Raccolte firme digitali: i vantaggi e i rischi

Il professor D'Aloia, docente di diritto Costituzionale all'Università di Parma, ci spiega quali possono essere vantaggi e svantaggi di questa nuova pratica

 

Più di un milione di elettori ha sottoscritto la richiesta di referendum per l’eutanasia. Per la prima volta, come sottolinea Marco Cappato a Il Sole 24 ore, un terzo di loro ha potuto farlo grazie a una procedura digitalizzata.

A renderlo possibile, l’approvazione di un emendamento al c.d. Decreto Semplificazioni, che oggi consente a tutti i cittadini di apporre la propria firma digitale a una richiesta referendaria o a un progetto di legge di iniziativa popolare.
Questa possibilità era originariamente prevista per persone con disabilità, a favore delle quali la legge finanziaria per il 2021 istituiva un fondo per la realizzazione di una piattaforma di raccolta delle firme digitali.

Uno strumento indispensabile – come sostiene Antonio D’Aloia, docente di Diritto Costituzionale presso l’Università di Parma – per favorire la partecipazione alla vita politica e sociale del Paese di soggetti con difficoltà portando così (in parte) a compimento quel progetto di società delineato dalla Carta Costituzionale: riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo e obbligo per il legislatore di rimuovere le condizioni che, tra le altre, impediscono la piena adesione di tutti i cittadini all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Proprio per l’importanza di uno strumento che ne semplifica notevolmente la raccolta e garantisce il raggiungimento della soglia di firme richieste in tempi minori e a un costo inferiore, la pratica della firma digitale è stata poi successivamente estesa a tutti i cittadini.

Con l’ampliamento del suo ‘bacino d’utenza’, “la firma digitale – sostiene il professore –  è diventata uno strumento ordinario di partecipazione popolare a questi momenti di aggregazione politica”.

Tuttavia, come per tutte le idee semplici che, come direbbe Lev Tolstoj, hanno enormi conseguenze, anche per cogliere la portata di questa innovazione occorre sollevare il velo sottile della sua semplicità e chiedersi cosa si celi sotto.

Infatti, la disposizione contenuta nella legge di conversione del Decreto Semplificazioni non può che modificare anche il rapporto tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa, portando il cittadino a riflettere su tre principali questioni: le informazioni fuorvianti nelle quali molto spesso l’utente incorre navigando in rete; il divario digitale che impedisce a una larga fascia della popolazione di accedere a Internet e, infine, la crisi della rappresentanza, con la quale viene a mancare un organismo che rappresenti la collettività.

Online sì, ma non meno informati

Questa norma, secondo il professor D’Aloia “sicuramente renderà più facile la raccolta delle firme per attivare questi strumenti di partecipazione popolare” e “toglierà ai loro promotori qualsiasi incognita sul rischio di non riuscire a raccogliere le firme entro i termini previsti dalla legge”. Probabilmente da ciò deriverà un utilizzo più intenso dell’istituto referendario e di iniziativa legislativa popolare.

Dunque “il primo rischio – osserva D’Aloia – è quello che rendere tecnicamente troppo facile lo strumento potrebbe indebolire quella dimensione informativa, di conoscenza e di riflessione sul problema sul quale si è chiamati a firmare e che rappresenta l’oggetto della nostra scelta”.

Prima di questa riforma, infatti, la raccolta delle firme presupponeva il coinvolgimento delle autorità cittadine, che dovevano fornire al pubblico informazioni sull’oggetto del referendum, su quando e come depositare la propria firma. Il cittadino stesso era chiamato a informarsi ricercando letture più o meno impegnative, che lo accompagnassero in un progressivo percorso conoscitivo.

Tutto questo viene oggi a mancare, sostituito da rimedi informativi troppo semplicistici che “rischiano di essere un surrogato di informazione vera”, secondo il professore. É fondamentale, come ricorda D’Aloia, che le finalità e l’intento dei promotori siano presentati in modo corretto e trasparente.

Il digital divide non vale solo per la scuola

In Italia 4,3 milioni di persone non hanno una connessione di rete. Questo il risultato di un rapporto del Censis riportato da Il Sole 24 ore. É possibile che i promotori del referendum, disponendo di uno strumento che permette di raccogliere 500.000 firme rapidamente e senza la necessità di autenticarle, privilegino la forma digitale senza affiancarla alla partecipazione fisica.

Se ciò avvenisse, “paradossalmente l’idea di incremento della partecipazione, che sembra comunicare una riforma di questo tipo, potrebbe risolversi in una restrizione della partecipazione”.

É chiara l’opinione del professor D’Aloia, che ammette quanto sia forte il divario digitale, sia sul piano generazionale sia su quello territoriale. Ne consegue che, se i promotori del referendum privilegiassero esclusivamente la firma in forma digitale, le procedure referendarie potrebbero essere accessibili solo a minoranze, anche territorialmente concentrate.

La crisi della rappresentanza

Un ulteriore rischio della firma digitale, come avverte il Prof. D’Aloia, è che essa sia apposta non da un gruppo di cittadini, ma da una massa di individui isolati. 

Come scrisse Aristotele, l’uomo è un essere sociale e chi vive al di fuori della società o è una bestia o è una divinità. L’individuo realizza la sua più intima natura nella società, della quale è parte e nella quale sviluppa ed esercita la ragione, che lo guida nella gestione della res publica.

Giustamente Aristotele sosteneva che lo Stato fosse formato da cittadini, che concorrono alla formazione delle leggi.

“Per la democrazia – riflette Antonio D’Aloia – l’individuo solo non è mai un elemento positivo“, ma ha bisogno di un dialogo e di un confronto con gli altri, che solo una socialità autentica e reale può garantire. L’individuo ha bisogno di essere parte di organismi collettivi.

“Tra i rischi che vedo è che uno strumento di questo tipo possa ulteriormente favorire il processo di disgregazione della rappresentanza“. Un processo, come ricorda il Professore, in cui si perde il rapporto mediato tra lo Stato e i cittadini attraverso quegli organismi rappresentativi chiamati a operare una sintesi degli interessi particolari, dei quali i singoli sono portatori.

Gli strumenti tecnologici – conclude – non sono solo strumenti che ci consentono di fare meglio e più velocemente quello che già facevamo, sono forme che cambiano il nostro modo di interagire, di rapportarci agli altri e alla democrazia“.

É necessario inserire questa innovazione all’interno di una riforma organica che migliori il funzionamento complessivo della democrazia parlamentare in un momento in cui, tra l’altro, la fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni rappresentative sta venendo sempre meno.

 

di Simona Coduti 

 

 

 

 

 

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