Il massacro di Tlatelolco e l’attentato del ’72: gli eventi politici che non hanno fermato le olimpiadi

Due esempi di eventi sportivi che chiedevano una posizione forte da parte delle federazioni sportive, che non è mai arrivata

 

 

 

 

 

 

Bandiere colorate, atleti da ogni parte del mondo, discipline in cui ci si confronta per abilità fisica, in cui il colore della pelle, la religione, la provenienza non contano niente e un pubblico mondiale che esulta e assiste con fermento a ogni prova. Questa potrebbe essere la descrizione più immediata che sovviene quando si pensa alle Olimpiadi. Cinque cerchi colorati in rappresentanza dei continenti e una fiaccola, simbolo di luce e forza.

Non sempre però questo importante evento ha mantenuto intatta la sua natura sportiva, mischiandosi con compromessi politici che suscitano ancora disapprovazione.  Pensando alla storia recente infatti, si sono verificate circostanze storiche che hanno portato a discutere l’effettiva necessità di questo evento sportivo.

Olimpiadi ’68: il massacro di Tlatelolco e il pugno nero degli atleti afroamericani

L’inizio degli anni ’60 è colmo di tensioni e difficoltà, come mai dalla fine della seconda guerra mondiale. Mentre nei vari Paesi insorgono rivolte e problemi sociali figlie dei movimenti studenteschi e operai del ’68, nell’ottobre dello stesso anno migliaia di sportivi e di tifosi si trovano a Città del Messico, in occasione della 19esima edizione dei giochi olimpici. La città si prepara ad accogliere con entusiasmo gli atleti di oltre 100 nazioni.

 

Il 2 ottobre del 1968, pochi giorni prima dell’inizio dell’Olimpiade, a Tlatelolco, sobborgo di Città del Messico, ha luogo una protesta studentesca. I manifestanti a migliaia affluiscono pacificamente in piazza delle Tre Culture, fino a riempirla del tutto e nessun segnale fa presagire quello che sarebbe accaduto circa due ore dopo. Un elicottero che sorvolava la piazza improvvisamente illumina con un raggio verde i manifestanti: è il segnale che i soldati dell’esercito messicano possono intervenire. La piazza è interamente circondata da camion della polizia e ogni via d’uscita è dunque bloccata. I soldati messicani i cosiddetti “Granaderos” sparano sulla folla, provocando centinaia di morti e feriti. 

La giovane giornalista Oriana Fallaci è testimone diretta dell’accaduto e viene operata d’urgenza a seguito delle ferite riportate dai proiettili sparati da un elicottero: «Nel giro di circa mezzo minuto, una centinaia di soldati spararono sulla folla. Io era nella terrazza dell’edificio in cui parlavano gli studenti. Sparando e massacrando, sono piombati un ottantina di poliziotti, incivili, con la rivoltella puntata su di noi, gettandoci contro il muro e gridando che eravamo detenidos (arrestati). Hanno sparato su una folla inerme  in una piazza che è una vera trappola» così commentava Oriana Fallaci per L’Europeo dal letto d’ospedale.

Come riporta lo storico dello sport Stefano Giuntini, tuttavia, dopo i fatti di Tlatelolco, le Olimpiadi proseguono: “Sono le prime olimpiadi in cui la contestazione si fa così evidente, ma Avery Brundage, il presidente del comitato olimpico internazionale decide che le olimpiadi devono iniziare comunque perché tra sport e politica non c’è collegamento. In realtà questa pretesa si scontra fortemente con la realtà perché lo sport ha sempre svolto un ruolo diplomatico, quindi non si può sostenere che tra sport e politica c’è un fossato”.

Questa convinzione viene dimostrata da un episodio molto significativo che si verifica pochi giorni dopo. I due velocisti afro-americani Tommy Smith e John Carlos vincono l’oro e il bronzo nei 200 m. piani e al momento di salire sul podio, lo fanno senza scarpe in segno di povertà, alzando il pugno con il guanto nero simbolo delle Pantere Nere, organizzazione politica radicale di difesa dei diritti dei neri americani. Non solo: l’australiano Peter Norman si interessa alla causa e chiede agli altri due atleti di poter ricevere il distintivo che anch’essi portano a sostegno del progetto olimpico per i diritti dell’uomo.

Al termine dei giochi, questi atleti verranno poi accolti nei propri Paesi senza alcun riconoscimento dei loro meriti ed esclusi dai principali circuiti sportivi. Tuttavia il loro gesto non è passato inosservato, ma ha al contrario reso evidente agli occhi di tutto il mondo che lo sport può essere una cassa di risonanza sulle battaglie sociali e politiche.

Monaco 1972: un commando terroristico palestinese irrompe nel villaggio olimpico

Una situazione altrettanto grave si verifica alle successive Olimpiadi del 1972, a Monaco di Baviera. Sotto il motto di “Happy games”, l’OlympiaStadium raccoglie più di 7 mila atleti provenienti da 121 Paesi, ad eccezione della Palestina. Abu Daoud leader di “Settembre Nero” (gruppo terroristico di stampo socialista e laico fondato nel 1970 dai fedayyin palestinesi), riporta: “Anche noi palestinesi avevamo chiesto di partecipare a quelle olimpiadi, ma la richiesta venne rifiutata. Gli israeliani invece c’erano, così decidemmo di andare a Monaco per partecipare a modo nostro.”

Nella notte del 4 settembre, un commando di terroristi palestinesi si introduce nel villaggio olimpico e raggiunge gli alloggi della delegazione israeliana. Il massacro ha inizio e i terroristi catturano 9 ostaggi. Il mattino seguente inizia la rivendicazione conosciuta come “Settembre nero”, affiliato alla OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) di Rarafat. I terroristi decretano che rilasceranno gli ostaggi in cambio di 200 fedayyin palestinesi e due terroristi tedeschi leader del RAF (gruppo terroristico di estrema sinistra).

Il Primo Ministro israeliano Goldmeyer rifiuta di scendere a compromessi con i terroristi. Il governo tedesco si trova solo a fronteggiare le trattative. Il primo ultimatum è per le ore 12: se i fedayyin non verranno rilasciati, i terroristi daranno inizio al massacro degli ostaggi. Un secondo ultimatum prolunga i tempi fino alle 15. Mentre le trattative sono in corso, i giochi proseguono nella mattinata, ma con il secondo ultimatum vengono interrotti e gli occhi di tutto il mondo si spostano dai campi sportivi ai 9 ostaggi.

Alle 17 i terroristi avanzano una nuova richiesta: deve essere preparato un aereo con destinazione Il Cairo. Il governo egiziano non vuole essere coinvolto, così l’Intelligence tedesca coglie l’occasione e organizza un finto trasporto verso una base militare, dove un jet senza equipaggio, 400 poliziotti e 5 tiratori scelti attendono i pullman con terroristi e ostaggi. Tuttavia accade il peggio: i terroristi controllano il jet e realizzano che si tratta di una trappola, così uno di loro sgancia una bomba che provoca la morte di tutti gli ostaggi e cinque terroristi.

Il mondo chiede di sospendere le Olimpiadi, ma dopo una cerimonia commemorativa i giochi vanno avanti.

Quegli anni segnano un periodo in cui milioni di persone scendono in campo protestando e attraverso il conflitto provano a capovolgere gerarchie ed equilibri di potere. Anche nel mondo dello sport. Non possiamo non essere convinti dell’evidente connessione che lega lo sport alla politica e, più in generale, alle problematiche sociali ed economiche che ogni giorno riguardano la vita delle persone. E ciò vale sia per il ’68, sia per il giorno d’oggi.

É famosa la frase di George Orwell secondo cui “lo sport è una guerra senza gli spari”. Ed è assurdo pensare come spesso le federazioni sportive hanno preferito chiudere gli occhi su quello che accadeva, sopratutto attorno alle olimpiadi, per ottenere anche un minimo guadagno. Alcuni atleti, tuttavia, non hanno perso la loro occasione di farsi sentire, tramite gesti simbolici dichiaratamente politici.

É per questo che la politica e lo sport non possono essere concepite come due sfere divise. Non si tratta ovviamente di trasformare le competizioni sportive in terreno di battaglia per scontri politici o ideologici, ma di riconoscere il potere che ha lo sport per ribadire alcuni diritti e principi che oggi sono affermati, come l’eguaglianza. Per dare voce a chi ne ha bisogno e lottare per un mondo più tollerante.

 

di Camilla Ardissone e Simone Puccio 

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