Lo Schwa: simbolo linguistico dell’inclusività
Castelfranco Emilia ha deciso di adoperare nella sua comunicazione il simbolo finalizzato ad eludere il sessismo linguistico
Il 15 Aprile 2021, il Comune di Castelfranco Emilia ha deciso di utilizzare sui social, al posto del maschile universale, la vocale centrale media Schwa, al fine di trasmettere un messaggio di inclusività non solo ai cittadini del suo Comune, ma a tutta la collettività. Ma che cos’è lo Schwa? Prima ancora di essere un valido espediente linguistico per aggirare qualsivoglia discriminazione – utilizzato anche da alcuni linguisti come Vera Gheno e da progetti linguistici come Italiano Inclusivo – lo Schwa lo si poteva ritrovare in alcuni dialetti dell’italiano come un vero e proprio fondamento fonetico atto a simulare, su un documento scritto, la pronuncia di determinati suoni presenti nel parlato.
Una vocale non tanto nella media
Dal punto di vista fonologico lo Schwa è una vocale indicata, nell’Alfabeto Fonetico Internazionale, con il simbolo /ə/ e può indicare sia una vocale debole sia l’assenza totale di una vocale. Prima ancora che diventasse simbolo di inclusività, lo Schwa era ampiamente utilizzato negli idiomi centro-meridionali – in parole come sempre, in cui lo si ritrova nella ‘e’ dell’ultima sillaba – e meridionali come, ad esempio, la lingua campana in cui appare in parole come mammeta, localizzato nella ‘e’ della seconda e terza sillaba. Il napoletano, a sua volta, funge da modello per tutte le altre lingue meridionali, come l’apulo barese e il lucano che però utilizza questa vocale in minor misura. Accanto alle lingue meridionali, non può non essere citato il dialetto piemontese, in cui la presenza della Schwa è così consistente da essere definita ‘terza vocale’. Ultime, ma non perché aventi poche testimonianze, le varietà occidentali dell’Emiliano, come il Pavese e il Piacentino, in cui lo Schwa si presenta in versione nasalizzata.
“Dire tutt* e tuttə non è da radical chic ma una rivendicazione“
È Vera Gheno, accademica, saggista e traduttrice italiana, ad affermare ciò durante un’intervista rilasciata alla 31mag: progetto europeo e multiculturale di giornalismo partecipativo proveniente dall’Olanda.
La proposta dello Schwa come simbolo di inclusività era stata suggerita nel 2015 da Italiano Inclusivo ma, quest’ultima, non aveva avuto gran seguito. Così la Gheno, a seguito di una fastidiosa esperienza dovuta al suo periodo di maternità, e dopo aver parlato con alcune persone non binarie, ha voluto riprendere l’argomento: “Spesso mi è capitato di parlare con persone non binarie o con collettivi che usavano l’asterisco nello scritto, ma nel parlato non sapevano come pronunciarlo”, da qui l’idea di riprendere lo Schwa per evitare questo tipo di problemi e per potersi rivolgere al collettivo senza creare complicazioni di genere. Il vantaggio? Essendo una lettera come tante altre, lo Schwa non viene percepito come un elemento estraneo all’alfabeto italiano. A dimostrazione della fruibilità dello Schwa vi è la decisione da parte di una casa editrice italiana Effequ di utilizzarlo all’interno dei suoi libri, sostituendolo al maschile generico e rivoluzionando le norme editoriali, introducendo lo Schwa come opzione grafica per indicare un ‘neutro’. Al di là di tutto, non si deve tralasciare un fattore importantissimo della lingua: la sua mutevolezza. Essendo la lingua il riflesso degli usi e dei costumi di una determinata epoca, i quali mutano nel tempo, questa cambia con essi creando quella stratificazione culturale e linguistica che dà, come prodotto, la nostra lingua.
Schwa nella comunità di Castelfranco Emilia
Paradossalmente, la diversità è un fattore che ci accomuna tutti: ciascuno è esattamente uguale a se stesso e a nessun altro e, se questo dovrebbe essere motivo di vanto e indice di ricchezza, spesso le diversità causano problemi legati all’inclusione. Discriminazione, violenze di genere e ideologie sono i fattori che danno vita a scontri sociali anche nella più recente attualità. Basti pensare al movimento Black Lives Matter o ai diffusi casi di discriminazione di genere.
È proprio su questa linea che si colloca la decisione presa dal comune di Castelfranco Emilia di adottare il simbolo Schwa per educare all’utilizzo di un linguaggio più inclusivo. Il Sindaco Giovanni Gargano infatti spiega che si tratta di: “Una riflessione fatta relativamente alla situazione Covid e alle distanze in ogni contesto che si sono inevitabilmente create, distanze personali e sociali che hanno prodotto anche diseguaglianza sociale. È la situazione attuale che ha esacerbato una serie di diseguaglianze, e quindi avevamo la necessità di far riflettere le persone rispetto a questo tema. Il Covid ha portato con sé non solo negatività ma anche momenti in cui si può riflettere e guardare le cose con un punto di vista diverso”. Dopo aver riflettuto sull’argomento, il Comune ha deciso di scegliere un simbolo da introdurre nei contesti social e spingere gli utenti della comunità a chiedersi che significato abbia, se si tratta solo di un errore di battitura o se vuole dire qualcosa in più. Inoltre Gargano vuole sottolineare un aspetto molto importante insito nella parola ‘diversità’: “La diversità non è solo quella tra maschio e femmina. Diversità e inclusione appartengono a molti mondi perché fanno parte della coesione sociale. Ci rifacciamo anche alla Festa d’Europa, che ha il motto di Unita nelle diversità. Il senso è quello”.
Come ogni decisione, anche quella di adottare il simbolo Schwa ha generato delle conseguenti reazioni da parte della comunità di Castelfranco Emilia, alcune delle quali negative. “Si sono sollevate critiche e non solo, anche minacce di morte, offese, odio, istigazione alla violenza. Questa onda che si è portata dietro la nostra decisione indica a noi quanto lavoro ancora c’è da fare. Per noi la diversità è qualcosa di positivo, un indice di confronto paritetico in un campo neutro in cui cerchiamo di mettere al centro i bisogni della comunità.” racconta ancora il Sindaco, il quale però si dice per niente spaventato da queste reazioni, anzi maggiormente motivato nel perseguire la sua linea.
La decisione di Castelfranco Emilia non è passata inosservata agli occhi del Paese. “Un battito d’ali di farfalla in Brasile può scatenare un tornado in Texas”, commenta Gargano, e infatti la notizia si è diffusa molto velocemente, proponendo l’argomento come momento di riflessione su una tematica che tocca tutti. “La scorsa settimana per un giorno quasi non abbiamo parlato di Covid, quindi dico, qualcosa di positivo comunque l’abbiamo fatto.”
Quando l’inclusività diventa esclusività
Nonostante la decisione adottata dal sindaco di Castelfranco Emilia e il contributo della Gheno, è proprio quest’ultima a sottolineare una delle tante debolezze dello Schwa riscontrate anche da altri studiosi: la difficoltà. “Lo schwa è un po’ fighetto e hipster, non è nel sistema vocale italiano, nonostante ci sia nei dialetti”. Così afferma la Gheno che spiega: “non è presente nella tastiera del computer e genera problemi nel costruire articoli e pronomi: posso scrivere lɘi, per non scrivere lui o lei, ma sarebbe difficile da pronunciare“. Una soluzione inclusiva, quindi, che finirebbe col diventare esclusiva per difficoltà legate alla pronuncia e, soprattutto, per la poca chiarezza risultante dalla scarsa conoscenza del simbolo da parte dei molti. Più che soluzione per il problema di genere si parlerebbe solo di un vero e proprio escamotage per gli occhi. In un mondo basato sulla comunicazione, utilizzare un simbolo oscuro come lo Schwa potrebbe non realizzare, in partenza, quello che può dirsi l’obiettivo legato al simbolo.
La marcia verso l’inclusività non si ferma
Il comune di Castelfranco Emilia però non si ferma e guarda al futuro pensando ai prossimi passi in direzione dell’inclusività. “Noi ci teniamo ad essere una città inclusiva, pensa che il mio Consiglio Comunale ha votato il Manifesto della Comunicazione Non Ostile l’anno scorso, quindi in tempi non sospetti, proprio per cercare di dire da che parte stiamo. Tutto quello che si è mosso ha un valore di fondo che per noi è patrimonio da conservare e trasmettere alle generazioni giovani”. Infatti il Sindaco Gargano anticipa alcuni progetti in fase di elaborazione, tra cui quello di costruire, in occasione della Festa d’Europa del 9 maggio: “un parco che avrà giostre inclusive: tutti i bambini normodotati o con disabilità potranno utilizzare in piena tranquillità queste giostre”. Racconta poi di un progetto che riguarda la casa-lavoro collocata sul territorio di Castelfranco Emilia, la cui mission è quella di reinserire nella società persone che hanno avuto problemi con la legge. Il Sindaco spiega: “Stiamo curando un progetto di cui non posso dire molto, ma che avrà il bollo dello Schwa con sotto scritto “Castelfranco Emilia città inclusiva”. Infine, il comune di Castelfranco si è mobilitato per togliere l’IVA del 22% sugli strumenti di contenimento delle mestruazioni presso le farmacie comunali. “Anche questo è inclusione, perché è farsi carico di problematiche della propria comunità includendo anche aspetti che normalmente si fa fatica a parlare. Anche a questo progetto la comunità ha reagito positivamente perché anche le farmacie private in autonomia si stanno approcciando all’iniziativa”.
di Camilla Ardissone e Carmen Stagnitti
Ritengo che la questione sull’opportunità o meno di ricorrere ad uno scomodo artificio come lo schwa per superare il maschile sovraesteso dipenda da quanto diffusa sia effettivamente la percezione del disagio legato all’utilizzo della forma corrente. Prima che qualcuno elevasse a “problema linguistico” la questione, non mi risulta che individui non appartenenti al genere maschile avessero manifestato insofferenza al fatto che ci si rivolgesse loro utilizzando il “maschile sovraesteso”. Ho sempre frequentato classi miste e non ho mai notato frustrazione in nessuna delle compagne quando l’insegnante, entrando in aula, esordiva con il classico “buongiorno a tutti”. Per contro, invece, l’introduzione dello schwa nella lingua comune comporta oggettive complicazioni, in un’epoca già afflitta da una diffusa difficoltà ad utilizzare correttamente l’italiano (scritto e parlato), in particolare da parte delle nuove generazioni. Per quanto lodevole sia interrogarsi sul grado di inclusività di una lingua in ambito di ricerca, la manipolazione artificiosa della forma può risultare aberrante nel momento in cui introduce elementi più disfunzionali rispetto all’anomalia che si vorrebbe correggere. Se poi l’esigenza di correggere un’anomalia deriva più che altro da questioni di principio, senza che sia riscontrabile un vero e proprio disagio percepito dalla maggioranza degli individui, allora l’opportunità di cambiamento si prefigura particolarmente sconveniente. Non sempre ciò che è “idealmente” più corretto produce effetti migliori di ciò che non lo è. E’ il discorso dell’etica dell’intenzione e dell’etica della responsabilità di Weberiana memoria. Occorre valutare la questione non in base alla rispondenza ad un valore, ma in relazione alle possibili conseguenze. La sensazione è che, intorno ad un limitato numero di intellettuali che vorrebbero una rivoluzione linguistica per questioni “ideali”, stia prendendo piede un movimento orientato a creare nella collettività la percezione di un problema che finora nessuno aveva mai percepito come tale, da poter utilizzare come “leva” per promuovere una sconveniente rivoluzione linguistica attraverso il meccanismo della cosiddetta “Finestra di Overton”.