Anne McLaren: la biologa che inventò l’inseminazione in vitro

Storia in pillole di Anne McLaren, pilastro della medicina dello sviluppo e "madre" di altre donne consacratesi alla scienza

da Newscientist.com, foto di Fiona Hanson/PA images

Nella giornata del 26 Aprile, Google ha voluto richiamare alla memoria, con uno dei suoi fantastici ‘doodle‘, la genetista britannica Anne Laura Dorinthea McLaren, scomparsa in un incidente automobilistico il 7 Luglio del 2007. Ma chi era questa donna brillante che può dirsi aver rivoluzionato il mondo inerente la biologia dello sviluppo?

Frammenti di carriera

Nata il 26 Aprile del 1927 a Londra e trasferitasi – dopo la seconda guerra mondiale – a Bodnant, nel North Walles, Anne McLaren sperimentò per breve tempo la carriera cinematografica prendendo parte alla realizzazione del film fantascientifico Things to Come – in italiano La vita futura – di William Cameron Menzies interpretando la parte di una bambina che, nel film, ascolta le storie del proprio nonno circa il progresso scientifico.

Conseguì gli studi di zoologia alla Lady Margaret Hall ottenendo un Master of Arts. Le sue ricerche mossero i primi passi insieme a John Burdon Sanderson Haldane sull’infestazione dovuta all’insetto Drosophila e, in seguito, proseguì gli studi con un corso di perfezionamento post-laurea alla University College London nel 1949, prima sotto la guida di Peter Medawar sulla genetica dei conigli e poi sul virus neutrotropico murino insieme a Kingsley Sanders.

da Researchgate.net, pubblicata da Juraj Ivanyi

Conseguì il dottorato di ricerca nel 1952 e, insieme al marito Donald Michie lavorò dapprima all’University College di Londra (dal 1952 al 1955) e, in seguito, alla Royal Veterinary College; partendo da questa esperienza lavorativa, la McLaren riprese gli studi sulla fertilità dei topi curando argomenti quali la superovulazione e la supergravidanza.

Sette anni dopo il dottorato, iniziò a studiare una vasta varietà di temi riguardanti la fertilità, lo sviluppo e l’epigenetica, inclusi molti studi sui topi – come lo sviluppo del trasferimento di embrioni -, l’immunocontraccezione e le caratteristiche scheletriche delle chimere presso l’Institute of Animal Genetics fino al 1974, anno in cui decise di lasciare Edimburgo per  diventare la direttrice del Mammalian Development Unit – in italiano Istituto di ricerca sullo sviluppo dei mammiferi – del Medical Research Council a Londra.

La fecondazione in vitro e i meriti successivi

I primi studi della McLaren sulla fecondazione in vitro risalgono al 1958 quando, insieme a John D. Biggers, pubblicò un articolo sulla prestigiosa rivista Nature sul primo tentativo, portato a compimento con risultati positivi, di sviluppo e nascita di un topo dopo fecondazione in vitro.

Ma in cosa consisteva l’esperimento delineato nell’articolo? La McLaren, dopo aver rimosso degli embrioni di topo dall’utero materno ed averli messi in coltura per 24 ore, li aveva impiantati nell’utero di un altro topo. Il successo di questo esperimento spianò quella strada che avrebbe portato gli scienziati, in seguito, a sviluppare delle tecniche applicabili agli esseri umani.

via Facebook profilo di The Royal Society

Ad oggi, questo articolo è considerato uno dei più importanti nella storia della biologia e della medicina della riproduzione. In seguito all’esperimento e al conseguente articolo riepilogativo, fece parte di un comitato avente il compito di indagare sulle tecnologie di fecondazione in vitro (IVF) e sullo sviluppo embrionale.

Dal 1992 al 1996 ricoprì la carica di vicepresidente della Royal Society – il più antico e prestigioso ente di ricerca scientifico britannico – diventando la prima donna nella storia ad avere un ruolo dirigenziale al suo interno. Dal 1993 al 1994 fu presidente dell’Associazione britannica per l’avanzamento della scienza, società nata per promuovere la ricerca scientifica nel Regno Unito.

Tre anni prima della sua morte, nel 2004, la McLaren fondò – insieme a Bryan Clarke e a sua moglie Ann – il Frozen Ark, un deposito di materiale genetico appartenente ad animali in via di estinzione, destinati sia allo studio sia all’utilizzo in programmi di conservazione o di potenziale clonazione.

La sua eredità

Nonostante l’incidente fatale che concluse il suo brillante percorso all’età di ottant’anni, Anne McLaren ha lasciato un patrimonio di inestimabile valore alla scienza grazie all’esperimento del 1958. La FIVET – la fecondazione in vitro con trasferimento dell’embrione – a seguito dei risultati positivi che aveva riportato la McLaren con le sue sperimentazioni sui topi, fu ripresa e sviluppata al fine di poterla applicare anche agli esseri umani e, dopo un lunga trafila di tentativi, divenne realtà quando, nel 1978 nacque Louis Brown, il primo umano ad essere nato con questa tecnica.

Cinque anni dopo, nel 1983, la FIVET venne adoperata – per la prima volta anche in Italia – dal ginecologo Vincenzo Abate che, dopo essere stato in America per qualche anno, fece nascere Alessandra Abbisogno, prima bambina italiana ad essere nata con questa tecnica.

Grazie, dunque, alla FIVET – o alla donazione di ovuli – anche alle donne che sono infertili per via dell’età o che lo sono per via di una qualsivoglia patologia  è permesso rimanere incinta.

Donne e scienza: la McLaren non è sola

Il caso della McLaren non può dirsi isolato, sono molte le donne che hanno fatto la storia e, soprattutto, la scienza. Vediamo brevemente i meriti di tre straordinarie donne di scienza: Marie CurieRosalind Franklin e l’italiana Rita Levi Montalcini.

Nata in Polonia nel 1867, Maria Salomea Skłodowska – nota a tutti col nome di Marie Curie – dopo aver conseguito la laurea in matematica e fisica all’Università di Parigi dedicherà gran parte della sua vita all‘insegnamento presso la Sorbona – guadagnando il titolo di prima donna ad ottenere tale ruolo nell’Università parigina – e all’isolamento e alla concentrazione del radio e del polonio, presenti in piccolissime quantità nell’uraninite, minerale radioattivo e principale fonte naturale di uranio.

Fu grazie alla scoperta del polonio e ai conseguenti studi sulle radiazioni che nel 1903 fu insignita del premio Nobel per la fisica – col marito Pierre Curie e Antoine Henri Becquerel – non senza guadagnare otto anni dopo, nel 1911, il premio Nobel per la chimica per la sua scoperta del radio e del polonio.

Chiamata l’eroina mancata del DNA, Rosalind Franklin, nata a Kensington nel 1920, grazie alle sue immagini di diffrazione a raggi X del DNA e grazie alla scoperta della forma A e B del DNA, tracciò il cammino a James Watson e Francis Crick che, nel 1953, pubblicarono sulla nota rivista scientifica Nature quello che può dirsi il primo modello accurato della struttura a doppia elica del DNA basato sulle precedenti scoperte della scienziata nel campo.

Ultima, ma non per importanza, l’italiana Rita Levi Montalcini, scienziata del ‘900 che dedicò tutta la sua lunga vita – morì a 103 anni – alla scienza. Premio Nobel per la medicina nel 1986 e senatrice a vita dal 2001, la scienziata apportò numerosi contributi al campo della neurologia grazie ad una singola scoperta: nel 1953-1954 scoprì il Nerve Growth Factor – fattore rilasciato dal tumore in grado di stimolare la crescita delle fibre nervose – con il biochimico Stanley Cohen destinato a diventare fondamentale per gli studi condotti sul Morbo di Alzheimer e sui processi degenerativi intaccanti i fotorecettori.

Tre donne che, insieme alla McLaren, hanno dato dei contributi significativi alla scienza e che continuano ad ispirare, ancora oggi, numerose ricercatrici che hanno deciso di dedicare la loro vita per il progresso scientifico.

 

di Carmen Stagnitti

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