Dalla Brexit alle lingue del futuro

La lingua inglese sarà ancora la lingua più parlata o lascerà il posto ad altre lingue a causa della Brexit?

La lingua inglese è ormai sinonimo di globalizzazione, nonché la lingua ufficiale dell’Unione Europea. Adesso che il Regno Unito, patria del ‘British’, non fa più parte dell’Europa, come ci si dovrà relazionare con questa lingua? Siamo sicuri che la Brexit non avrà ripercussioni anche a livello linguistico? Ne abbiamo parlato con la prof.ssa Maria Elena Capitani, specializzata in Letterature Anglofone e Storia della Cultura Inglese all’Università di Parma.

Inglese: quando è diventata la lingua più parlata?

L’inglese deve il suo primato alla diffusione nei secoli passati; Il primato ebbe inizio infatti con la fine della Guerra dei Cent’Anni: quando terminò il dominio dei francesi nelle Isole Britanniche e l’inglese cominciò a diffondersi notevolmente, spodestando il francese che a sua volta aveva soppiantato il latino.

Furono soprattutto William Shakespeare (che coniò quasi 2000 parole, molte delle quali utilizzate ancora oggi) e le numerose invenzioni scientifiche, (che richiedevano la creazione di nuovi termini) a contribuire alla crescita della lingua inglese nel mondo. Questo processo di espansione culminò agli inizi del XX secolo, quando l’Inghilterra aveva stabilito un impero coloniale che comprendeva più di un quarto del mondo e comportò lo sviluppo di moltissime versioni locali e dialetti della lingua.

Un ruolo chiave nella popolarità della lingua inglese è stato infatti giocato dall’inglese statunitense, il cosiddetto ‘American English‘, delle colonie del Nord America sviluppatasi dal XVIII secolo. Oggi ben più popolare dell’originale, grazie ad Hollywood, agli show televisivi e agli spot pubblicitari. 

Brexit: ci saranno conseguenze linguistiche?

 

Dopo l’uscita del Regno Unito dall’Europa, però, ci si è chiesto se un’altra Brexit investirà anche lo stesso uso della lingua inglese, sia in Europa che nel resto del mondo.

Sull’argomento abbiamo sentito il parere della Professoressa Capitani, secondo la quale il binomio Brexit-Lingua inglese non avrà grandi ripercussioni su scala globale.

In Europa, infatti, ci sono varie lingue ufficiali utilizzate in campo lavorativo, come l’inglese, il francese e il tedesco e dopo la rottura con il Regno Unito c’è stato effettivamente un dibattito sulla possibilità di scegliere un’altra lingua ufficiale. Alla fine però, si è deciso di mantenere la lingua inglese, l’Euro English, perché all’interno dell’Unione ci sono ancora Paesi di madrelingua inglese, come l’Irlanda e Malta. Inoltre, l’inglese resta la lingua più utilizzata in ambito economico e lavorativo.

Potrebbe accadere però che l’Europa si allontani sempre di più dal britannico ‘puro’, preferendo la grammatica statunitense. Come infatti fa notare la professoressa: ”Il Queen’s English si sta indebolendo e oggi molti degli studenti che si presentano agli esami hanno l’accento americano. Tra i tanti complici ricordiamo le serie TV e la musica”.

Per quanto riguarda invece i confini extra-europei, al mondo ci sono ancora troppi Paesi anglofoni in cui l’inglese ha acquisito nei decenni un ruolo di lingua ‘passepartout’, ruolo che non sarà certo minacciato dalla Brexit.

Secondo la Capitani, il vero problema sono le conseguenze che la Brexit avrà sugli stessi inglesi: ”Magari noi italiani non eccelliamo nell’oralità delle lingue straniere, ma comunque siamo più aperti in termini linguistici”. Il problema che solleva la docente è infatti una spiccata tendenza monoglotta degli inglesi, che rischia di aggravarsi dopo la Brexit con ripercussioni sulla conoscenza delle altre lingue.

In futuro, gli inglesi potrebbero quindi chiudersi ancora di più a livello linguistico.

Quali lingue studiare per il futuro?

 

 

Sebbene l’inglese mantenga la sua posizione di predominio, scalfito solo dall’American English, non si può però non considerare come altre lingue – una volta lontane e sconosciute – adesso inizino ad avere un peso sempre più rilevante nel mercato mondiale.

Tra le lingue del futuro c’è ad esempio il russo: la Russia continua infatti a mantenere il suo posto nella top ten delle grandi potenze, preservando l’importanza del suo idioma, nonostante le origini slave e l’uso dell’alfabeto cirillico imposto dalla lingua.

Anche il Latino America continua la sua avanzata nel mercato mondiale, ponendo lo sguardo sull’importanza della lingua spagnola nel mondo, che infatti è la seconda lingua più parlata dopo l’inglese.  

Secondo una ricerca del MSCI Emerging Markets  oltre alla Cina, la Corea del Sud potrebbe essere l’economia più innovativa al mondo. Anche  l’India però sta subendo una crescita notevole e con essa la diffusione della lingua Hindi. Mentre nel Sud America,  il Brasile sarà tra i primi mercati emergenti dei prossimi anni e con esso anche la richiesta di competenze linguistiche in portoghese-brasiliano.

Infine, tra le lingue del futuro non possono mancare il tedesco e il francese. La prima come lingua portante dell’economia in Europa; la seconda, come idioma dominante in alcuni settori economici specifici come il Retail e il Luxury.

In futuro si potrebbero creare delle ibridazioni come lo Spanglish e aumentare l’uso di prestiti all’interno della lingua italiana come anglicismi e francesismi, molti dei quali sono diventati ormai parte integrante della vita quotidiana. Al giorno d’oggi nessuno dice più fine settimana ma weekend. Questo è simbolo di apertura linguistica di un Paese. Infatti anche una persona di cultura medio-bassa usa nel suo parlato termini stranieri”.

Ciò nonostante, la docente fa anche notare come l’Italia si trovi oggi impreparata all’emergere di nuovi e sconosciuti idiomi, come quelli orientali: ” A livello universitario non sono molti gli Atenei italiani che hanno una tradizione didattica in questo senso. Il cinese, ad esempio, è una lingua molto distante dalla nostra e meno praticabile nella quotidianità come ad esempio in campo musicale e cinematografico”.

La speranza è dunque che il nostro paese si adegui ai cambiamenti dei nuovi equilibri politici ed economici che stanno riscrivendo anche la carta delle lingue mondiali. Non più solo l’inglese, dunque, ma una moltitudine di possibilità tutte da scoprire.

 

di Simona Gallo e Arianna Galeotti

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