Epepe: un romanzo che fonde incubo e realtà

Ritrovarsi per sbaglio in un luogo sconosciuto, senza alcuna possibilità di poter tornare a casa. Questo è ciò che accade a Budai ed ecco com'è andata...

Da “The Book Seeker” (Blogspot)

Capolavoro della letteratura Ungherese, Epepe” è il romanzo di maggiore successo dello scrittore Ferenc Karinthy. Il libro – contraddistinto da una copertina accattivante – è stato pubblicato per la prima volta nel 1970 in Ungherese e, successivamente, in molte altre lingue: l’edizione italiana è curata dalla casa editrice Adelphi.

Uno scalo imprevisto

Tutto inizia da un viaggio verso Helsinki, per un congresso di linguistica a cui il professor Budai deve partecipare. Dopo aver fatto uno scalo, il protagonista si addormenta in aereo e, al suo risveglio, anziché trovarsi nella capitale finlandese, viene catapultato in una metropoli soverchiante, caratterizzata da una densità abitativa irragionevole e da una lingua enigmatica. Giunge nella hall di un albergo e il receptionist – dopo averlo registrato – gli ritira il passaporto, togliendogli l’unico mezzo identificativo da lui posseduto. Non solo: l’impossibilità di trovare un interprete per farsi capire dagli abitanti della metropoli lo getterà nel terrore.

La sinossi – basata principalmente sui tentativi che compie Budai per tornare a casa – è contraddistinta dall’atmosfera angosciante che la situazione crea e che verrà ribaltata – in alcuni passi del romanzo – dalla presenza di una ragazza, l’ascensorista dell’albergo, che si rivelerà l’unica ancora di salvezza di Budai.

Ai limiti del Kafkiano

Budai non è altro che un essere umano tra la moltitudine di persone che popolano una metropoli in cui si ritrova senza saperne il motivo. Impossibile non menzionare il richiamo a Kafka e al suo romanzo “Il processo, apertamente esplicitato nel testo. Entrambi i protagonisti delle due opere, Budai e Josef K., non sanno bene come siano arrivati in quel luogo (la metropoli e il tribunale), non riescono a comunicare con le persone che li circondano e finiscono col vivere la loro vita passivamente – trasportati dalle varie contingenze. Entrambe le vicende sono angoscianti, ma qui l’epilogo sarà totalmente diverso da quello kafkiano.

I due romanzi condividono anche il tema della colpa immotivata che, oltre a disorientare i personaggi con situazioni impreviste – Budai con lo scalo sbagliato, Josef con la condanna non fondata – li metterà in balia degli eventi, senza essere a conoscenza delle cause.

La linguistica a portata di mano

Da huffingtonpost.it

Come si evince fin dalle prime pagine, Budai è un linguista – come lo scrittore Karinthy – e in quanto tale, oltre a conoscere numerose lingue, è informato sui meccanismi che le regolano dal punto di vista morfologico, sintattico e lessicale. ‘Filo rosso’ del romanzo è, senza alcun dubbio, il linguaggio e, soprattutto, la decifrazione della lingua macchinosa della metropoli da parte di Budai, al fine di potersi far capire dagli abitanti per chiedere loro informazioni utili al suo ritorno a casa. Nonostante la linguistica e il discorso sulle lingue possano sembrare argomenti specifici e difficilmente apprezzabili, nel libro vengono trattati senza ricorrere a termini troppo specialistici e, soprattutto, corredandoli di esempi noti a tutti, al fine di renderli fruibili a più persone possibili.

“Si cimentò con un altro metodo: scegliendo caratteri a caso e improvvisando dei calcoli tentò di trovare le lettere più ricorrenti e le più rare, partendo dalla considerazione che le vocali, essendo molte meno delle consonanti, in genere sono più frequenti. Per esempio, è stato calcolato che in ungherese le lettere più frequenti sono la e e la a, e poi t, s, n e l, e le più rare X, Q e W – in altre lingue naturalmente la proporzione è diversa. Il ragionamento però aveva senso se si trattava di una scrittura alfabetica, e non sillabica – dove ogni segno corrisponde a un nesso di consonante e vocale: in tal caso era fatica inutile e sprecata.”

Umanità assente e sovrappopolazione

Nonostante Budai non stringerà rapporti solidi nella metropoli, la sua vicenda non si configurerà come un ‘soliloquio‘. Sul suo cammino incontrerà varie persone che, oltre a dargli un’immagine degradata della società, serviranno al linguista come ‘punto di partenza‘ per tornare a casa. Personaggio cruciale sarà Epepe – l’ascensorista del suo albergo – che, a metà libro – inizierà a insegnargli la lingua del luogo per dargli la possibilità di potersi esprimere con più persone possibili, aumentando le probabilità di poter tornare a Budapest, la sua città.

Fatta eccezione della figura di Epepe, nessuno si mostrerà disposto ad aiutarlo. Nonostante la quantità ingente di persone, Budai riceverà dagli abitanti solo pugni, calci ed espressioni verbali discutibili, utilizzate per scacciarlo.

Tema portante del libro – oltre all’incomunicabilità linguistica – è il fenomeno della sovrappopolazione e delle conseguenze derivanti da questo: la mancanza di beni di prima necessità e il conseguente peggioramento della qualità della vita. Durante la sua permanenza, oltre ad avere problemi a trovare cibo, a causa delle code dalla lunghezza ragguardevole, Budai vivrà in un paese sporco e con un clima afoso e disagevole, alla stregua del vivibile.

Binomio descrizione-credibilità

Nonostante Karinthy non voglia dare un taglio psicologico al romanzo che, di certo, contribuirebbe a renderlo realistico, egli riesce a perseguire la velleità di renderlo credibile. Ciò avviene grazie ai ragionamenti fatti da Budai per cercare di dare un senso a una situazione che, potenzialmente, non ne ha.

Le relazioni umane che egli costruirà durante tutto l’arco della narrazione non vengono mai approfondite, poiché l’attenzione si focalizza sempre sulla mente geniale del protagonista. A tal proposito – all’inizio del libro – si trova una prefazione di Emmanuel Carrère, noto scrittore, regista e sceneggiatore francese. Egli sottolinea con fermezza la genialità di Budai e, soprattutto, l’intraprendenza nel voler attuare tutti i piani da lui elaborati e il senso di angoscia che lo pervaderà e da cui cercherà, in qualsivoglia modo, di sottrarsi.

A rendere verosimile la vicenda, contribuisce lo stile di Karinthy che se, in un primo momento, crea uno stato di lieve inquietudine, successivamente, rendendosi sempre più incalzante, trasforma le ultime pagine in un fiume di parole e pensieri, destinati a esaurirsi in un finale enigmatico che mirerà a ridimensionare l’inquietudine generale del libro.

Un romanzo da leggere tutto d’un fiato e magari non quando si è in volo, a meno che non vogliate fare la fine di Budai.

Di Carmen Stagnitti

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