Quarto potere, il film che dopo 80 anni resta un cult con attuali riflessioni sul giornalismo
Definito il miglior film statunitense di sempre, "Quarto Potere", ripercorrendo la vita del magnate Charles Foster Kane, ci offre una visione ravvicinata del mondo giornalistico degli anni Quaranta
Il capolavoro degli anni Quaranta, Quarto Potere (Citizen Kane in lingua originale), compie 80 anni. Il film drammatico diretto ed interpretato da Orson Welles è stato distribuito nelle sale per la prima volta il 1° Maggio del 1941.
L’opera è una trasposizione cinematografica della biografia del magnate dell’industria del legno e dell’editoria William Randolph Hearst, ed è considerato dall’American Film Institute, dalla rivista cinematografica Sight & Sound e dalla BBC il miglior film statunitense di sempre; nonostante il film fu insignito di lodi da parte della critica, non riuscì a riscuotere lo stesso consenso nel pubblico a causa del boicottaggio mediatico voluto dallo stesso Hearst – che fece sì che la circolazione della pellicola fosse limitata – dal momento che vedeva nel film un ritratto ‘diffamante’ della sua persona.
La narrazione prende avvio da un mistero: nei pressi di Candalù, in Florida, nel castello di Charles Foster Kane, quest’ultimo – in punto di morte – lascia cadere una palla di vetro con la neve proferendo, come ultima parola, ‘Rosabella’, nome che segnerà il punto di partenza dell’intreccio.
Ma perché, ancora oggi, molte persone continuano ad amare questo film? Che spunti può darci circa il giornalismo degli anni Quaranta e il confronto di quest’ultimo con quello odierno?
Tutto inizia in una cittadina del Colorado…
Il direttore di un cinegiornale incarica un giornalista, Jerry Thompson, di capire cosa si celi dietro la parola ‘Rosabella’.
Dopo aver cercato di parlare, invano, con la seconda moglie di Kane, Susan Alexander Kane, proprietaria di un night club e ormai schiava dell’alcool, Thompson si reca presso l’ufficio del defunto banchiere Walter Parks Thatcher dove sono custodite le sue memorie. Da qui inizia la narrazione della vita del magnate, con una sequenza di flashback che, come pezzi di un puzzle, ricompongono tutta la storia che si scoprirà essere profondamente segnata dall’abbandono.
Ci sono però diversi argomenti e temi che il regista vuole affrontare con questo film, mostrando quindi diversi livelli di lettura: dalle vicende umane e introspettive – specchio di un American Dream dai risvolti ambigui – fino a una riflessione sul mondo della comunicazione di massa, del giornalismo scandalistico e della pochezza dei risultati ottenuti dalle inchieste scandalistiche.
C’era una volta il giornalismo
All’età di 25 anni, Charles Foster Kane si approprierà della fallimentare testata giornalistica del “New York Inquire” che riporterà in vita concentrandosi su notizie accattivanti e vicine al giornalismo scandalistico che lo faranno diventare un ‘magnate’ della comunicazione di massa, tema fondamentale in Quarto Potere. Basti pensare alle scene iniziali del film con la proiezione dell’innovativo cinegiornale in occasione della morte di Charles Foster Kane, all’interesse smodato sia per le vite dei personaggi famosi che per il tema politico cui prenderà parte anche il protagonista sposando Emily Norton, nipote del presidente degli Stati Uniti.
Ma sul tema giornalismo cosa colpisce di più all’interno del film? C’è innanzitutto la manipolazione giornalistica che investirà numerosi articoli quali, ad esempio, quelli riguardanti le performances canore della seconda moglie di Kane in cui verranno decantate le sue doti – nella realtà inesistenti – al fine di influenzare l’opinione pubblica. Ma si parla anche di ‘macchinazioni visive’ createsi con la scelta di alcuni particolari formali quali, ad esempio, la diversa grandezza del carattere adoperato per il titolo al fine di far risaltare la notizia con incompletezza dell’informazione – nel caso dell’indagine sull’ultima parola proferita da Charles, ‘Rosabella’ – dovuta alla minimizzazione di un dettaglio che, ai fini della narrazione, si rivelerà grande: l’infanzia perduta.
Al di là di tutto, è possibile fare un confronto con il giornalismo odierno? Inutile nascondere che sono molte le testate giornalistiche, oggigiorno, a far leva su titoli accattivanti e, non sempre, veritieri pur di riscuotere maggior successo; in questi casi si può parlare di metodo Boffo, locuzione utilizzata nel linguaggio politico e giornalistico per indicare una campagna di diffamazione a mezzo stampa che si basa su fatti reali uniti a falsità e illazioni. Un noto giornalista italiano ad eccedere nel giornalismo scandalistico, e ad aver creato questa locuzione, è Vittorio Feltri che sceglieva, per i suoi articoli, titoli, eticamente parlando, discutibili ma dal forte impatto mediatico.
Ma molto prima dell’esempio nostrano, possiamo annoverare, come erede del modello giornalistico ravvisabile in “Quarto Potere”, il Yellow Journalism, che rinunciava a un’impostazione imparziale in favore di titoli sensazionalistici, esagerazione di eventi e notizie, ed altri espedienti poco etici al fine di vendere più copie. Gli anni dello Yellow journalism furono caratterizzati dalla battaglia giornalistica tra il New York World di Joseph Pulitzer e il New York Journal di William Randolph Hearst, accusati entrambi di sensazionalizzare le notizie per incrementare la tiratura e quindi la diffusione anche quando pubblicavano articoli seri e veritieri. La stampa di New York coniò il termine ‘Yellow Kid journalism’ nel 1897 per sottolineare il mercato di riferimento dei due magnati del giornalismo.
In un mondo, come quello di oggi, sempre più digitalizzato, inoltre, tutti questi fenomeni si amplificano e i loro effetti sono ancora più diffusi dalla velocità del web. Titoli sensazionalistici o pensati appostitamente per fare clickbait, cioè acchiappaclic, sono diventati ormai all’ordine del giorno.
Un American Dream narcisista
«Mi sono sempre sentito isolato; credo che ogni bravo artista si senta isolato» così dichiarò Orson Welles ai Cahiers du Cinema nel 1965 evidenziando, dunque, un qualsivoglia legame con il protagonista del suo film. Pleonastico, quindi, sottolineare come il tema della perdita sia alla base della trama e del carattere complesso di Charles.
Quella che può dirsi una ‘fortuna’ iniziale – ossia la scoperta della miniera d’oro e la garanzia di un futuro proficuo – si rivelerà per Charles l’inizio della sua insoddisfazione perenne che non verrà colmata dalla sua fama, dalle ricchezze accumulate in vita, dalla concretizzazione del sogno canoro della seconda moglie e né, tantomeno, dall’amore di quest’ultima; un “American Dream” ‘rovesciato’ in cui la massima aspirazione non è più data dalla prosperità economica, bensì dal ritorno alle origini felici.
Nonostante, quindi, l’inchiesta si basi sull’enigma legato alla parola “Rosabella”, il film offre una chiara introspezione circa il carattere del personaggio che, dal punto di vista psicologico, presenta delle tendenze da narcisista patologico: dopo aver subito dei traumi nelle relazioni di attaccamento – come quella con la madre – il narcisista mira alla grandiosità e alla sete di fama e potere a cui si contrappongono dei sentimenti di inferiorità, fragilità, vulnerabilità e paura del confronto che possono sfociare, talvolta, nella mancanza di empatia ravvisabile all’interno del film, ad esempio, nel voler inculcare alla seconda moglie una carriera di successo nel campo della musica lirica per compiacere, di riflesso, sé stesso e non lei.
Welles pionieristico
Ciò che consacrò all’immortalità il film di Welles non fu tanto la trama o la bravura degli attori, quanto la combinazione nell’utilizzo di espedienti tecnici per enfatizzare gli avvenimenti della narrazione o, piuttosto, per esplicitare pensieri ed emozioni dei personaggi nel corso del film.
Partendo dalla fotografia, vennero adoperate, al fine di ampliare la scena in cui si svolgeva l’azione e rendere più credibile i movimenti dei personaggi, delle lenti grandangolari corredate da un netto miglioramento della messa a fuoco; la luce non è più diffusa ma utilizzata per delineare dei particolari nella scena o del personaggio principale all’interno di questa.
Un altro espediente d’effetto è rappresentato dal montaggio interno. In esso, la scena si costruisce non più a partire dal rapporto tra più inquadrature, bensì all’interno di una sola, senza stacchi e di lunga durata, chiamata appunto long take, che limita l’uso del montaggio, avvalendosi della profondità di campo. Non mancano dissolvenze incrociate, rapidi salti temporali e il montaggio veloce. In particolare, per quel che concerne quest’ultimo, nel film significativa è la scena delle colazioni, dove la trasformazione di gesti e atteggiamenti, in uno stesso momento quotidiano, racconta la progressiva e inesorabile distruzione di un matrimonio.
Per quel che concerne la sceneggiatura e, conseguentemente, i dialoghi – tradizionalmente ripresi con il montaggio alternato di campo e controcampo – in accordo con la messa a fuoco e le lenti quadrangolari, si fondono con lo spazio restituendo così una scena composita, fatta da azioni e parole.
Oltre ad essere il prodotto del progresso in campo cinematografico, Quarto potere può essere considerato un vero e proprio testamento del regista, in cui ha voluto riversare sé stesso, minimizzando quello che è il confine fra realtà e finzione.
Quarto Potere e la sua influenza nel presente
Il film a 80 anni di distanza fa inoltre ancora discutere. Nel 2020 è stato prodotto il film Mank, diretto da David Fincher, basato, a grandi linee, sulla vita – dagli anni Trenta fino alla stesura del copione di Quarto Potere – dello sceneggiatore Herman J. Mankiewicz, interpretato da Gary Oldman.
Uscito nelle sale cinematografiche statunitensi il 13 novembre 2020 e distribuito in streaming a livello globale su Netflix dal 4 dicembre 2020, il film – il cui copione consta di 120 pagine – si basa sulla tesi della critica cinematografica statunitense Pauline Kael, apparsa nel 1971 sul New Yorker, che sosteneva che Orson Welles non meritasse di essere accreditato come sceneggiatore di Quarto potere ma che spettasse interamente a Mankiewicz. Il film, le cui riprese sono finite il 4 Febbraio 2020, è stato girato in bianco e nero con lo scopo di emulare l’estetica di Quarto potere e il lavoro del fotografo di scena Gregg Toland del film di Welles. Dopo la distribuzione nelle sale cinematografiche statunitensi – avvenuta nel Novembre del 2020 – la pellicola è stata aggiunta al catalogo della piattaforma di streaming Netflix dal 4 Dicembre 2020.
di Carmen Stagnitti
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