Mattarella, tutt’altro che un presidente-notaio

LO STRANO TRIO CON NAPOLITANO E CIAMPI

Mattarelladi Giorgio Vecchio, docente di Storia contemporanea e Storia dell’Europa contemporanea |

L’elezione di Sergio Mattarella a presidente della Repubblica completa – con i suoi due immediati predecessori, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano – uno straordinario trio: un fatto al quale non mi pare si sia data sufficiente attenzione.

Perché dico così? Perché i tre ultimi presidenti rappresentano idealmente le tre distinte tradizioni politiche e culturali che hanno dato vita alla nostra Repubblica: quella azionista, quella marxista (e in specifico comunista) e quella democratico-cristiana. La cosa è significativa, dal momento che i tre hanno svolto (o iniziato a svolgere, nel caso di Mattarella) il loro mandato nel nuovo millennio e in un periodo di continua trasformazione e fibrillazione del sistema politico. Ora, riconosciuto che a dover gestire nell’immediatezza il terremoto provocato da Mani Pulite e da Tangentopoli fu un altro presidente, ovvero Oscar Luigi Scalfaro, sono stati i due predecessori di Mattarella a dover affrontare con forza problemi quali la necessità di ridar spessore all’identità nazionale e al senso dell’essere italiani, la constatazione della fragilità della cosiddetta ‘Seconda Repubblica’ (definizione discutibile ed evitabile, anche se di immediata comprensione), la perdurante insuperabilità della divisione provocata dall’ingombrante presenza sulla scena di Berlusconi, l’irrompere di una crisi economica di proporzioni gigantesche e via dicendo.

Ebbene, sembra – forse solo per un gioco del destino – che il Parlamento abbia deciso in questo nuovo millennio di affidarsi alla guida politica e morale di tre tradizioni politiche date per morte e sepolte: un segnale di impotenza del ‘nuovo’, ma anche di rispetto – inconsapevole? – per le culture che hanno ‘fatto’ l’Italia democratica uscita dalla guerra e dalla Resistenza. Da notare che i tre ultimi capi di Stato sono stati per tutta la loro vita agli antipodi di quella personalizzazione della politica che sembra essere divenuta la cifra odierna, da Berlusconi a Renzi e Salvini, passando per Bossi e Grillo e i vari loro emuli. Non a caso Mattarella, sconosciuto ai più, è apparso simpatico a tanti solo quando i media hanno diffuso la sua realtà di uomo schivo e sotto le righe, ma anche determinato e moralmente inattaccabile. È certamente confortante scoprire che nell’Italia del 2015 possano ancora essere attraenti la capacità di essere educati, di non partecipare quotidianamente alle liturgie dei talk show e di non alzare inutilmente la voce. Probabilmente è proprio la sobrietà verbale la prima necessità di un Paese estenuato da roboanti promesse, prima quelle dell’ ‘unto del Signore’ e poi quelle del ‘rottamatore’, oltre che stufo della politica del ‘vaffa’. Se è così, è già un segno di speranza per tutti noi.

Quelle tre culture – azionista, comunista e democratico-cristiana – hanno avuto in comune anche il riferimento a un forte senso delle istituzioni e, più in generale, della politica. In loro, anche negli anni più crudi delle contrapposizioni frontali, è sempre rimasta viva la consapevolezza che le istituzioni erano patrimonio comune e che andavano protette dalle conseguenze dello scontro politico e ideologico contingente. Di questa viva eredità ci si è resi conto osservando il comportamento di Ciampi e di Napolitano e si può ragionevolmente pensare che Mattarella ne seguirà l’esempio. Non si intende qui sostenere che ogni gesto di questi nostri presidenti è stato esente dal suscitare dubbi o dal contenere errori, ma solo ribadire che quello che conta è l’orientamento complessivo, di tutela intransigente dei valori di fondo dell’unità nazionale e dell’ispirazione costituzionale.

Tradizione democratico-cristiana, dunque, come matrice del politico Mattarella. Ma il riferimento alla DC e alla sua tradizione richiede qualche approfondimento, dovuto al fatto che quel partito è stato per decenni il contenitore di posizioni anche molto differenti tra loro. È bene dunque ricordare che, nella DC, Mattarella è stato autorevole rappresentante di quella sinistra che fin dagli anni Settanta si pose il problema di avviare una profonda rigenerazione della politica e dello Stato. Pochi ricordano che in seguito alla sconfitta della segreteria Fanfani al referendum sul divorzio (1974) e alla paura di essere ‘sorpassati’ dal PCI (regionali del 1975, politiche del 1976), all’interno del mondo cattolico e del partito si costituirono due diverse posizioni finalizzate al recupero e al rilancio: quella cattolico-democratica e quella ispirata da Comunione e Liberazione tramite il Movimento Popolare. Ne seguì una contrapposizione che dura tuttora e che trovava spiegazioni ecclesiologiche, teologiche e culturali, prima ancora che politiche. Inutile parlarne qui. Sta di fatto che Mattarella si schierò, nel solco dell’eredità ideale di Giuseppe Lazzati (che a suo tempo era stato proposto dal PCI come possibile Capo dello Stato), con Beniamino Andreatta, Roberto Ruffilli, Pietro Scoppola, Leopoldo Elia. Va ricordato che uno di loro, Ruffilli, si rese protagonista dello sforzo di ridisegnare il volto delle istituzioni al fine di arginare lo strapotere della partitocrazia e ridare piena sovranità ai cittadini. Invito a rileggere Il cittadino come arbitro, da lui curato insieme a P.A. Capotosti e pubblicato dal Mulino nel 1988.

Questa tradizione politica, a cui si è sempre ispirato Mattarella, contiene numerose caratteristiche sulle quali bisognerebbe tornare. Segnalo in  drastica sintesi: una fede cristiana vissuta, non proclamata e mai esibita; il forte senso della laicità della politica e delle istituzioni (seguendo l’esempio lontano di De Gasperi, questi uomini non si sono mai genuflessi e non hanno mai sposato le linee del card. Ruini, anzi…), la consapevolezza del ‘dialogo’ con le forze genuinamente progressiste e del pluralismo sociale del Paese, l’intransigente difesa della Costituzione repubblicana, la spinta a un forte riformismo tanto nel partito quanto nel complessivo sistema politico. Qualche commentatore ha contestato l’eccessivo primato attribuito alla politica da questi uomini, quasi che essi fossero indifferenti rispetto al patrimonio sociale cattolico e non. In realtà non di indifferenza si trattava, bensì di convinzione che anche la realtà sociale – pur pienamente libera e liberata dalle ingerenze di uno Stato-padrone – dovesse essere ricondotta entro la cornice della politica, ovvero della scelta democratica di regole valide per tutti. È ragionevole pensare che Sergio Mattarella si muoverà lungo queste linee e dunque sarà tutt’altro che un presidente-notaio ligio alle disposizioni del potere esecutivo.

Non si può, infine, non rimanere colpiti da un dato di fatto e cioè che questa componente cattolico-democratica è stata forse quella più pesantemente colpita dal terrorismo. Tutti hanno ricordato Piersanti Mattarella, ucciso nel 1980 dal terrorismo mafioso; ma al suo nome vanno aggiunti quelli di Aldo Moro e, ancora, di Vittorio Bachelet (ucciso dalle Br alla Sapienza di Roma il 12 febbraio 1980, un mese dopo Piersanti) e di Roberto Ruffilli (anche lui vittima delle Br, il 16 aprile 1988), che mi onoro di avere avuto come professore, maestro e amico. Una memoria che va mantenuta e che certamente è viva nella memoria del nuovo Capo dello Stato.

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*