud, dove si attesta intorno al 29%. Le motivazioni più frequenti che hanno reso difficile la partecipazione degli alunni con disabilità alle lezioni a distanza sono da ricercare nella gravità della patologia, nella difficoltà dei familiari a collaborare e nel disagio socio-economico. L’attivazione della Dad ha reso più complesso un processo delicato come quello dell’inclusione scolastica. I fondamentali per favorire l’inclusione e la partecipazione di studenti con disabilità sono la presenza in aula, le relazioni con i propri compagni, il sostegno di figure competenti opportunamente formate, la presenza e la fruibilità di tecnologie adeguate, l’accessibilità dello spazio. Tutte cose che sono venute a mancare. 

Didattica alienante

Le complessità della Dad hanno ostacolato o interrotto del tutto il percorso didattico intrapreso da molti docenti, impedendo il conseguimento di uno degli obiettivi fondamentali per una didattica inclusiva, insieme a quello dell’apprendimento: quello della socializzazione.

E questo vale in particolar modo per ragazzi caratterizzati da autismo, come ci conferma Cristiana Torricella, presidente di ANFFAS Parma (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettive e/o Relazionali) e madre di Andrea, che frequenta l’Università di Parma: “Ci sono stati fattori limitanti che hanno fatto sì che molti ragazzi siano rimasti di fatto esclusi dal percorso di studio. Ha influito molto la mancanza di socializzazione, nonostante si parli comunque di ragazzi con autismo ad alto funzionamento, l’Università non è accessibile per tutti”.

Per suo figlio infatti il frequentare l’ambiente universitario non è finalizzato solamente ad acquisire conoscenze riguardanti l’ambito di studio, ma ha un obiettivo ben più ampio ed importante: “All’interno di questo percorso di studi lui ha modo di ottenere competenze trasversali. Collegati al percorso ci sono anche altri obiettivi importanti: sviluppare la socialità, sviluppare altre autonomie, competenze relazionali, cosa che la Dad fa mancare. Per esempio, quando Andrea andava in università gli altri studenti lo coinvolgevano in alcuni gruppi di studio, pranzava fuori insieme a loro”. Momenti normali per ogni ragazzo, che tuttavia per una persona con autismo diventano fondamentali. Momenti che oggi Andrea si vede negati. 

 

La mancanza di socialità, il venir meno della possibilità di uscire fuori dalle mura domestiche, confrontandosi con una realtà diversa che stimoli l’apprendimento di conoscenze e competenze che non si limitano all’ambito prettamente didattico, per ragazzi come Andrea hanno portato non poche conseguenze sul piano psicologico:
“Questi ragazzi hanno determinate caratteristiche, hanno dei momenti di regressione che sono abbastanza immediati e veloci. E’ facile perdere i traguardi raggiunti con fatica. Per Andrea, nello specifico, l’aver perso il contatto con l’università  lo ha provato tantissimo. Una caratteristica di questi ragazzi ad alto funzionamento è la predisposizione agli stati depressivi , che in questa fase di chiusura si sono molto acuiti”.

autismo

Si può fare di più?

Un altro grande problema è dato dal fatto che, data la situazione di emergenza, la Dad spesso non sia stata organizzata sempre in modo efficiente. Molte scuole ed università non erano preparate per permettere la fruizione di tale servizio, e si sono dovute adattare velocemente a questo cambiamento, tralasciando talvolta aspetti importanti per il suo corretto funzionamento.

“Lo strumento non è di per sé né buono, né cattivo – afferma Cristiana Torricella- dipende da come lo si usa. Soprattutto dev’essere inserito in modo coerente all’interno di un sistema che sa supportare questo tipo di tecnologia. Per quanto riguarda l’autismo, è noto che la strumentazione informatica può essere un valido  supporto. Ovviamente dev’essere pensata all’interno di un progetto generale di sostegno allo studio, che non sia limitato semplicemente a questo strumento, con tutte le difficoltà di utilizzo”.

 

Le difficoltà incontrate da suo figlio riguardano innanzitutto la scarsa presenza dei tutor universitari e delle scuole superiori ma anche la mancanza di accesso ai contenuti: “Sto riscontrando per esempio che non tutti i professori pubblicano con puntualità o si rendono disponibili a fare lezione, anche se da remoto, in una forma che assomiglia a quella in presenza”.

Questo tipo di difficoltà ‘tecniche’ riguardano non solo l’ambito universitario, ma anche quello scolastico. Lo conferma la testimonianza di Angela, membro dell’associazione ANGSA Parma e mamma di un ragazzo affetto da autismo che frequenta le scuole superiori: “La didattica a distanza è sicuramente meglio di niente, piuttosto che la giornata completamente vuota,  però non è sufficiente rispetto ai suoi bisogni. Noi l’abbiamo sperimentata a maggio. È stata attivata tardi, perché mio figlio non può partecipare alle lezioni normali perchè ha bisogno dell’insegnante di sostegno o di un’educatrice. Per una serie di problemi, però, questa opportunità non gli è stata fornita, se non in minima parte. E lì ho dovuto fare io da mediatore, perché lui da solo non riusciva a seguire le lezioni.”  

teams

…ma anche vantaggi

La didattica a distanza, se utilizzata nel modo corretto e con le giuste finalità, può avere molti vantaggi. Infatti, come ci spiega Cristiana Torricella: “Uno dei canali di forza delle persone che hanno questo tipo di caratteristiche è la visualizzazione per immagini, e li aiuta il fatto di avere comunque un contesto ‘pulito’ da tanti stimoli che possono essere disorientanti. È molto più facile avere una ‘relazione’ attraverso un monitor. Questo però dovrebbe essere inserito in modo coerente  all’interno di un programma e un piano di studi ragionato”.

In particolar modo, questo strumento può essere molto utile a studenti che presentano disabilità motorie e che hanno quindi difficoltà a frequentare le lezioni in presenza.

R., una studentessa dell’Università di Cagliari, ha deciso di portare la sua testimonianza affinché si possa comprendere l’importanza rappresentata dall’erogazione di questo servizio per i ragazzi disabili come lei: “Per me essenzialmente è l’unico modo per fare didattica e per poter seguire le lezioni, perché io abito a circa un’ora da Cagliari, ed è impossibile per me diversamente seguire le lezioni e fare tutte le attività, non mi sarei proprio iscritta altrimenti se non ci fosse stata la Dad, che è per me essenziale. Ma ci sono persone come me che non hanno proprio possibilità di scelta. Sicuramente mi manca vedere i compagni di corso e la socializzazione, ma questa per me è una necessità pratica reale”.

 

Dunque per quanto sia alienante dal punto di vista umano e sociale, la Dad per alcuni studenti costituisce uno strumento importante e, talvolta, essenziale. Per una didattica inclusiva, guardando in prospettiva post-covid, si spera che si possa continuare l’attuazione di una modalità mista, che preveda lezioni in presenza disponibili però anche online per chi, per difficoltà motorie e non solo, non abbia la possibilità di seguirle dal vivo. Si tratta di un servizio che alcuni atenei -seppur ancora pochi- già prima della pandemia mettevano a disposizione degli studenti, è il caso ad esempio dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

Tuttavia, se vogliamo che questo strumento sia davvero utile, è necessaria  un’organizzazione più efficiente e integrata con gli altri aspetti della didattica. Infatti non possiamo continuare a nasconderci dietro l’emergenza e la natura provvisoria e sostitutiva di questo tipo di didattica: la componente di improvvisazione, di assenza di previsione, di programmazione che ci poteva essere nelle prime fasi, ormai è superata. A rimetterci più duramente, altrimenti, saranno sempre quelli che già partono più fragili.

di Francesca Caruso

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