Zitte e buone? Jebreal e Leone hanno detto no grazie

Quando il mondo del giornalismo e quello del calcio sono al centro di un dibattito sul sessismo, Rula Jebreal e Aurora Leone ci mostrano cosa vuol dire prendere posizione e non stare zitte e buone.

“7 ospiti… solo una donna! Come mai? Con rammarico devo declinare l’invito. Come scelta professionale non partecipo a nessun evento che non implementa la parità e l’inclusione”. Queste sono le parole con cui la giornalista Rula Jebreal si ritira dalla puntata di Propaganda Live a cui era stata invitata. 

“Abbiamo capito, una volta per tutte, che lei non conosce questa trasmissione che, con tutte le difficoltà e gli errori fatti negli anni, già dai tempi di Gazebo in Rai, ha vinto il Diversity award proprio perché rappresenta tutte le diversità. La nostra forma mentis consiste nell’invitare una donna o un uomo perché competenti, per la loro storia, perché i migliori per parlare di quella determinata cosa”. Questa è stata la risposta di Diego Bianchi, conduttore del programma. 

E questo è stato solo l’inizio di due settimane che stanno mettendo a dura, durissima prova il rapporto tra la cultura italiana e le cittadine del nostro Paese.

Cose che nel 2021 hanno stancato: la retorica dell’uguaglianza e i manel.

Partiamo da una nota semplice, ma doverosa: nel 2021 non abbiamo ancora capito che non funziona più la retorica del io non vedo le diversità perché siamo tutti uguali? 

Caro Diego Bianchi, la diversità c’è. Nonostante il tuo programma abbia vinto un premio per la diversità, nel tuo settore lavorativo una donna guadagna il 18% in meno di un collega maschio. Per quanto riguarda i dati relativi alla differenza di salario tra giornalisti caucasici e non, non esiste nemmeno uno studio completo e recente in Italia, il che la dice lunga sulla situazione.

La retorica dell’uguaglianza non può sussistere. Condividerla, oggi, vuol dire credere ancora che il motivo per cui in un certo settore non lavorino abbastanza donne o persone di colore sia perché queste non sono abbastanza brave, non certo perchè sono discriminate. E non è così. La realtà è che il percorso lavorativo che certe persone affrontano è diverso, ha più ostacoli e alcuni sono lì da decenni.

Dal profilo Facebook di Fisco24

Non possiamo continuare a pensare che l’unico motivo per cui non si vedono più donne in televisione sia perché non ce ne sono abbastanza con talento – c’è forse qualcosa nel DNA maschile che li predispone al giornalismo? Anzi, c’è forse qualcosa che li predispone alla politica, all’imprenditoria, alla scienza, a qualsiasi settore lavorativo?

Se non vi vengono in mente dieci giornaliste brave, non è perché non ce ne siano, ma perché alla loro voce non viene dato abbastanza risalto e perché il loro percorso lavorativo é più ostacolato. Jebreal ha una carriera ben più lunga di quella di Bianchi, cominciata proprio nella rete di La7, ma non sarebbe scorretto affermare che è molto meno conosciuta del suo collega. Perché la sua carriera non gode della stessa o di maggiore fama? Basta tornare a qualche riga sopra.

Ma passiamo ora ad un’altra questione, ben più spinosa: il ruolo femminile nei manel. Questo neologismo è ormai noto ai più grazie alle campagne di Michela Murgia e si definisce come un gruppo di esperti, di conferenzieri, un comitato formato per la maggior parte da uomini. Infatti, deriva dall’unione dei due termini inglesi man e panel. L’episodio che ha forse fatto più scalpore risale al settembre scorso, quando Alessandro Baricco, ha organizzato a Verona il Festival della Bellezza: tra i 24 partecipanti ha invitato solo due erano donne, la sua pianista accompagnatrice e l’attrice Jasmine Trinca.

In quest’occasione, numerose erano state le polemiche di chi si chiedeva come mai si fossero trovate in tutto il mondo culturale italiano solo due donne – di cui una nemmeno protagonista – e perché gli organizzatori avessero pensato che avesse un briciolo di senso organizzare un evento sulla bellezza senza relatrici. Da quel momento si sono moltiplicate le figure che hanno adottato la politica di Murgia: no alla presenza ai manel.

Dal profilo Facebook di Giorgia di Paquale

Anzi, la Murgia ha addirittura organizzato nella stessa città un evento opposto, Erosive. Per non incoraggiare questa pratica di esclusione, tante donne come lei e Jebreal hanno fatto loro la politica di rinunciare alla partecipazione ad un evento, a un programma o a una testata in caso non ci fosse nemmeno l’ombra di parità di genere tra ospiti. E’ un’assenza che fa più rumore di qualsiasi parola e che scatena un vittimismo insopportabile da parte dei responsabili.

Il più delle volte le scuse sembrano tutto fuorché un’assunzione di colpa, e sempre più una polemica su quanto il soggetto in questione non meritasse tali accuse perché é una brava persona o associazione, mancando clamorosamente il punto: il fatto che Propaganda Live sia un programma più ‘diverso’ rispetto ad altri non lo rende esente da errori o mancanze.

Infatti Diego Bianchi afferma che Jebreal abbia sparato sulla Croce Rossa, ovvero che abbia attaccato un programma inattaccabile che ha addirittura vinto un premio per la diversità – come si fa a prendersela con Propaganda Live? E a qualche giorno di distanza, un altro attacco al femminile ad uno storico evento sportivo e culturale come la Partita del Cuore, che da quarant’anni gioca per aiutare la ricerca contro il cancro – come si fa a prendersela con questa organizzazione?

In questo caso, a puntare il dito è stata Aurora Leone, comica dei The Jackal, convocata come giocatrice e allontanata poi dal tavolo e dall’hotel in quanto donna, accusata poi dall’amministrazione e da qualche collega di inventare una polemica per guadagnare likes e followers. Come se i The Jackal, con 1,4 milioni di followers su Instagram, avessero bisogno di pubblicità.

E quindi, seguendo un copione tristemente noto e ormai abusato da chiunque oggi subisca queste accuse, ecco  il momento dell’assunzione del ruolo di vittime da parte dei colpevoli. Basti pensare all’intervento di Enrico Ruggeri, capitano della Nazionale Cantanti, che dal profilo Instagram della squadra le ha rivolto questo invito: “Quello che posso fare è mostrare la maglia di Aurora e se qualcuno la conosce ditele che noi la stiamo aspettando in campo per cercare di porre rimedio a questo incidente per il quale, come ho già detto, abbiamo già preso provvedimenti.”

Cattiva Aurora Leone. Cattiva che hai messo delle celebrità in una situazione difficile, che devono porre rimedio ai disagi che tu hai causato.

Cattiva Rula Jebreal. Cattiva che hai messo in pessima luce Propaganda Live, che per il tuo egoismo hai tolto la voce ai Palestinesi la cui storia avresti riportato.

Cattive che non avete stretto i denti, che non siete state zitte, che non avete reso la vita facile.

Come essere cattivE e l’importanza di essere cattivI.

Il problema è che l’assenza ha un prezzo. In un contesto in cui per una donna è difficile conquistare un posto di rilievo, mantenerlo a lungo è quasi impossibile. Rinunciare a un convegno vuol dire rinunciare a un compenso. E se la parola si diffonde, se si comincia a essere considerate ‘difficili’, si rischia di non essere più invitare e di perdere più compensi.

Purtroppo, sono molte di più le situazioni in cui si deve essere buone e zitte, in cui si fa un sacrificio per la carriera lavorativa, accademica o sportiva. In un mondo ideale, non perderemmo niente, ma in questo… la desolante verità è che spesso il pubblico a quest’assenza non dà nemmeno troppo peso perché lo spettacolo c’è lo stesso, se non per quel breve intervento dove il Diego Bianchi o l’Enrico Ruggeri di turno si proclamano non solo innocenti, ma addirittura vittime delle cattive intenzioni dell’accusatrice che è sempre in cerca di fama e sconosciuta ai più. Anche se si tratta di una delle principali giornaliste italiane o di una comica da centinaia di migliaia di seguaci. Concluso il momento sobrio di finte scuse e più vere accuse, si torna allo show: quell’uno, due minuti non hanno inciso granché sullo spettatore.

Ci sono, però, azioni forti che si possono e si devono fare, che costituiscono sempre un rischio certo, ma potrebbero anche avere più risonanza. Una di queste è denunciare la disparità in diretta, in modo più o meno sottile. Gli organizzatori e i conduttori sarebbero costretti, con un po’ di imbarazzo, ad ammettere la mancanza.

Come durante la cerimonia finale del Premio Strega 2020. Il conduttore ha congedato la scrittrice Valeria Parrella presentando l’ospite e l’argomento successivo, ovvero Corrado Augias e il movimento #MeToo: “E lei ne vuole parlare con Augias? Auguri” la risposta puntuale di Parrella. Imbarazzanti i tentativi di recupero del conduttore Zanchini. Chi meglio di una donna intellettuale e inserita nell’ambito culturale e artistico avrebbe potuto parlare di un movimento tutto al femminile sulla discriminazione e la violenza di genere? Un uomo, ovviamente. Coltissimo, certo, ma opposto al soggetto in questione, rispecchiato invece quasi del tutto da Parrella. 

O ancora, si potrebbe stare zitte, sì, ma letteralmente. Sfruttare i minuti di visibilità duramente conquistati per stare in un silenzio simbolico, che duri tanti minuti quanti i numeri che servirebbero per una parità di genere tra gli ospiti. Anche in questo caso, dopo aver annunciato l’intenzione gli organizzatori sarebbero in difficoltà nella gestione del caso e le iniziative prese da loro e dagli altri presenti sarebbero estremamente significative, sia in positivo che in negativo.

Certamente, sono anche queste iniziative che hanno un prezzo. Pagarlo può essere più difficile perché i colpevoli avrebbero più occhi puntati addosso, ma non è una garanzia a lungo termine. Nel frattempo, per chi non può esporsi o non ha la piattaforma per farlo, la soluzione più immediata è contare e chiedere. Si deve contare quanta disparità c’è nel nostro programma preferito, nel giornale che leggiamo ogni giorno, nella realtà in cui lavoriamo. Si deve chiedere il perché di questa disparità tramite i social, le e-mail, le domande fatte per curiosità.

Qualche giorno fa, un senatore italiano – il cui nome volutamente non viene riportato – ha dichiarato pubblicamente che le donne sono fatte per accudire, non per studiare la scienza. Chiedetevi ora: quanto siete indignati per questa frase? E quanto avete sbraitato? La risposta è “non abbastanza”. Le donne potrebbero tacere, per sfinimento, perché sono settimane che l’Italia politica e culturale le massacra, ma non lo fanno anche se non vengono ascoltate.

 

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Questo perché nonostante Rula Jebreal abbia fatto la disturbatrice, nonostante Aurora Leone e mille altre lo facciano ogni giorno, il disturbo – quello vero – viene notato solo se qualcuno ne rimane infastidito. A conti fatti, quante carriere di uomini sono andate in fumo per l’accusa di manel? Alessandro Baricco è più celebre che mai, Diego Bianchi continua a condurre. Quanti eventi sono stati cancellati perché le partecipanti sono state maltrattate? La Partita del Cuore si è giocata.

E no, nessuno sostiene che bisogni far dimettere Bianchi per non aver ospitato più donne o più persone di colore; il punto è che l’essere disturbatrice, l’essersi esposta non ha cambiato nulla. Questi sono gesti di denuncia fortissimi, ad oggi necessari, ma che non feriscono, non danneggiano nessuno dei diretti interessati. Insomma, per colpire la carriera di una donna basta la più piccola spinta di un uomo. Per colpire la carriera di un uomo, serve una Giovanna d’Arco più un’esercito di eroi.

Questo è quindi un invito a voi: siate disturbanti, non credete ai vittimismi, insistete, non tenete la bocca chiusa. Rifiutate il silenzio complice e le battute di circostanza, anche se vi sembrerà che nessuno vi badi, o che vada a vostro discapito. Se nel 2021 possono ancora esistere settimane come queste, dove si affermano pubblicamente cose come queste, è perché non siete stati abbastanza cattivi: impegnatevi, come se ne dipendesse la vostra vita o il vostro lavoro. Per noi è così da secoli.

 

di Teresa Tonini

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