La piccola ape furibonda: 90 anni di Alda Merini

A quasi un secolo dalla sua scomparsa, ecco chi era una delle poetesse più importanti del panorama culturale italiano e perché la ricordiamo ancora con così tanta ammirazione.

 

Il 21 marzo 2021 Alda Merini avrebbe compiuto novant’anni. Una delle più grandi firme della poesia italiana che ha regalato versi rimasti nella storia della letteratura. Infatti, nonostante sia passato quasi un secolo dalla sua nascita e qualche decennio dalle sue prime opere, la ricca produzione della poetessa candidata al Premio Nobel ancora oggi sorprende, emoziona e insegna.

L’infanzia difficile e la passione per la scrittura 

Se la mia poesia mi abbandonasse

come polvere o vento,

se io non potessi più cantare,

come polvere o vento,

io cadrei a terra sconfitta

trafitta forse come la farfalla

e in cerca della polvere d’oro

morirei sopra una lampadina accesa,

se la mia poesia non fosse come una gruccia

che tiene su uno scheletro tremante,

cadrei a terra come un cadavere

che l’amore ha sconfitto.

(da Come polvere o vento )

Alda Merini nasce a Milano nel 1931, seconda di tre figli di un amorevole padre impiegato e di una severa madre casalinga. Coi suoi genitori Alda avrà un rapporto complicato, segnato da un affetto profondo, ma anche dai problemi che il momento storico e la situazione economica poneva di fronte alla famiglia Merini. Infatti, nel 1943 la casa dove abitavano viene distrutta, la famiglia si separa e Alda è costretta a seguire sua madre per restarle accanto e aiutarla coi lavori domestici, non studiando. Quando torneranno a Milano, tre anni dopo, tutto sarà diverso: la loro situazione economica è precipitata tanto che la sorella, per guadagnarsi del pane, aveva preso l’abitudine di alzare la gonna ai militari che incontrava per strada.

Nonostante la difficoltà di quei momenti, è proprio allora che Alda, a soli quindici anni, inizia a scrivere – e che esordio! Poeti e figure culturali di spicco fanno la conoscenza della ragazzetta milanese, come la chiamerà Pasolini, tanto che il suo debutto ottiene da molti di loro recensioni importanti, inaspettate per un’autrice così giovane e così sconosciuta. Ma la passione per la scrittura non è supportata dal padre – un tempo così dedito alla sua educazione – perché con la poesia non si può guadagnare. In quel momento, infatti, seppur riunita la famiglia Merini si trova a vivere in un appartamento troppo piccolo per loro, con necessità finanziarie di gran lunga più importanti della passione letteraria di Alda.

Per uscire da questa situazione che le grava sull’animo, oltre che sul talento, dapprima chiede di essere ammessa in un convento e poi, qualche anno più tardi, inizia una relazione con l’operaio Ettore Carniti, che sposerà nel 1953 e da cui avrà le sue quattro figlie. Nonostante le prime soddisfazioni nella vita artistica e sentimentale, questi sono anche gli anni in cui Alda inizierà il suo lungo e ostico percorso di malattia. 

La malattia mentale ed il trauma del manicomio

“Le mie impronte digitali

prese in manicomio

hanno perseguitato le mie mani

come un rantolo che salisse la vena della vita,

quelle impronte digitali dannate

sono state registrate in cielo

e vibrano insieme ahimè alle stelle dell’Orsa Maggiore.”

(Da Vuoto d’amore)

La prima diagnosi di Alda Merini è disturbo bipolare. Ma lei stessa, così come le persone che le stanno attorno, troveranno diversi altri modi per descrivere quello stato d’animo che la porterà più volte in manicomio: follia, isteria, schizofrenia, ombre della mente. Alla sofferenza mentale che la accompagnerà per gran parte della sua vita, la poetessa ha dato molti nomi e molte spiegazioni, ma nulla che lenisse davvero la ferita lasciata non solo da questo male, ma anche dai soggiorni negli ospedali che avrebbero dovuto curarla. Il suo primo ricovero risale al 1947, quando Alda Merini era una ragazzina di sedici anni al suo esordio letterario, ma i traumi degli internamenti arriveranno solo dopo il matrimonio e il parto. Per dieci anni lei sarà una paziente dell’Ospedale Psichiatrico Paolo Pini, una tortura intervallata da brevi periodi di ritorno a casa segnati dalla nascita della altre due figlie e dal loro successivo affidamento.

Quello che succede tra le mura di quella struttura è un vero e proprio incubo. Le pazienti sono trattate come animali, vivono nel degrado e nella sporcizia, vengono sottoposte a numerosi trattamenti di elettroshock, e soprattutto sono alla mercé di qualsiasi tipo di violenza. Negli scritti riguardanti questo periodo, Alda scrive di pezzi di vetro lasciati accanto a pazienti autolesioniste, stupri subiti da infermieri, dottori e preti, ragazzi che sparivano nel nulla, che morivano. A mantenerla viva, sostiene, sono state le visite del marito che non l’ha mai abbandonata. Quando queste torture finalmente finiscono, Alda Merini cerca di recuperare quella parte di sé che ha dimenticato, quella da poetessa, e torna a pubblicare raccolte di poesie che la riporteranno all’attenzione di colleghi e lettori. Tra queste, non si può non citare il suo capolavoro edito nel 1984, La Terra Santa.

Ma neanche dieci anni dopo dovrà tornare in ospedale, questa volta a Taranto, e si affiderà una volta tornata a Milano alle cure della dottoressa Rizzo, a cui dedicherà molti versi. Da questo periodo, Alda Merini uscirà non solo con una certa serenità ed equilibrio, ma anche con una spiccata fecondità letteraria. 

Tutte le sfumature di Alda Merini

Amai teneramente dei dolcissimi amanti

senza che essi sapessero mai nulla.

E su questi intessei tele di ragno

e fui preda della mia stessa materia.

In me l’anima c’era della meretrice

della santa della sanguinaria e dell’ipocrita.

Molti diedero al mio modo di vivere un nome

e fui soltanto una isterica.

(da La gazza ladra)

 

 

La definizione che meglio descrive questa donna l’ha data lei stessa: una piccola ape furibonda (da Aforismi e magie). Alda Merini era proprio questo: un concentrato vivo di non-ordinarietà.

É una donna che ha commosso, fatto innamorare, ferito e molto altro solo grazie alle sue parole, alla sua penna. Ma è anche quella donna che fino all’ultimo, nel letto d’ospedale, ha fumato con soddisfazione le sue sigarette. E’ una donna che, stanca di vivere da sola, aveva deciso di invitare un senzatetto incontrato per caso per strada a vivere con lei. Una donna che scriveva i numeri del telefono sulla parete, invece che sulla rubrica, che dalle piccole stanze piene di oggetti è arrivata alla televisione, ai premi letterari, alla candidatura per il Nobel.

Una poetessa che ha scritto migliaia di componimenti, ma ancora più numerosi sono quelli nei cassetti degli amici e conoscenti, come raccontano le sue figlie. Un’autrice la cui canzone è stata esclusa dal Festival di Sanremo, che pregava un Dio crudele ma gli dedicava dozzine di versi. Insomma, cercare di definirla, di rinchiuderla in qualche categoria, sarebbe non solo impossibile, ma ingiusto nei suoi confronti.

La poetessa si è spenta nel 2009 a causa di un tumore, ma ciò che ha lasciato la rende più viva che mai. Il suo ricordo è quello di una donna toccata dal dolore, di una scrittrice che ha atteso una vita intera per arrivare al successo che meritava, di un’artista che si è immersa nella poesia, nella prosa, nelle arti visive e musicali. Di lei, c’è traccia ovunque. E per fortuna. 

 

di Teresa Tonini

immagini tratte dal video “Dieci anni senza Alda Merini. Mazzetti: Mi disse ‘L’amore te lo devi cavare come un occhio’ “, dal canale Youtube de La Repubblica

2 Commenti su La piccola ape furibonda: 90 anni di Alda Merini

  1. Un secolo dalla scomparsa di Alda Merini? E poi non servono i correttori di bozze..!

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