Essere donna: tra gender gap e violenza economica

Con particolare attenzione al tema contemporaneo degli abusi invisibili sulle donne, l'Università di Parma riflette sulla violenza economica, mostrando una realtà socioculturale preoccupante

Donne e violenza economica: prevenirla e combatterla con l’educazione finanziaria”, la conferenza del 25 ottobre, tenutasi in Aula Magna dell’Università di Parma, ha suscitato interesse tra studenti e studentesse, grazie agli interventi degli ospiti e alle testimonianze di chi lavora e collabora con il progetto CUG (Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità).

“Le disuguaglianze si generano nei rapporti personali, creano disparità nelle persone predisposte per motivi psicologici non indifferenti”, così il Rettore dell’Università di Parma, Paolo Andrei, getta le basi per uno scambio di idee tra addetti ai lavori, su un argomento tanto attuale quanto polveroso qual è il “Gender Gap”, il divario tra generi caratterizzato dalla sperequazione sociale e professionale esistente tra uomini e donne.

Sottostima e mancata presa di coscienza

Annamaria Ferrarigiornalista della Gazzetta di Parma e moderatrice dell’incontro si ‘limita’ a ricordare Virginia Woolf, tra le principali figure letterarie del XX secolo, attivamente impegnata nella lotta per la parità di diritti tra i sessi: “Le parole costruiscono la realtà” sottolinea la giornalista, invitando ad affrontare il problema che crea sconforto, insediato nelle menti della società e parte integrante della cultura italiana.

La poca consapevolezza che la donna ha di subire violenza economica è all’origine della questione. Ad alimentare la vicenda un’ignoranza generale in ambito finanziario e un ideale strascico del pensiero su cui la società – in particolare quella italiana – è da secoli fondata.

Lo status di presunta superiorità del genere maschile ha creato delle ripercussioni psicologiche nella donna, che ha ormai ‘accettato’ l’idea sociale di dover dipendere finanziariamente dall’uomo.

“È risultato che sono proprio le donne che tendono a sottostimare maggiormente le proprie conoscenze rispetto agli uomini. Un terzo di esse ritiene infatti di possedere un livello di conoscenza più basso della media, nonostante il punteggio risulti superiore a quello degli uomini” evidenzia Fausto Pagnotta, professore dell’Università di Parma, mettendo in risalto i dati di un’indagine che conferma quanto un insieme di illegittimi stereotipi siano la causa madre di violenza economica e dunque di una mancata indipendenza finanziaria per la donna.

A fotografare le suddette condizioni di maltrattamento e oppressione, alcuni interessanti interventi di Samuela Frigieri, psicologa sociale e presidentessa del centro antiviolenza di Parma. Oltre a portare diverse testimonianze – ovviamente mantenendo incognito e riservatezza -, ha ricordato che non esiste un’unica tipologia di violenza; la violenza psicologica rientra nel 69% dei casi, quella fisica nel 68%, economica 37%: soprusi che causano perdita di autostima e consapevolezza nelle proprie capacità.

Conclude il suo intervento, puntando il dito contro la legislazione italiana: ”Le donne non possono fare l’ISEE da sole, con i loro figli, la legge non lo consente”.

L’istruzione alla base dello sviluppo economico

“Per prevenire e contrastare la violenza economica è necessario avere una buona educazione finanziaria”. Guido Tagliavini, professore universitario, apre e conduce, in qualità di moderatore, la seconda sessione del convegno. Ma cosa si intende precisamente per “violenza economica sulle donne” nell’accezione finanziaria?

Una definizione tecnica di ‘violenza economica’ ci viene proposta da una delle due organizzatrici del seminario, Maria-Gaia Soana, docente universitaria di Economia degli Intermediari Finanziari: ”Alla donna può essere vietata la gestione del denaro, o di fare la spesa; la donna può essere denigrata perché fa un lavoro non remunerativo come quello dell’uomo; alla donna può essere inibita l’educazione dei figli perché non viene riconosciuta come produttrice di reddito; a volte le donne vengono costrette a firmare documenti che non capiscono bene”.

Con questi esempi, la Soana analizza gli aspetti pratici della questione, riprendendo e sottolineando le modalità di educazione finanziaria che impariamo sin da bambini e che già vedono profonde differenze: “Uno studio del 2007-2008 ha dimostrato drammaticamente che i bambini maschi ricevono una paghetta più alta delle femmine”.

Per misurare l’alfabetizzazione finanziaria – delle donne in questo caso – è necessario analizzare tre aspetti fondamentali: le conoscenze per prendere adeguate decisioni finanziarie, i comportamenti per gestire le risorse economiche e l’attitudine a pensare al futuro.

Doriana Cucinelli, docente del dipartimento di Economia, riporta alcuni dati che mostrano una netta differenza infragruppo nel genere: “Le donne molto giovani e le donne con un livello d’istruzione generale molto basso hanno minori competenze finanziarie; d’altra parte, donne non sposate o conviventi, ma soprattutto divorziate mostrano un livello di conoscenza più alto”.

Un’ulteriore analisi: “Geograficamente notiamo che nel nord-ovest e nelle isole le competenze finanziari scarseggiano, ma per contro il livello di attitudine e atteggiamento è superiore alle altre zone italiane”

Non è mai troppo tardi

L’ultima ora del convegno è stata dedicata alle possibili proposte per la risoluzione del problema: “Le donne contano. Il progetto di educazione finanziaria pensato per le donne.”

Marilisa Guida, Head of Division presso la funzione di educazione finanziaria della Banca d’Italia, insieme a Cristiana Rampazzi, Advisor in Banca d’Italia, sottolineano quanto la pandemia sia stata utile per prendere coscienza di tali difficoltà: La vera sfida, ora, è portare la donna a educarsi in ambito finanziario”.

In ultimo, Manuela Prandini, presidentessa dell’associazione non-profit di educazione finanziaria per una migrazione positiva “Penso a te APS”. Un vero e proprio supporto per le donne vittime di violenza economica: ”Non si impara unicamente soli, ma sostenendosi e confrontandosi, l’una con l’altra”.

di Francesco De Carlo 

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