Myanmar: le rivolte per la libertà guidate da giovani come noi

10.192 km di distanza da Parma e un unico desiderio: avere il diritto di scegliere la democrazia e decidere del proprio futuro

Diecimila Centonovantadue sono i chilometri che separano il Myanmar dalla città di Parma. Ed è proprio nell’Ateneo di Parma che tra febbraio e maggio 2021, è stato svolto un laboratorio all’interno del corso di Sociologia della Globalizzazione tenuto dalla prof.ssa Vincenza Pellegrino, facilitato dalla dottoressa D’Apice, dalla dottoressa Giuntini e dal dottor Castronovo, in cui noi studenti dei corsi di laurea magistrale di Programmazione e Gestione dei Servizi Sociali e Relazioni Internazionali ed Europee, abbiamo avuto l’opportunità di interloquire con attivisti e operatori impegnati in Myanmar nelle ore del colpo di stato militare, e di realizzare delle interviste a studenti e in generale cittadini che in questi mesi si stanno battendo per la libertà e la democrazia. Il nostro obiettivo? Da un lato comprendere chi sono i volti e quali le voci della rivolta in Myanmar, dall’altro unirci a loro in un canto di protesta e solidarietà.

Vivere il colpo di stato in Myanmar: la parola alla generazione Z

“A gennaio avevo una routine quotidiana abbastanza fissa, con tutte le mie lezioni online, il tempo da dedicare allo studio e il tempo per pensare al mio futuro. Ma la mattina del 1° febbraio è stata scioccante. Tutte le connessioni sono state interrotte e l’aver sentito che i nostri leader sono stati arrestati e che siamo sotto la giunta militare è stato frustrante. Mi sono sentito davvero insicuro quel giorno. Così la mia vita quotidiana è cambiata molto. Invece di studiare, devo uscire di casa e unirmi alle proteste; poi durante il pomeriggio e la sera io e i miei compagni condividiamo post su Twitter per far sapere alla gente cosa sta succedendo qui in Myanmar. In questi giorni ci sono state molte sparatorie, quindi dobbiamo utilizzare altre strategie per farci sentire, come la protesta non – popolare e le commemorazioni notturne per le persone che hanno perso la vita.”

Queste parole arrivano direttamente da uno dei nostri 10 intervistati, che in poche righe ci ha descritto lo stato d’animo con il quale i manifestanti stanno affrontando il Colpo di Stato e come sono cambiate la loro vita a partire dal 1 febbraio 2021. Per capire quanto è accaduto riteniamo necessario fare un passo indietro di qualche giorno. Lunedì 1 febbraio 2021 in Myanmar è avvenuto un colpo di stato: il Tatmadaw, l’esercito birmano, sotto la guida del generale Min Aung Hlaing, ha preso il controllo del paese, arrestando, oltre alla Cancelliera di Stato Aung San Suu Kyi e al Presidente Win Myint, i principali leader ed esponenti del partito, la Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), che era uscito vincitore dalle ultime elezioni di novembre 2020.

Da quella mattina, oltre al blocco delle principali arterie della capitale Naypyidaw, è stata bloccata la rete internet e tutte le telecomunicazioni, prima nella capitale, poi in tutto il paese. Per questo motivo, i ragazzi della Generazione Z (così chiamata la generazione di coloro che sono nati negli ultimi anni del ‘900), seppur impauriti e sconvolti, hanno subito preso la situazione in mano e nonostante il blocco di quello che rappresenta il principale mezzo di comunicazione, Facebook, hanno dirottato le proteste su Twitter e Instagram, social poco diffusi nel paese prima del 1° febbraio. Inoltre, i più esperti in materia digitale hanno rapidamente diffuso alcune linee guida per poter accedere ad Internet in modo anonimo (come l’utilizzo di VPN e di Browser per la navigazione anonima) e utilizzare servizi di messaggeria criptati, come Signal.

Il 3 febbraio sono iniziate le proteste, l’Unione degli studenti dell’Università di Yangon (UYSU) ha pubblicato su Facebook un annuncio di emergenza, con il quale si chiedeva agli insegnanti di non restare in silenzio e di aiutare i ragazzi a combattere in nome del loro futuro. Queste proteste che hanno riversato in migliaia di persone per le strade di tutto il paese, sebbene sia nata in seno ai giovani, hanno trovato la solidarietà della generazione precedente: quella dei genitori.

“Qui in Myanmar, gran parte della generazione precedente ha affrontato le proteste del 1988. Essi hanno visto molte persone morire a causa della violenza attuata dai militari. Molti di loro hanno paura e hanno tutto il diritto di provare questo sentimento. Tuttavia, cercano in ogni modo di sostenere i loro figli e le loro figlie che stanno protestando ora”.

Infatti, nelle piazze in protesta si vedono persone di tutte le età, diverse generazioni che cantano insieme la canzone della rivolta studentesca del 1988 intitolata Kabar Makyay Bu (“Il mondo non finirà). “Non ci arrenderemo fino a che il mondo non andrà in frantumi” recita la canzone.

“You messed with the wrong generation” (vi siete messi contro la generazione sbagliata): questo è il principale grido di battaglia. Lo slogan della “generazione sbagliata” vuole simboleggiare un divario generazionale tra loro, desiderosi di godere di più libertà e democrazia, e i leader più anziani, i quali sono per la maggior parte uomini e detengono il potere con la forza. L’obiettivo principale è quello di compiere un passo in avanti rispetto ai precedenti movimenti di protesta: non solo una ribellione, ma una vera e propria rivoluzione. Vogliono un futuro di libertà, pace e democrazia sia per sé stessi che per le generazioni future.

All’interno delle proteste, troviamo anche una poesia intitolata “Battle symphony”, composta in 4 febbraio da un collettivo anonimo, che recita: “In this battle, the sound of justice comes from pots and pans”. L’immagine descritta all’interno della poesia evoca ciò che è successo a partire dalla sera del 2 febbraio, e che accade ogni sera a partire da quel giorno: gli abitanti di tutto il Paese si riuniscono sui balconi e nei cortili e battono, come da tradizione birmana, oggetti su piatti di metallo, pentole e padelle per mandare via “lo spirito malvagio” dei militari. Ognuno offre il proprio sostegno.

“Ciò che mi spinge a dare il mio contributo alla resistenza è la libertà (…) rischiamo di morire per un colpo di pistola o di essere arrestati in qualsiasi momento. Preferirei scappare dal paese ed essere un rifugiato da qualche altra parte, se non fosse possibile abbattere il dominio militare.”

Le proteste creative della Generazione Z

Prima che giungesse la dura risposta dell’esercito alle manifestazioni, i giovani della Generazione Z hanno mostrato tutta la loro creatività. Molti ragazzi hanno protestato indossando abiti spiritosi, travestendosi da supereroi, cosplayers, dinosauri, fantasmi e altri personaggi.

Ha suscitato curiosità la “Protest princess” a Yangon, la più grande città del Myanmar. Diverse ragazze sono scese in strada vestite con abiti eleganti e principeschi per dimostrare che anche le “principesse” sostengono la protesta. Alcune di loro durante le manifestazioni hanno sollevato cartelli con la scritta: “Non voglio una dittatura militare, voglio soltanto un fidanzato”; “My ex is bad, but military cup is worse”. Accanto alle ragazze vestite da principessa, c’erano ragazzi che protestavano seduti dentro a delle piscine gonfiabili, anche loro con i propri slogan “I am a little upset”, “We want our leaders and democracy back”.

Durante tutte le proteste, i manifestanti mostrano il saluto a tre dita – indice, medio e anulare – il quale è stato ripreso dalla saga cinematografica “Hunger games” ed è apparso per la prima volta nel 2014, in Thailandia, durante le proteste di alcuni giovani manifestanti contro un colpo di stato militare.

In Myanmar questo simbolo è stato utilizzato fin dai primi giorni del colpo di stato. I primi ad utilizzarlo sono stati i medici, poi seguiti da tutti i manifestanti. Per il popolo birmano, il saluto a tre dita ha assunto un significato altamente simbolico. Esso è stato ribattezzato con il nome “Su Yway Hlout”: ogni dito alzato rappresenta una parola ed ogni parola rimanda ad una specifica richiesta:

1. “Su” rappresenta la richiesta di liberazione per Aung San Suu Kyi e gli altri leader civili;
2. “Yway” rimanda alla richiesta di accettare i risultati delle elezioni;
3. “Hlout” invoca l’apertura del Parlamento per annunciare un nuovo governo.

Nonostante i numerosi blocchi alla rete, il principale campo di azione del movimento è Internet dove si è creata un vero e proprio movimento che ha coinvolto anche le correnti democratiche di alcuni paesi dell’area. Nel mese di Febbraio 2021, gli attivisti in Myanmar e in Thailandia hanno iniziato ad adottare l’hashtag #MilkTeaAlliance in segno di solidarietà al popolo birmano, soprattutto attraverso la condivisione di immagini raffiguranti le bustine di Tè Royal Myanmar. Il 28 febbraio è diventata virale su Twitter un’illustrazione dell’artista thailandese Sina Wittayawiroj, la quale ha riunito in una stessa immagine il tè al latte thailandese, taiwanese, di Hong Kong, indiano e birmano sotto il titolo di “Milk Tea Alliance”. All’interno della loro protesta i ragazzi della Generation Z stanno utilizzando diversi simboli pensati e resi celebri dal movimento della Milk Tea Alliance. Un altro hashtag molto utilizzato, nato sulla scia delle proteste dei cugini Thailandesi del 2014, è #WhatsHappeningInMyanmar.

Il principale obiettivo di questi post è quello di raccontare in tempo reale ciò che sta accadendo in Myanmar. Le fotografie e i video mostrano i metodi di protesta del popolo e raccontano la determinazione dei giovani; mostrano la violenza e la cattiveria dei militari nei confronti dei protestanti; raccontano le emozioni e la sofferenza che sta vivendo il popolo birmano a causa della perdita di molte persone per mano dei militari. I post sui social media sono spesso accompagnati anche da altri hashtag, come #springrevolution, #wemustwin, #savemyanmar #RejectMilitaryCoup, #Civildisobediencemovement.

I caduti per la libertà

La risposta del Tatmadaw non è tardata ad arrivare, inizialmente hanno attaccato i protestanti con proiettili di gomma e cannoni d’acqua, per poi passare all’utilizzo di proiettili veri e propri.

“Ciò che mi spinge a dare il mio contributo alla resistenza è la libertà. Non vogliamo più vedere persone che soffrono, vogliamo una vera democrazia in cui tutti possano godere di pieni diritti umani e libertà. Il numero di civili morti cresce di giorno in giorno e i militari provano ad occultare il vero numero delle morti.”

Mya Thwate Thwate Khaing aveva 20 anni ed è stata la prima vittima delle proteste. Il 9 febbraio la giovane donna è stata colpita da un proiettile durante una protesta nella città di Naypyidaw. Il fratello di Mya ha dichiarato che, pur supportando i movimenti giovanili di protesta, non era d’accordo sullo schieramento in prima linea della sorella; tuttavia, “quello era ciò che lei desiderava” e nessuno è riuscito a fermarla.

Un altro simbolo della resistenza è stata Kyal Sin, la quale era stata soprannominata “Angel”. Kyal aveva 19 anni e il 3 marzo è stata colpita alla testa da un proiettile sparato dai militari ad altezza uomo mentre partecipava ad una manifestazione nella città di Mandalay. Quel giorno Kyal, indossava una maglietta con la scritta “Everything will be ok”, “andrà tutto bene”. Qualche giorno prima di prendere parte alle proteste aveva pubblicato sul suo profilo Facebook un post nel quale riportava le informazioni riguardanti il suo gruppo sanguigno, è infatti uso tra i giovani scrivere sul proprio corpo il gruppo sanguigno di appartenenza e il numero di telefono dei loro parenti. In questo modo, forniscono informazioni utili a chi li soccorrerà nel caso dovessero rimanere feriti o uccisi durante le proteste.

Le storie di Mya Thwate Thwate Khaing e di Kyal Sin sono solo una fotografia di quanto sta succedendo in Myanmar dal 1 febbraio, le vittime ad oggi sono circa 883, ma nonostante la paura la Generazione Z sta dimostrando di avere intelligenza, spirito di iniziativa e coraggio: tutte caratteristiche che spaventano i militari.

Per indagare la natura anche di chi dovrebbe essere a servizio della popolazione, abbiamo chiesto ai ragazzi intervistati perché secondo loro c’è chi si schiera dalla parte dei militari e si aggiunge ad essi. La loro risposta è stata chiara:

“Molti militari hanno subito una sorta di indottrinamento da parte dei generali più esperti. Sono persone che non hanno mai assaporato la democrazia e la libertà, che sono costantemente monitorate dai loro superiori,
i quali diffondono continuamente notizie false. Molto probabilmente saranno promossi tra le milizie, se riusciranno a colpire i manifestanti con un colpo mortale. Loro pensano che i protestanti siano dei criminali, poiché classificano come criminali tutti coloro che disobbediscono alla giunta militare.”

Oltre ai morti, ai feriti e agli arresti, il Myanmar si trova a dover fronteggiare un altro fenomeno: la fuga delle persone verso India e Thailandia o nelle zone controllate dai numerosi gruppi etnici (in lotta fin dal 1949 per il diritto di autodeterminazione). Questi grandi spostamenti avvengono in un contesto mondiale particolarmente complesso a causa della pandemia Covid-19.

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“In due mesi mietute più vittime dai militari che dal Covid-19”

La pandemia da Covid-19 aveva già minato l’economia del Myanmar, e messo a repentaglio il già fragile sistema sanitario, quando, a seguito del colpo di stato, centinaia di migliaia di persone si sono riversate per le strade, creando assembramenti difficilmente gestibili. I medici, già in prima linea per Covid, sono stati sbalzati in uno scenario in cui è divenuto complesso continuare a fare prevenzione per scongiurare la diffusione del virus.

Uno studente da noi intervistato, di circa 20 anni, ha affermato: Sappiamo tutti che COVID 19 c’è, ma non possiamo esserne consapevoli perché al momento c’è un problema molto più grande per noi. Questa è una situazione molto strana. La maggior parte dei cittadini non è uscita per quasi un anno a causa del COVID19. Il quinto giorno del colpo di stato, tutti sono scesi in piazza. Nonostante molti giorni di proteste in pubblico, nessun caso di COVID19 è stato sentito o segnalato. Non so spiegare il perché. Anche nei giorni di protesta, tutti i manifestanti usano le maschere e seguono altre regole per evitare la diffusione del Covid-19. Ma dal primo febbraio non si hanno notizie sul Covid-19 perché il nostro ministro della Salute e dello sport è stato arrestato il 1 ° febbraio e non possiamo combattere il Covid- 19 perché i terroristi sono peggio. Alcune persone che erano morte di Covid 19 ma adesso più di cinquecento persone che sono morte a causa dei dittatori in soli 2 mesi. Il Colpo di stato ha ucciso più persone in due mesi rispetto a covid (…).

L’intento di questa narrazione è quello di sensibilizzare i nostri connazionali relativamente a quanto sta accadendo in un Paese tanto distante da noi, con l’intento di accorciare le distanze e supportando nel nostro piccolo i cittadini del Myanmar. Da studenti universitari, sentiamo il dovere morale di non lasciare cadere nel vuoto le richieste di aiuto che abbiamo raccolto. Alla nostra domanda, “come possiamo aiutare?” abbiamo ricevuto la seguente risposta «per piacere supportate il CRPH, il nostro governo eletto democraticamente e in modo legittimo, supportate l’esercito federale con ciò che gli occorre, accettate e proteggete chi scappa dalle zone di guerra, parlatene di più e costringete le Nazioni Unite ad agire sulla giunta militare oltre che a pubblicare molte dichiarazioni a nostro favore. Per piacere accrescete la consapevolezza globale, sostenete direttamente le persone bisognose, e infine prendete qualsiasi misura per rovesciare questi dittatori disumani. Abbiamo urgentemente bisogno di un aiuto internazionale.»

 

Dedichiamo il presente lavoro ai ragazzi del Myanmar che si sono resi disponibili, con l’augurio che presto possano sentirsi nuovamente a Casa.

L’articolo è a cura di: Allegretti Chiara, Alquati Veronica, Amorini Martina, Angotti Giuseppe, Bianco Anna, Bonasoni Elisabetta, Campanale Anita, Curti Eleonora, Gianola Bazzini Michiele, Godizzi Giulia Maria, Masini Sara, Merico Agnese, Pagliuca Simona Maria, Piscicelli Mariagrazia, Rossi Gaia, Zazzi Mario

Corsi di laurea magistrale: RIE (Relazioni Internazionali ed Europee) e PGSS (Programmazione e Gestione dei Servizi Sociali) Uni PARMA. In collaborazione con Ass. Amicizia Italia-Birmania “Giuseppe Malpeli”.

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