Sanremo 2021, tanto fumo e niente pubblico!
Sabato 6 marzo con la vittoria dei Maneskin si è conclusa la 71esima edizione del Festival di Sanremo. Un’edizione in bilico ancor prima di iniziare e che ha continuato a traballare nel corso delle sue cinque serate.
Benjamin Franklin scriveva che ci sono due cose sicure nella vita: la morte e le tasse. Un italiano aggiungerebbe alla lista il Festival di Sanremo. Inutile girarci intorno, il Festival è un evento unico nel suo genere, capace di catapultare in un mondo parallelo fatto di musica, vestiti sfarzosi e bouquet di fiori primaverili. Ma quest’anno anche un fenomeno inossidabile come Sanremo ha dovuto fare i conti con il temutissimo Covid.
No pubblico, No party
Per la prima volta in 71 anni il Festival di Sanremo è andato in onda senza pubblico in sala. Ebbene sì, come ha twittato il ministro Franceschini, l’Ariston è un teatro e come tale deve rimanere chiuso al pubblico. A nulla sono valsi i tentativi della Rai di equiparare il teatro Ariston ad un qualunque studio televisivo. Ma si sa: show must go on e il 2 marzo, nel rispetto di un protocollo sanitario lungo 75 pagine, ha preso avvio il ‘Festival della ripartenza’. Le seggiole rosse vuote che aleggiano in sala come fantasmi hanno fatto rimpiangere persino la platea “imbalsamata” degli anni precedenti. La splendida scenografia di Gaetano e Maria Chiara Castelli e la scelta registica di focalizzarsi sull’orchestra non sono state sufficienti a creare quell’atmosfera di festa e spensieratezza tipiche del Festival di Sanremo.
L’assenza di pubblico non è stata però l’unica nota stonata del Festival 2021. L’indubbia professionalità e la complicità dei mattatori Amadeus e Fiorello non sono bastate a far digerire la durata monstre delle serate. La scelta di far gareggiare nella categoria Big ben 26 artisti, la maggior parte dei quali sconosciuti ai più, non è stata vincente. Il fatto poi che tra un’esibizione e l’altra ci siano state ospitate senza una coerenza di fondo ha fatto storcere il naso. Cosa accomuna Gigliola Cinquetti ad Achille Lauro, simboli di generazioni musicali lontanissime?
Le dissonanze del Festival
In un panorama televisivo che strizza sempre più l’occhio al mondo dei social si è pensato di accontentare tutti, creando una sorta di ‘minestrone musicale’. La quarta serata del Festival, durata oltre cinque ore e che ha visto trionfare il valido Gaudiano nella categoria Nuove Proposte, ne è un chiaro esempio con le sue trenta esibizioni tra big e giovani. Una vera e propria maratona che ha lasciato a bocca asciutta gli assonnati spettatori. Si ha l’impressione di assistere ad uno show pensato su misura dello share e dei blocchi pubblicitari. Peccato però che gli ascolti siano stati i più bassi degli ultimi anni e che, tra un Achille Lauro che si erge a performance artist contemporaneo e una sterile polemica genderless sull’assegnazione dei fiori, si perda totalmente la suspense della gara.
Tra canzoni dimenticabili e performance vocalmente deboli, non stupisce che ad imporsi sia stata la rock band dei Maneskin con l’esplosiva Zitti e buoni, il cui ritornello “siamo fuori di testa” rispecchia la confusione mentale e l’energia repressa che in questi tempi accomuna tutti gli italiani. Rock è stata anche quest’edizione del Festival che non si è lasciata fermare dalla pandemia e che con determinazione ha dato un segnale di ritorno alla normalità. Uno show televisivo non può risolvere i problemi di chi è malato o di chi ha perso il lavoro, ma può regalare alle persone un po’ di leggerezza e divertimento. Proprio in questo il Festival è riuscito brillantemente, grazie alla verve e all’ironia di Amadeus e Fiorello. Per una settimana abbiamo cancellato le difficoltà quotidiane, diventando tutti provetti critici musicali. L’effetto dirompente del Festival si sentirà ancor di più nella prossima edizione dell’Eurovision Song Contest di Rotterdam, in cui arriverà la carica adrenalinica dei Maneskin. Ancora una volta l’Italia festivaliera conferma la sua capacità di saper rispecchiare il gusto del momento e l’abilità di non proporre mai lo stesso genere musicale a livello internazionale.
di Silvia Curtale
Scrivi un commento