Sciopero dei lavoratori Amazon: era una finta favola lavorativa?
I lavoratori di Amazon mettono uno stop all'attività per un giorno: al tavolo delle trattative chiedono più diritti. Le testimonianze di due dipendenti a Parma
Quando pensiamo comunemente ad Amazon, pensiamo alla freccina gialla a forma di bocca sorridente che caratterizza la scritta in stampatello minuscolo dell’azienda di commercio elettronico. E ancora di più pensiamo a quanto sia comodo e veloce, sempre disponibile per realizzare i nostri desideri materiali. Molto più raramente invece pensiamo all’altra faccia della medaglia, ovvero a chi fa girare le lancette di questo immenso orologio che è la filiera Amazon, quella di chi lavora per questo colosso del commercio, gli ingranaggi. E non si parla dei dirigenti: il discorso deve essere approfondito dal punto di vista di chi diventa un’unità di questo grande sistema e viene inghiottito dalla catena produttiva.
È proprio in tal senso che lo scorso 22 marzo 9.500 addetti al magazzino e 15mila driver si sono mobilitati attraverso uno sciopero per far sentire la propria voce: “I turni e la ripetitività del lavoro sono insostenibili”, riporta La Repubblica.
Si tratta del primo sciopero contro Amazon in Italia, proclamato da Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti, e sostenuto da adesioni che hanno raggiunto il 75%.
Come riporta l’AGI nella sezione economia: “Amazon in Italia dà lavoro complessivamente a più di 9.500 dipendenti a tempo indeterminato (di cui 2.600 solo nel 2020) nelle sue oltre 40 sedi: presso gli Uffici Corporate di Milano, i Centri di Sviluppo di Torino e Asti; i Data Center in Lombardia; il Servizio Clienti di Cagliari; i Centri di Distribuzione, Depositi di Smistamento e magazzini dislocati sul territorio dal nord al sud Italia, da Torrazza Piemonte fino a Catania”.
Anche a Parma Amazon ha recentemente costruito un grosso Hub, in soli 5 mesi, nel quartiere artigianale SPIP. Il deposito di oltre 11mila metri quadrati ha portato a oltre 100 posti di lavoro a tempo indeterminato tra operatori di magazzino assunti da Amazon e autisti delle aziende fornitrici di servizi di consegna.
Gli scioperi hanno toccato anche Parma e sul tavolo delle trattative si parla di turni, orari, buoni pasto e altri diritti fondamentali dei lavoratori che in questo caso sono stati accantonati. La riposta del colosso non ha tardato ad arrivare: “Mettiamo al primo posto i dipendenti, offriamo loro un ambiente di lavoro sicuro, moderno e inclusivo, con salari competitivi, benefit e ottime opportunità di crescita professionale”.
Massimo e Monia (nomi di fantasia per tutelare la loro privacy), addetto alla manutenzione mezzi il primo e driver la seconda, ci raccontano la loro esperienza di lavoro con il colosso dell’e-commerce.
Le criticità dei lavoratori all’interno della filiera
Uno dei principali motivi che ha portato allo sciopero del 22 marzo scorso è la condizione dei lavoratori. Innanzitutto i manifestanti denunciano forti differenze tra i vari ruoli occupabili in azienda, in particolare magazzinieri e driver sono spesso caratterizzati da un carico di lavoro maggiore, spesso estenuante e nella maggior parte dei casi non esiste un rapporto diretto tra il singolo lavoratore ed Amazon, ma la multinazionale si affida ad aziende terze.
Come ci spiega Massimo, che ha iniziato la sua carriera presso Amazon come driver, e poi è passato alla manutenzione dei mezzi: “In tutta filiera nessun driver è assunto direttamente da Amazon. Gli orari, i carichi, e la gestione del lavoro però vengono dettati da Amazon”.
In questo modo il colosso può contare su un apparato personale sempre ricco che garantisce ritmi lavorativi costanti anche in situazioni di aumenti improvvisi di lavoro e necessità di risorse. Scelta che tuttavia non convince le sigle sindacali.
Una forte criticità è data dall’ampliamento dell’articolo 42, che trascina nella precarietà anche i lavoratori con contratti indeterminati, infatti Massimo ci spiega che: “Amazon può sostituire facilmente un’azienda subordinata, con la quale stipula brevi contratti, in questo modo tiene sotto controllo anche esse, le quali possono essere sostituite facilmente e con esse anche i lavoratori che ne fanno parte”. Determinati o indeterminati che siano, spetta ad Amazon ed alla nuova azienda scegliere se confermare o meno i lavoratori.
Ma non è solo per questo che i dipendenti di Amazon si sono mobilitati. Le tempistiche di lavoro talvolta oltrepassano il limite, non tenendo conto del fatto che all’esecuzione ci sono degli esseri umani e non delle macchine. In tal senso Mona, driver e mamma, racconta: “Non è pesante a livello fisico, ma psicologico: non è bello stare su un furgone in autostrada e poi in paese in mezzo alla gente e sentirsi stressati. L’algoritmo porta molto stress: abbiamo un tempo prestabilito per consegnare. A fine giornata si torna alla station, si lasciano le bag vuote e il furgone, e si torna a casa. Io arrivo che non riesco neanche a guidare la mia macchina a fine giornata”.
L’algoritmo sembra essere uno dei temi più critici da questo punto di vista, in quanto funziona come un sistema meramente basato su calcoli che non considera le effettive tempistiche di un’attività svolta da persone. “Quando non rispettiamo i tempi l’algoritmo invia un messaggio dicendo che si è in ritardo. Se risulta che una persona riesce a concludere la rotta nel tempo prestabilito il giorno dopo si trova una rotta con più stop. L’algoritmo richiede che la consegna avvenga ogni 3 minuti, ma non calcola il traffico, i pedoni ecc, quindi è impossibile.”
In tal senso è significativo il fatto che proprio per rispettare l’algoritmo spesso i driver sono costretti a sostituire l’uso della toilette con bottigliette di plastica. Come riporta Collettiva il fatto è emerso attraverso un tweet di un membro del Partito Democratico della Camera degli Stati Uniti, Mark Pocan. “Il solo fatto di pagare i tuoi impiegati 15 dollari all’ora – ha scritto sul suo profilo social – non ti rende un posto di lavoro all’avanguardia se poi li costringi a fare pipì nelle BOTTIGLIE di plastica”. A questo punto Amazon ha dovuto dire la verità e ammettere il fatto: “A volte è accaduto, per non perdere tempo nelle consegne dei pacchi. Sappiamo che i nostri autisti possono avere e hanno problemi a trovare i bagni a causa del traffico o perché percorrono strade fuorimano”.
Gli scioperanti pongono l’accento proprio sugli orari e sulle pause, fondamentali in ogni tipo di attività lavorativa, soprattutto nei casi come quello di Monia. Anche qui si verifica un problema: la giornata dovrebbe essere di 9 ore più mezz’ora di pausa, ma spesso questa viene saltata e occupata lavorando. “Ci dicono che la pausa è una necessità, ma nessuno riesce a farla perché la impiega per portarsi avanti con i pacchi, che per altro sono molto aumentati. Tutto è iniziato dalla pandemia. Chiediamo che i ragazzi a termine vengano assunti per smaltire il lavoro fra tutti” spiega Monia.
Cosa chiedono i lavoratori?
Le rivendicazioni alla base delle sciopero sono varie, coinvolgono sia i rider che i magazzinieri. Le organizzazioni sindacali chiedono un adeguamento dei salari, un diminuzione dei carichi di lavoro, la verifica e la contrattazione dei turni di lavoro, la riduzione dell’orario di lavoro dei driver, l’inserimento di una clausola sociale e la continuità occupazionale per tutti in caso di cambio appalto o cambio fornitore, la stabilizzazione dei tempi determinati e dei lavoratori interinali.
Le richieste dei lavoratori arrivano dopo un anno particolare, l’anno della pandemia da Coronavirus, la quale ha causato un aumento dei profitti enorme da parte dell’azienda, gli utili nel terzo trimestre del 2020 sono triplicati e Bezos è stato incoronato l’uomo più ricco del mondo. A causa della pandemia la maggior parte dei consumatori si è rivolta ad Amazon durante l’ultimo anno data la comodità delle soluzioni di acquisto e le restrizioni sociali e fisiche, che in alcuni stati, compresa l’Italia, hanno previsto lunghi lockdown, con una lunga chiusura degli esercizi commerciali fisici. Ciò ha causato un enorme aumento del carico di lavoro dei dipendenti della filiera.
Di com’è cambiato il lavoro all’interno della filiera ce ne parla Massimo: “La giornata è cambiata notevolmente: le procedure sono diverse, ad esempio nelle consegne c’è un device dove si fanno le consegne, non si fa più firmare, il pacco non si dà in mano al cliente per far rispettare la distanza. Ovviamente gli ordini sono aumentati e quindi anche i carichi di lavoro. Se prima un driver faceva 100/120 stop, adesso arriva a farne anche 150, per cui diventa davvero complicato centrare gli obiettivi di consegna giornalieri. Difficilmente si riesce ad effettuare delle pause con questi ritmi di lavoro, ciò mette in pericolo sia lavoratori, sia i civili”.
In quanto all’emergenza Covid19, il colosso parla per mezzo della manager Mariangela Marseglia, che come riporta Ilsole24ore, rassicura: “L’emergenza sanitaria tutt’ora in corso ha avuto un grande impatto sulla vita di tutti noi. Prendiamo molto sul serio il nostro compito di continuare a fornirvi un servizio utile, così come quello di proteggere la salute e la sicurezza di tutto il nostro personale, permettendovi di acquistare e ricevere i prodotti di cui avete bisogno restando a casa il più possibile. Il nostro impegno nei confronti dei nostri dipendenti non si ferma. Continueremo ad assicurarci che tutto il nostro personale sia adeguatamente protetto, monitoriamo i cambiamenti e aggiorniamo costantemente le misure preventive giorno per giorno. Offriamo test gratuiti e supporteremo in tutti i modi il piano di vaccinazione, appena sarà possibile, per far sì che ogni persona che frequenti i nostri siti venga adeguatamente assistita”.
Com’è andato lo sciopero?
Le cifre dell’adesione allo sciopero hanno portato una ‘guerra’ tra l’azienda, che ha comunicato un’adesione pari al 10%, e le organizzazioni sindacali, che hanno dichiarato un’ adesione al 75%.
L’azienda dopo lo sciopero, attraverso la country manager Mariangela Marseglia, ha dichiarato: “I fatti sono che noi mettiamo al primo posto i nostri dipendenti e quelli dei fornitori terzi offrendo loro un ambiente di lavoro sicuro, moderno e inclusivo, con salari competitivi tra i più alti del settore, benefit e ottime opportunità di crescita professionale. Usiamo le più avanzate tecnologie e le mettiamo al servizio dei nostri lavoratori e fornitori per migliorare la sicurezza sul lavoro e semplificarlo”.
La station localizzata sul territorio di Parma ha avuto un’adesione allo sciopero pari al 90%, come comunica Massimo: “Lo sciopero è andato molto bene, a Parma non ci sono stati incidenti, lo sciopero ha rispettato le leggi in vigore, l’adesione è stata volontaria, questo fa capire la gravità della situazione. Ci sono stati dei semplici rallentamenti. Io credo che lo sciopero sia stato un successo, in quanto nazionale. Inoltre i numeri sono paragonabili nella maggior parte delle station, soprattutto nelle regioni del nord”.
Intanto lo sciopero sembra aver avuto un primo effetto provocando la reazione del Ministro del lavoro, Andrea Orlando, che in un’intervista a Sky ha dichiarato di voler provare a ricucire i rapporti tra il grande colosso americano e le organizzazioni sindacali, i quali tutelano diritti fondamentali per i lavoratori. Il ministro incontrerà i sindacati in un futuro prossimo, si spera.
Nonostante la strada possa apparire ancora lunga, il primo passo è stato compito e preso in considerazione, ora però, come sostiene il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini in una dichiarazione riportata dal Corriere, “le tante manifestazioni di solidarietà che ci sono state in queste ore, anche da parte di esponenti della politica e delle istituzioni devono ora trasformarsi in atti concreti da parte del Governo e del Parlamento, per riaffermare il principio che fare impresa nel nostro Paese vuol dire riconoscere il diritto alla contrattazione collettiva nazionale e aziendale e a un corretto sistema di relazioni sindacali.”
Intanto negli USA è fallito il tentativo di instaurare un sindacato all’interno del sito di Bessemer, in Alabama. Sarebbe stato la prima organizzazione sindacale a tutelare i lavoratori di Amazon sul territorio statunitense. La votazione ha visto prevalere il no, che ha vinto in modo schiacciante, ottenendo circa il doppio dei voti del si. Nonostante ciò, come riportato da Repubblica, la sigla Rwdsu (Retail wholesale and department store union) accusa la multinazionale di aver effettuato delle forti pressioni sulle decisioni dei dipendenti.
Ora i dipendenti Amazon sperano di ottenere i diritti per i quali lottano e dimostrare ancora una volta che il funzionamento di qualsiasi azienda è dato dagli ingranaggi che la fanno funzionare, gli esseri umani, e che proprio come un grande orologio, se essi si dovessero fermare, l’orologio smetterebbe di dare l’ora esatta.
di Camilla Ardissone ed Antonio De Vivo
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