“Dalla cultura del possesso a quella del rispetto”: al seminario dell’UniPr riflessioni e dati sulla violenza di genere

'Liberiamoci Dalla Violenza' è il piano regionale di prevenzione della violenza di genere illustrato da Carla Verrotti, direttrice U.O. Salute Donna Ausl di Parma. Tra i nuovi progetti, anche centri di ascolto per uomini che vogliono cambiare

 

Il 18 Marzo l’Università di Parma ha ospitato virtualmente il terzo incontro del ciclo di seminari “Donne e Diritti: prospettiva tra ricerca e territorio”. L’intervento, dal focus La prevenzione della violenza di genere: tra nuove sfide e buone pratiche, è stato gestito dal professore Fausto Pagnotta, del Dipartimento di Giurisprudenza, e da Carla Verrotti, la direttrice U.O. Salute Donna Ausl Parma, specialista in ostetricia e ginecologia e responsabile dei consultori di Parma. 

Al giorno d’oggi, l’attenzione su tale tema è molto più alta rispetto al passato, ma mai abbastanza. Infatti, risale al 20 marzo la comunicazione ufficiale del ritiro della Turchia dalla Convezione di Istanbul, un documento del 2011 che imponeva ai governi firmanti l’adozione di una legislazione contro la violenza di genere. Ma restando nel territorio nazionale, nel 2021 sarebbero già 14 le vittime di femminicidio, a quanto riporta femminicidioitalia.info, un sito che si occupa di raggruppare le statistiche delle maggiori testate nazionali. 

Che cos’è la violenza di genere

La violenza di genere si declina in moltissime forme, e secondo il Consiglio d’Europa si deve considerare tale un atto che “provoca o è suscettibile di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata”.

Si possono quindi individuare quattro categorie di violenza: quella psicologica, quella fisica, quella economica e quella sessuale. L’ambito però in cui questo tipo di atti sono più diffusi è la violenza domestica, ovvero quella che si consuma per mano di un marito, di un partner o di un ex partner nell’intimità di una relazione. Questo genere di violenza può essere definito come un ciclo ad ondate, dove gli episodi violenti sono solitamente seguiti da un forte pentimento, dalla tensione e dalla ripetizione della violenza. Se all’inizio del ciclo questi eventi possono essere sporadici, man mano diventano più ravvicinati e violenti.

La dottoressa Verrotti fa presente come anche la donna faccia una grande fatica a prendere coscienza della sua situazione e a fuggirne, perché legata al partner da un sentimento, oppure dal bisogno economico, o anche perché in molti casi la violenza è percepita come normale. Come risposta a ciò, è un imperativo sociale creare una conversazione, informare uomini e donne che la violenza non può e non deve essere parte di una relazione. 

I numeri ed i risvolti sulla salute 

Secondo i dati raccolti dall’Istat, questa conversazione si deve sostenere anche perché riguarda una donna su tre. Infatti, il 31,5% di donne tra i 16 ed i 70 anni ha subito violenza fisica o sessuale nella sua vita – quasi sette milioni di donne italiane. Oltre a loro, più di quattro milioni di donne hanno subito violenza psicologia e più di tre milioni e mezzo sono state vittime di stalking.

Tutti questi numeri dovrebbero far scattare un campanello di allarme, sia negli uomini sia nelle donne, eppure è solo di recente che la dottoressa Verrotti ha notato, con molto ottimismo, un leggero aumento nel numero di denunce e nella presa di coscienza. Infatti, solo il 12,3% di queste vittime di violenza è riuscita a denunciare. Questo anche per gli effetti devastanti che hanno questi episodi: secondo i dati della World Health Organization, le donne che sono state vittime di comportamenti violenti hanno il doppio delle possibilità di cadere in depressione o di avere problemi di salute mentale, oltre che quasi il doppio del rischio di abusare di alcolici o droghe. Inoltre, dal punto divista sessuale, hanno il 16% di possibilità in più di partorire un bambino di basso peso, e rischiano di contrarre l’AIDS e altre malattie sessualmente transmissibili 1,5 volte di più. Nel 42% dei casi, la violenza ha causato danni fisici e/o patologie alle vittime, e il 38% degli omicidi che hanno visto una donna come vittima riconducibili ad una violenza domestica.

Visti questi dati, è chiara l’importanza che ha il sistema sanitario. Non solo perché l’aiuto medico è necessario nella maggior parte di queste situazioni, ma anche perché gli operatori sanitari hanno il ruolo chiave delle “sentinelle”, ovvero coloro che cercano di identificare le situazioni di violenza. Il loro è un compito particolarmente arduo, sia perché molte donne lo nascondono, sia perchè ci sono violenze che non sono visibili ad occhio nudo. 

La prevenzione ed il percorso

“Quando la violenza si manifesta, è già troppo tardi”, afferma Carla Verrotti, mettendo in luce l’importanza primaria della prevenzione. A questo riguardo, la regione Emilia-Romagna ne ha fatto il primo punto del suo piano regionale del 2016: esso si compone per l’appunto di una fase di prevenzione, una di protezione e sostegno per le donne che ne escono, una di trattamento per gli uomini autori di violenza, ed infine azioni di sistema come il monitoraggio e la ricerca. 

Esistono tre tipi di prevenzione, quella primaria, quella secondaria e quella terziaria. Nel primo caso, si interviene sullo stereotipo e si cercano di promuovere ruoli di genere non discriminatori, occupandosi delle origini sociali e storiche della violenza degli uomini nei confronti delle donne. Si tratta di tutte quelle attività che vogliono informare, sensibilizzare e produrre un cambiamento, e che in concreto hanno luogo negli ambiti dell’educazione e nella formazione, ad esempio con progetti nelle scuole, e nella comunicazione, con riflessioni sull’utilizzo del linguaggio e sulla pubblicità, sui prodotti multimediali che consumiamo. Per questo, la Regione ha attivato delle linee guida in ottica di genere, e anche molti programmi con le scuole; a Parma, i consultori hanno attivato un interessante programma di peer education nelle scuole superiori, “L’altra faccia dell’amore”, in quanto nei rapporti tra adolescenti la violenza è precocemente presente, come riporta una ricerca del 2014 del Telefono Azzurro.

Nel secondo caso si opera tramite l’identificazione in maniera precoce di comportamenti violenti, a volte agendo direttamente sulle categorie a rischio (donne giovani, studentesse, nubili o divorziate), svolgendo un’azione di sostegno materiale e psicologico, oltre che di empowerment. Infine, si agisce quando il fenomeno è già in atto, e quindi gli interventi riguardano l’aspetto legale, l’ospitalità, l’inclusione sociale e lavorativa, gli atti di empowerment e gli interventi sugli uomini autori di violenza.

Liberamoci Dalla Violenza: lo spazio per gli uomini 

Sotto la gestione del consultorio, a Parma esiste dal 2014 un’importante realtà: il centro Liberiamoci Dalla Violenza, dedicato a quegli uomini che vogliono cambiare il loro comportamento violento. Questo tipo di strutture è stato fortemente voluto dalla regione nel 2011, e sono nate in via sperimentale per poi diventare attività strutturate e dal ruolo fondamentale nel territorio. Il centro di Parma è gestito da psicoterapeuti e si rifà all’esperienza del centro “ATV – Alternative To Violence” di Oslo, che opera dal 1987, ma la possibilità di percorsi per uscire dalla violenza esiste già nella legge 69 del Codice Rosso.

L’obiettivo è rendere gli uomini consapevoli del loro comportamento, supportarli in un percorso che vuole far loro disimparare la violenza e far acquisire capacitàrelazionali basate sul rispetto e sul riconoscimento dell’uguaglianza e dell’autonomia della donna.

Altri obiettivi sono il riportare la responsabilità della violenza sugli uomini, un’azione dal forte valore simbolico, che vuole ribadire come non ci siano, in nessun caso, giustificazioni per un comportamento violento, e imparare a chiedere scusa al partner o ai figli, che assistono alla violenza. L’accesso ai centri LDV è volontario, è l’uomo a dover chiamare, a dover chiedere aiuto, cosa particolarmente difficile visto che lo stereotipo maschile gli insegna il contrario, e c’è una usuale sottovalutazione del problema o mancata presa di coscienza e comprensione che l’atto violento va oltre l’impeto.

Per arrivare a questo percorso, che ha la durata media di un anno, gli uomini sentono di aver oltrepassato un limite, a volte gli viene suggerito dalla compagna, oppure si tratta di padri che sono già in contatto con il Tribunale dei minori, che consiglia loro quest’opzione. Quando un uomo autore di violenza si fa assistere da un centro Liberiamoci dalla Violenza, la partner si sente immediatamente più sicura, anche grazie alla sospensione della violenza presente in quel momento, e può iniziare anche lei un percorso di supporto. 

Nelle parole della dottoressa Carla Verrotti, “bisogna passare da una cultura del possesso a una cultura del rispetto”. Per farlo, è fondamentale la visibilità: bisogna creare delle conversazioni con tutti, dai giovanissimi ai colpevoli di comportamenti violenti, bisogna conoscere la propria realtà, i servizi che offre e l’aiuto che si può dare, ed infine bisogna cambiare.

di Teresa Tonini e Issraa Zorgui

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