BASTAVA CHIEDERE! 10 storie di femminismo quotidiano

Carico mentale, lavoro emozionale, cultura dello stupro e altre ingiustizie e violenze quotidiane nei confronti delle donne riassunte in un fumetto

“Sono stata cresciuta da due famiglie che, in sequenza, si sono occupate della mia crescita e della mia formazione, ciascuna con i suoi mezzi. Nonostante il fatto che una delle mie due mamme facesse un lavoro imprenditoriale che la portava fuori casa e l’altra fosse una casalinga, entrambe erano sposate a uomini che non avevano idea di dove fossero riposte le loro mutande.” Scrive Michela Murgia nell’introduzione del fumetto “BASTAVA CHIEDERE! 10 storie di femminismo quotidiano”, scritto e illustrato dall’ingegnera informatica, blogger e fumettista francese Emma Clit. Pubblicato in italiano nel 2020.

Attraverso 10 capitoli illustrati (Bastava chiedere!, Rilassati!, Il potere dell’amore, Impara a conoscerla, Michelle, Non va bene ma…, Un ruolo da riempire, L’attesa, Le vacanze, Lo sguardo maschile), Emma racconta delle realtà apparentemente ironiche. Ma le storie che descrive sono vicende quotidiane drammatiche, in cui le donne sono vittime di meccanismi malsani che vanno a danneggiare, nel breve e nel lungo periodo, la loro persona. 

Non si parla di violenza fisica e tangibile dell’uomo sulla donna, ma della violenza invisibile, subdola e profondamente radicata nella nostra cultura, come: gli obblighi sottintesi nella vita di coppia, la pretesa che sia la donna a sacrificare il proprio tempo per dedicarlo alla cura dei figli e della casa o il sentirsi responsabili del benessere sessuale del proprio partner. E ancora: il trattenersi dal rispondere a un commento inopportuno per evitare di essere definita isterica o troppo pesante, la solitudine durante la maternità, la mancanza d’informazione sull’apparato genitale femminile, tanto da considerare la vagina solo un organo dedicato al piacere sessuale maschile e tante altre ingiustizie.

Ma questo tipo di mentalità maschilista è la conseguenza di un’educazione che spinge le bambine verso un «per chi»: per chi investire il loro tempo e le loro energie, invece di direzionarle verso una consapevolezza e valorizzazione della propria persona. Avremmo sicuramente una società diversa se, fin dalla tenera età, le donne venissero educate a pensare prima a loro stesse, alle proprie passioni, alla propria creatività, al proprio lavoro, alla capacità di esprimere i propri bisogni senza inutili sensi di colpa, ma soprattutto al sentirsi complete e felici senza la necessità di avere un partner al proprio fianco. Un altro problema è che i bambini crescono in ambienti in cui vedono le loro madri farsi carico della gestione della casa e dei figli (e tutto ciò che ne consegue), mentre i padri al massimo eseguono le loro istruzioni. Senza considerare il condizionamento dei media, che spesso e volentieri rappresentano la donna come moglie e madre, mentre l’uomo è l’avventuriero che realizza se stesso al di fuori delle mura domestiche. 

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Sono varie le dinamiche oramai considerate “normali”, ma in realtà derivanti da condizionamenti culturali maschilisti e patriarcali

Nel primo capitolo, “Bastava chiedere”, Emma parla del carico mentale che Michela Murgia, nell’introduzione, definisce così: “Quel processo per cui si chiede alle donne di complicarsi la vita per semplificare quella di chi amano. Il sottinteso ricattatorio, che resta ai miei occhi la forma peggiore di manipolazione emotiva mai inventata, è che se si rifiutano di assumere questo ruolo allora non è vero amore. O non è vera donna.”  Se per un uomo è scontato che sia la sua compagna a chiedergli di occuparsi della gestione della casa, significa che la considera come la responsabile principale delle faccende domestiche e, quindi, è una sua responsabilità (e non di entrambi) pianificare e organizzare il tutto. Il carico mentale è un lavoro incessante e invisibile che richiede tempo ed energie: finché il partner non si prenderà la propria fetta, tutto questo sarà ancora sulle spalle delle donne. 

In “Rilassati!” si parla della differenza tra la rabbia femminile e quella maschile. Emma cita l’esempio della politica: “Gli uomini possono mettersi a gridare, gesticolare, bestemmiare senza rischiare di essere trattati da isterici o di essere criticati per la bruttezza delle espressioni facciali. Questo li aiuta addirittura a convincere la gente a farsi eleggere. Per le donne comportarsi allo stesso modo non è possibile – Ehi ma sta dando di matto. Ha le mestruazioni o cosa? – Se da una parte la rabbia conferma il carisma degli uomini, dall’altra rende meno credibili le donne.” Ma la rabbia è un’emozione sana. È una reazione più che naturale a tutto ciò che subiamo costantemente: provocazioni, mancanza di rispetto, violenza fisica e/o verbale ecc. Se ci abituiamo a reprimere questo campanello d’allarme, rimarremo paralizzate di fronte a situazioni di aggressione perché non avremo più fiducia nei nostri riflessi spontanei. 

Attraverso “Il potere dell’amore”, Anna G. Jonasdottir, politologa islandese specializzata nello studio dell’amore, ci spiega che il sentimento amoroso è essenziale per l’essere umano perché gli permette di sentirsi vivo. Nelle coppie eterosessuali le donne esprimono il loro amore prendendosi cura dell’altro, anche se questo significa sacrificare i propri bisogni. L’uomo si nutre di questa relazione per affermare il suo ruolo nel mondo esterno, anziché ricambiare la sua compagna con la stessa attenzione. Jonasdottir definisce questo transfert d’energia “potere dell’amore”. Ciò significa che la donna è continuamente attenta ai bisogni del proprio partner, anticipandoli ancor prima che siano espressi, rassicurandolo nella sua performance sessuale, facendosi carico della salute del proprio compagno, diventando pian piano sua madre più che la sua partner. E questo lavoro emozionale è tutt’altro che inutile: è l’elemento che permette all’essere umano di trovare energia per creare e affermarsi nella sfera pubblica.

Non è certo una novità, ma con “Impara a conoscerla” si ribadisce che sia ancora tabù parlare di masturbazione femminile. Ciò non permette alle donne di vivere la propria sessualità in modo libero, portandole a provare vergogna per qualcosa che dovrebbe essere del tutto naturale. Per capire il livello di disinformazione sugli organi genitali femminili, Emma ci porta un esempio: nel 2009 Annie Sautivet, un’insegnante di educazione artistica, ha chiesto a 300 suoi alunni di 13/14 anni di disegnarli. La maggior parte non ha saputo dove collocare la clitoride. E la metà delle ragazze di terza media e un quarto di quelle di primo superiore non sapevano di averne uno. 

Nel capitolo intitolato “Michelle” si affronta il problema della divisione delle responsabilità all’interno di una coppia e dell’importanza dell’indipendenza economica. Se è normale che l’uomo lavori a tempo pieno, fuori casa e rappresenti la principale fonte di reddito (chiamato lavoro produttivo), è altrettanto normale che la donna metta da parte la propria carriera, scegliendo un part time, per poter gestire casa e famiglia (chiamato lavoro riproduttivo). La differenza è che un lavoro produttivo dà il diritto a uno stipendio, uno status sociale e una pensione. Mentre il lavoro riproduttivo è invisibile e gratuito. Inoltre, in caso di divorzio, le donne che hanno scelto il part time o non lavorano proprio, si ritrovano a corto di soldi e senza nessun riconoscimento per il lavoro invisibile svolto per i propri partner. Inoltre, un’altra cosa che fa sorridere, seppur sia un sorriso molto amaro, è che le statistiche francesi dimostrano che i lavoratori dipendenti single trovano il tempo per le faccende domestiche. Ma è quando si mettono in coppia che smettono di occuparsene. 

Non va bene ma…” chiarisce che, far sentire in colpa la propria partner perché non ha voglia di fare sesso, è violenza. Così come è violenza il catcalling, fare degli apprezzamenti per strada non graditi, pensare di avere il diritto di esprimere la propria opinione riguardo l’aspetto di una donna e tante altre apparenti piccole cose che piccole non sono. Viviamo nella cultura dello stupro, dove già in adolescenza consideriamo scherzi innocui slacciare il reggiseno della compagna di classe, toccarle il sedere o vantarsi di essersela portata a letto. E pensate bene a quante donne subiscono quotidianamente violenze fisiche e non prima di dire: “Però non si può più scherzare su niente.”

Un ruolo da riempire”, ovvero la dinamica ‘donna-oggetto/uomo conquistatore’. Le bambine vengono ben presto abituate a ricevere commenti sul loro fisico e sui loro vestiti. E man mano che si cresce è difficile, se non impossibile, sottrarsi ai bombardamenti psicologici per adeguare il corpo della donna ai canoni estetici. Spinte a truccarsi, depilarsi, essere ben vestite, in modo da avere un involucro esterno sempre più appetibile. Possiamo essere quasi portati a credere che l’unico obiettivo di vita di una donna sia quello di invogliare gli uomini a sedurla.

L’attesa” tratta l’ancora attuale mancanza di una divisione equa delle responsabilità tra i due genitori. Madri che una volta che è nato il figlio rinunciano al tempo libero, alle loro passioni e a gran parte di ciò che facevano prima, mentre i padri sono disposti a sacrificare ben poco delle loro attività extra e si rifugiano spesso nelle ore in più di lavoro. Probabilmente è necessario iniziare a creare una società dove il valore della famiglia è tra i primi posti.  

Le vacanze”: nonostante i postumi di una gravidanza siano fisicamente e mentalmente pesanti, c’è chi ancora considera la maternità come una vacanza. Senza trascurare il fatto che, dopo pochissimi giorni, il partner ritorna a lavorare ed è ancora una volta la donna a doversi occupare in solitudine del figlio. Ma perché se il figlio lo si fa in due, è solo la donna che si occupa maggiormente di lui una volta che è nato? 

Infine, ne “Lo sguardo maschile” si parla di come al cinema, nel mondo dei fumetti, nelle pubblicità, nei videogiochi, nei programmi tv e nei social le donne vengono spesso rappresentate in maniera ipersessualizzata. E la maggior parte delle volte non hanno né un ruolo ben preciso né un nome. Esistono solo per soddisfare lo sguardo maschile. Inoltre, vengono frequentemente rappresentate in modo completamente irrealistico dal punto di vista anatomico, ma ciò permette al fruitore di mettere gli occhi sia sul seno che sul sedere contemporaneamente. 

Insomma, Emma ci fa capire che è comoda e vantaggiosa la posizione di un uomo educato a dedicare le proprie energie al lavoro e alle passioni, mentre la donna si fa carico di lavori invisibili e non retribuiti. Questo fumetto cerca di sensibilizzare mariti, padri, fratelli e figli, sperando di avere sempre più uomini consapevoli e responsabili di fronte alle scelte intraprese. Ma, soprattutto, ci si auspica di poter vivere in una società in cui il rispetto per le donne non deve essere una lotta quotidiana, bensì una base di partenza assodata.

di Elisa Carlino 

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