UniPr OnAir- Chiara Saraceno: “Il problema non sono le quote rosa, ma quelle blu”

Nell'ultima puntata dla docente Pellegrino dialoga con la sociologa e filosofa Chiara Saraceno sui temi del Goal 5: l'autodeterminazione femminile e la parità di genere

Se metà della popolazione globale è discriminata, esclusa e sfruttata, le Nazioni Unite fanno della loro emancipazione e della parità di genere una priorità. Bambine, ragazze e donne, in tutto il mondo, nonostante i progressi degli ultimi dieci anni, continuano essere discriminate.

Il Covid-19 ha peggiorato la situazione: il reddito femminile è sceso più di quello maschile e le donne hanno più difficoltà nel trovare un lavoro e mantenerlo. Come madri, inoltre, hanno visto ridursi l’assistenza sanitaria per la gravidanza, il parto le cure per la prima infanzia, nonostante siano ormai il 70% del personale sanitario. 

Inoltre, restare a casa durante il lockdown ha significato per molte l’esplosione delle difficoltà familiari, che sono diventate vera e propria violenza. Nell’ultimo anno, infatti, una donna su cinque ha subito una violenza del proprio compagno.

In quest’ultima puntata di UniPr OnAir, si parla di come il goal 5 dell’Agenda 2030 debba fermare il già tragico bilancio del 2021, con 99mila nuove disoccupate su un totale di 101mila ed un femminicidio ogni cinque giorni.

Vincenza Pellegrino, docente di Politiche sociali e Sociologia della globalizzazione, dialoga con Chiara Saraceno, sociologa e filosofa, proprio su come intervenire per non escludere più questa metà femminile. 

Chiara Saraceno è specializzata negli studi sulla famiglia, sulla questione femminile, sulla povertà e le politiche sociali. É stata anche docente universitaria presso l’Università di Torino e direttrice del dipartimento di scienze sociali, del centro interdipartimentale di studi e ricerche delle donne e membro della commissione italiana di indagine sulla povertà e l’emarginazione. È anche professore di ricerca al Wissenschaftszentrum für Sozialforschung di Berlino. Nel 2005 è stata nominata Grand’ufficiale della Repubblica italiana dal Presidente Ciampi.

Saraceno ha vissuto sulla sua pelle cosa vuol dire l’autodeterminazione delle donne, e la professoressa Pellegrino le chiede proprio di raccontare il percorso storico ai giovani che non l’hanno vissuto e che lo leggono solamente nei libri o lo imparano a scuola. Tenere vivo l’interesse per la parità di genere è importante per tutti, per questo il goal 5 riguarda non solo l’Italia ma tutti i Paesi, tra cui qualcuno che ha ancora problemi ad autodeterminarsi.

La sociologa Saraceno ricorda che se per noi l’autodeterminazione della donna ha riguardato certi elementi, per altri paesi riguarda cose che non appartengono alla nostra quotidianità né alla nostra lotta, come il matrimonio infantile o l’accesso all’istruzione primaria. Lei stessa da bambina è cresciuta senza poter accedere ad alcune professioni perché vietate alle donne, e spesso le bambine e le ragazze non proseguivano con gli studi proprio perché si pensava che per loro non fosse necessario lavorare, che potesse bastare sposarsi e fare una famiglia. Ma, come afferma, “L’accesso alle istruzioni è un dritto fondamentale, significa avere gli strumenti conoscitivi per poter esercitare pienamente i propri diritti da cittadina e poter creare un dialogo, fare delle richieste.” Questo è importante non solo all’interno del mondo lavorativo, dove è importante avere le competenze per poterne farne parte e poterci restare nonostante un’eventuale desiderio di fare una famiglia, ma anche in quello privato, di coppia. Infatti, Chiara Saraceno sottolinea come le disparità di formazione tra marito e moglie possano essere motivo di squilibrio nella coppia.

Ma l’autodeterminazione di una donna è anche il controllo sul proprio corpo e la propria sessualità, infatti ci sono paesi in cui la mortalità femminile è più alta, nonostante questo non abbia biologicamente senso, perché le bambine e le ragazze sono introdotte alla sessualità e alla gravidanza in età troppo precoce, impedendo così lo sviluppo fisico e psicologico. Ma anche in Italia fino a poco tempo fa il diritto alla sessualità e all’autodeterminazione del proprio corpo era negato alle donne – si pensi solo alla legge sulla contraccezione o, vittoria fondamentale, quella sull’aborto. Quest’ultimo è particolarmente importante perché si è riconosciuto che in un fatto che riguarda sia l’uomo sia la donna, ovvero una gravidanza, è la donna ad avere più peso, più importanza, e che quindi non avesse bisogno del permesso di un uomo per decidere cosa fare del proprio corpo. D’altro canto, ricorda sempre Saraceno, anche la sessualità non è un aspetto marginale nell’autodeterminazione femminile, basti pensare al difficile riconoscimento della possibilità di violenza sessuale all’interno del matrimonio. 

Tutte queste conquiste sono arrivate in un momento in cui le donne avevano scarsa o nulla autorità pubblica, non potevano neanche accedere alla Corte di Cassazione come membri, in quanto erano ritenute emotivamente instabili. L’assenza delle donne nella rappresentanza ha causato l’impossibilità di autodeterminarsi, perché ciò che riguardava i diritti di tutti veniva deciso da pochi. “Se nella rappresentanza ci sta soltanto un sesso questo pone dei problemi, dei meccanismi non democratici, per un controllo monopolistico delle persone che contano,” afferma la sociologa.

La professoressa Pellegrino concorda, ricordando come ci sia il bisogno universale di linguaggi per immaginarsi, e la creazione di questi parte proprio dalle autodeterminazioni citate da Saraceno. Lavorando nell’università, la professoressa invita ad una riflessione sulla  particolarità della situazione femminile in ambito universitario. Ad oggi, infatti, c’è più differenziazione nei percorsi disciplinari di una volta, soprattutto in corsi come legge o medicina, ma il problema è ancora visibile nelle discipline tecnologiche e scientifiche, dove in Italia sono presenti pochissime studentesse. Questo però è un problema culturale, di famiglia e di insegnanti, che accettano e non spronano l’interesse e l’inclusione delle bambine e delle ragazze. “Se una bambina dice che non le piace la matematica si dice vabbè, ti piace leggere, ma se lo dice un bambino si dice caspita guarda che è importante e ti serve,” ribadisce la sociologa, sottolineando come questa differenziazione sia conseguenza di livelli di socializzazione che andrebbero modificati. Ma anche dentro le facoltà bisognerebbe che i professori stessi fossero turbati dal non avere abbastanza studentesse, ma spesso a questo all boys club non si vuole mettere fine. Eppure, dato che il mondo accademico e lavorativo si base sulle opportunità presenti, serve un atteggiamento proattivo dei professori dei ricercatori, come accade in Germania, dove se c’è una disparità tra i generi degli ammessi e quelli dei candidati si richiedono delle precise motivazioni. “Le donne le abbiamo dovuto trovare, abbiamo dovuto guardarle, cercarle, e per farlo abbiamo dovuto renderle visibili. Io dico sempre che il problema non sono le quote rosa ma quelle blu, il dare per scontato che si peschi solo in una certa aerea”, dice Chiara Saraceno, evidenziando il grave problema che sussiste nell’accedere alle strutture e ai posti di lavoro e di ricerca, di essere visibili a parità di prestazioni. In molte carriere, universitarie e non, i tempi familiari giocano un ruolo importante, perché alla fine è la donna che rimane incinta e rimane più tempo a casa, sottraendo settimane e mesi all’impegno lavorativo. Tutto questo incide sulla carriera della donna, non dell’uomo, e bisognerebbe tenere conto anche di questo quando si esaminano delle candidature.

Pellegrino la ringrazia per aver reso visibili queste pieghe dei processi culturali che sono spesso nascoste, e appaiono quasi impossibili da cambiare. Ma, come si è visto, spesso lo fanno. Durante la pandemia, ad esempio, la casa per molte donne non è rimasta simbolo di intimità e sicurezza, anzi, e oggi si continua ad assistere a fenomeni che invertono il cambiamento sociale e politico, come l’uscita della Turchia dalla Convezione di Istanbul o la legge contro l’aborto della Polonia.

La libertà e l’autodeterminazione delle donne rispetto al proprio corpo non è conquistato per sempre, non ancora,” ammette la sociologa, facendo notare come appena arriva al potere una persona autoritaria si corre il rischio di tornare indietro, di avere qualcuno che dice alle donne cosa fare e come comportarsi. Questa libertà e autodeterminazione va sorvegliata e mai data per scontata.

Ricorda però come la violenza si è diffusa ovunque, anche nei paesi più democratici, basta guardare alla situazione durante la pandemia. Il lockdown é stato un problema per le donne ma anche per i senzatetto e soprattutto per i bambini. Nessuno li ha più badati, né politici né il personale adeguato come gli insegnanti, hanno spesso visto e vissuto violenza e non sono riusciti a seguire la didattica distanza. “La casa, il luogo del privato possono essere luoghi di amorosità, di sostegno e protezione ma possono anche rovesciarsi”, e l’hanno dimostrato non solo i numeri in aumento di violenza domestica, ma anche quanto si dà per scontato il lavoro di cura che ricade sulla donna. Saraceno porta l’esempio degli ultimi risvolti politici e legali che non permetterebbero alle donne che lavorano da remoto di accedere al bonus babysitter, perché si pensa che il fatto che la figura femminile sia a casa si debba automaticamente sovraccaricare nello stesso momento e in modo continuo del ruolo di lavoratrice, madre, moglie e addetta ai lavori di casa. C’è stato un aumento di padri più presenti e più partecipi, ma resta comunque un 40-60% che nonostante restasse a casa non se n’è preoccupato.

La professoressa chiede quindi se ha mai trovato, data la notevole esperienza all’estero della sociologa, un paese dove ci sia più equilibrio, dove ci sia già un cambiamento in atto nella considerazione di questo lavoro di cura non retribuito. “Il lavoro remunerato femminile fa una grande differenza,” sostiene, facendo notare come nei paesi in cui c’è meno disparità nel mondo del lavoro retribuito ce n’è meno anche in quello non retribuito, fenomeno individuabile anche nella storia e in certi contesti dell’Italia. Una parte di questa riduzione è dovuta sia ad una maggiore partecipazione maschile, dove ad esempio sono previsti congedi anche per la paternità, ma anche l’accessibilità di più servizi. Essendoci più donne nel mondo del lavoro ci sono più asili nido, scuole e servizi di mercato come le lavanderie, e sono anche più accessibili perché usati da più persone.

di Teresa Tonini

 

 

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