All’avventura con Trenitalia: una breve storia vera e triste

Un viaggio che non vorresti mai fare, un'ansia che non vorresti mai provare

trenitalia

Arrivo al treno Milano centrale -Verona Porta Nuova con 25 minuti di anticipo. Come mia abitudine chiedo ad uno dei controllori dove posso trovare il bagno più vicino. So che prima o poi dovrò usarlo, anche perché la mia fermata è proprio Verona.

A quel punto vengo informata che i bagni non sono agibili. Tutti? Si tutti. Ma ho tempo e vado a quelli della stazione centrale.

La gente salita tardi sul treno non ha però la mia stessa fortuna. Vedo il volto delle persone cambiare colore quando sentono che ‘i bagni sono fuori servizio’ e percepisco il panico da vescica piena che le assale.

Il regionale parte e inizia il disordine. Giustamente c’è chi si lamenta. Come fanno ad essere tutti fuoriservizio? Interviene il capotreno, che mostra ad una ragazza evidentemente sofferente le condizioni di un bagno. Per fortuna non ho la visuale giusta, ma mi basta guardare la faccia della ragazza per comprendere lo stato delle cose

Niente: in bagno non si può andare.

Ora qualcuno penserà: Milano-Verona non è poi così distante. Non la si può trattenere? No, in alcuni casi non la si può trattenere. Ma al di là delle prestazioni continenti di ciascuno, sarebbe bello superare la logica dell’italiano medio, per cui ‘ma sì, in Italia funziona così’. Sarebbe bello smettere di accettare situazioni che non dovrebbero essere tollerate e pretendere invece che se si paga per un servizio, quel sevizio venga effettivamente garantito. Anche di fronte a 15 minuti di corsa.

Ma lo spettacolo deve solo cominciare.

Non facciamo nemmeno venti metri che  – ops –  il capotreno si accorge che il regionale è sovraffollato. Non si può certo proseguire la corsa in queste condizioni. Dopotutto c’è sempre un’emergenza sanitaria in corso! Ma davvero signor capotreno? E io che credevo che fosse tutto un complotto del deep state. 

Ora, tutti quelli che devono recarsi a Brescia e verso altri paesini di cui non ricordo il nome, vengono gentilmente invitati a prendere un altro treno.

Ed ecco il circo: gente che esce, gente che entra. Porte che si aprono e porte che si chiudono. Stazionamenti infiniti.

Siamo già a venti minuti di ritardo. A Verona mi attende il cambio per Bolzano. Ho in tutto 50 minuti prima di prendere la coincidenza. Ne restano trenta. Ce la posso ancora fare. Ma sento le gambe rimbalzare in uno spasmo involontario e le mani che iniziano a sudare. Parliamo di un regionale Trenitalia, voglio dire. Ogni convinzione è una filastrocca.

Allora mi alzo e percorro i 200 metri piani che mi separano dal capotreno. ‘Mi scusi riusciamo a recuperare un po’ di ritardo? Ho il cambio a Verona!’ ‘Si, signorina. Vedrà che recuperiamo’.

Ritrovo un po’ di pace mistica e torno a sedere. Scrivo ai miei amici che sono partiti da Bologna e che si trovano proprio sul treno che dovrò prendere anche io, una volta a Verona. ‘Dovrei farcela’, gli dico.

E poi succede l’inenarrabile.

Una voce all’altoparlante annuncia che a causa dell’inagibilità dei bagni, il treno si fermerà alla stazioni successive per permettere a chi ne ha bisogno di usufruire dei servizi di quella stazione.

‘Non è possibile – penso – staranno scherzando’. Invece alla prima stazione ci fermiamo e rimaniamo lì almeno 15 minuti. Succederà altre tre volte.

Il ritardo si accumula. Controllo morbosamente l’app di Trenitalia per calcolare a che velocità dovrò correre per fare il cambio treno, se non voglio perdere la coincidenza per Bolzano. Ma il ritardo continua a salire.

Sento l’ipotalamo fremere. Ripercorro di corsa la passerella che mi separa dal capotreno e gli scaravento addosso l’ira di Achille. Lui è mortificato – si vede – ma a me non importa. Com’è possibile che accada tutto questo?

Ormai il ritardo è vicino ai 50 minuti e io perdo ogni speranza. A quel punto chiedo al capotreno di chiamare il regionale che dovrò prendere a Verona, per informarlo del ritardo e per chiedergli di aspettarmi.

Dopo minuti interminabili, il capotreno mi informa che sì, ci aspetteranno. Lo annunciano addirittura con l’altoparlante. Sono euforica: chiamo i miei amici. ‘Ci aspettate, lo hanno annunciato’.

Intanto loro arrivano a Verona con ripartenza prevista alle 19:50. Ma ormai ci aspettano – lo hanno annunciato – anche se noi siamo ancora a 15 minuti dalla stazione. Quel treno dovrà attendere un bel po’.

Ma non lo fa. Neanche lontanamente. Alle 19:52 si chiudono le porte. I miei amici mi avvisano ‘cazzo, siamo partiti’.

Percepisco di nuovo quella strana sensazione all’ipotalamo. Mi lancio direttamente verso la cabina di comando, dove si è rifugiato il capotreno. ‘Guardi che non ci hanno aspettato’, gli faccio presente. ‘Può prendere quello dopo’, mi sento dire. No, non posso. Arriverò troppo tardi.

Non ho alternative: compro una freccia Verona-Bolzano. Lì dovrò poi prendere un ultimo treno in questo viaggio infinito.

Da quando sono partita mi è sembrato il viaggio della speranza, di chi non può permettersi il lusso del diretto (di solito una freccia) e deve accettare due cambi e 6h 30 di treno, che poi diventano molto di più.

‘Può prendere quello dopo’, mi sento dire. Perché dopotutto, per €33 di regionale Torino-Bolzano non ho il diritto di pretendere di più. O forse si?

La beffa che si aggiunge al danno è che il rimborso non è contemplato: dopotutto non ci sono stati nemmeno 60 minuti di ritardo.

Buon viaggio da Trenitalia Tper!

 

di Martina Santi 

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