Cancel Culture: cos’è e perchè in molti la temono

Dopo gli eventi di Astroworld e la "cancellazione" di Travis Scott, si torna a parlare del fenomeno tra chi lo considera una vittoria dei nostri tempi e chi una condanna della libertà di pensiero

I social media oggi sono la piazza più importante in cui poter manifestare, senza vincolo di tempo o spazio. Da un lato hanno portato immensa visibilità e impatto mediatico alle lotte sociali dei più deboli: si pensi al #MeToo, Black Lives Matter o Stop Asian Hate; dall’altro però, hanno causato l’era del terrore tra i personaggi pubblici, pronti a venire “cancellati” da un momento all’altro.

Nel fitto mondo di Internet, ripescare i vecchi “scheletri nell’armadio” per gli utenti è un gioco da ragazzi. Oggi si sente parlare di cancel culture ovunque, per alcuni è segno di una nuova giustizia sociale, per altri è pura censura della libertà di parola e pensiero. Se tutto va bene, commetti un errore, perdi molti follower o qualche mese di lavoro, sei costretto a fare delle scuse pubbliche e poi tutto torna relativamente come prima (anche se la tua “fedina” rimarrà  inevitabilmente sporca), ma quando la cancel culture funziona veramente, una persona viene letteralmente cancellata, ergo, smette di essere rilevante nel panorama pubblico e viene esclusa da qualsiasi cerchia sociale o professionale.

 

Su Internet è per sempre

Ciò che rende Internet così pericoloso nel dibattito sulla cancel culture è che un post, un tweet o un video, una volta pubblicato su Internet, è permanente. Qualsiasi sia il contenuto, equivale nella nostra società a una dichiarazione scritta, di cui il proprietario deve assumere la responsabilità a lungo termine.

A luglio del 2018, James Gunn, regista di Guardiani della Galassia, divenne il bersaglio di Mike Cernovich, che riesumò decine di tweet risalenti a più di dieci anni prima con commenti satirici di poco gusto (su pedofilia, 11 settembre e olocausto fra i tanti). Con i suoi allora 400,000 follower, bastarono poche ore prima che scoppiasse l’indignazione e il regista venisse licenziato dalla Disney. Lo stesso provvedimento, nel 2021, è stato preso con Gina Carano (attrice dello spin off di Star Wars The Mandalorian), dopo dei tweet in cui paragonava la condizione dei sostenitori di Trump in America alla persecuzione degli ebrei in Germania durante il nazismo.

Un’altra personalità che su Twitter ha visto la sua “discesa” mediatica è sicuramente la scrittrice JK Rowling, che imperterrita fra un over party e l’altro sostiene posizioni controverse  sui diritti delle persone trans. Per quanto gli utenti woke l’abbiano cancellata già da tempo, continua a lavorare con una casa di produzione importante come la Warner Bros per la serie di Animali Fantastici, su cui qualcuno ha lanciato probabilmente una maledizione, fra la Rowling, Ezra Miller (cancellato dopo aver messo le mani al collo di una fan) Kevin Guthrie (attualmente in carcere per stupro) e Johnny Depp, licenziato e prontamente sostituito dopo la sentenza giudiziaria nel caso contro il The Sun e l’ex moglie Amber Heard.

La cancel culture sembra tuttavia essere “generosa” con il passare del tempo: per molti dopo pochi mesi tutto torna prima, nel mondo del cinema come in quello di Youtube, dove youtuber come Logan Paul o Shane Dawson sono stati cancellati per i contenuti dei loro video, ma continuano ad avere più di 20 milioni di iscritti. È pur vero che spesso si sono fatti over party partendo dal nulla o quasi, da frasi fuori contesto, ripescaggi di testi di vecchie canzoni scritte, o discussioni su film o cartoni di decenni fa, quando il mondo, i diritti, la sensibilità pubblica erano completamente diverse; e queste occasioni non hanno fatto altro che alimentare il sostegno a coloro che la cancel culture la condannano fermamente.

 

 

Alcuni dei tweet scritti da James Gunn

 

 

Chi vuole cancellare la cancel culture

Si definiscono gli ultimi refrattari dell’oscurantismo del ventunesimo secolo, gli oppositori della cancel culture; un fenomeno per molti “passeggero”, dato che è esploso solo negli ultimi anni e se ne parla in tutti i contesti costantemente. È di qualche giorno fa la notizia che ad Austin, negli Stati Uniti, alcuni “dissidenti” abbiano fondato un’università libera, contro la censura delle opinioni per “la ricerca intrepida della verità”.

Il 7 Luglio 2020, Harper’s Magazine ha pubblicato una lettera aperta firmata da 150 scrittori, accademici, artisti (tra i tanti: Noam Chomsky, JK Rowling, Margaret Atwood), dal titolo A letter on Justice and Open Debate in cui si condannano l’intolleranza per le opinioni diverse, l’abitudine alla gogna pubblica e l’ostracismo e ‘le richieste di tempestive punizioni in risposta a quelli che vengono percepiti come sbagli di parola e pensiero’; promuovendo la discussione o la critica, piuttosto che la messa a tacere. Ma in tanti hanno criticato la lettera, notando che queste accuse di “restringimento di pensiero” provengono perlopiù da “maschi bianchi etero”, ergo, la combinazione più privilegiata nella nostra società da sempre, e le conclusioni che possono trarsi è che esistano opinioni che si sono sempre sostenute senza obiezioni, fino ad oggi. 

I casi in Italia

Uno degli esempi dell’ondata di medici tiktoker in Italia

Nel nostro paese sono pochi i casi di cancel culture, ancora meno quelli “rilevanti”, poiché per certe tematiche la discussione in Italia è ancora acerba e limitata. Tutt’ora è possibile dire o scrivere cose che in altre nazioni sarebbero causa di licenziamento, senza grandi gogne mediatiche; talvolta la critica sui social a certi soggetti causa loro solamente maggiore visibilità, vedasi Marco Crepaldi, lo youtuber “oppresso” dalle femministe.  L’ultima vittima è stata una persona comune,  in particolare un infermiere, che dopo aver pubblicato un video ironizzando su dei pazienti sottoposti al clistere, è stato licenziato, a seguito delle numerose segnalazioni degli utenti social all’ente sanitario. Il fenomeno dei medici su TikTok è nato negli Stati Uniti all’inizio della pandemia ed è arrivato ben presto anche in Italia, degenerando però in medici che affrontano temi delicati con balletti e mettendo alla gogna i propri pazienti. Dietiste che scherzano sulle pazienti malate di anoressia, ginecologhe che si fanno beffa della scarsa educazione sessuale delle giovani follower, infermieri in RSA che prendono in giro gli anziani, e ormai su Internet a gran voce si chiede di aggiungere al giuramento di Ippocrate il divieto di avere un profilo TikTok. Molti sono accorsi in difesa dell’infermiere, che ha perso il lavoro “per una sciocchezza”, ma non è che un monito per tutti coloro che si prendono che sfruttano i loro pazienti per far “ridere” rendendoli degli zimbelli, oltre andare contro lo stesso codice deontologico.

 

Travis Scott

L’ultimo tragico evento internazionale, per cui a gran voce ci sono innalzate due fazioni, riguarda il rapper Travis Scott, e la gestione disastrosa del suo ultimo festival Astroworld a Houston, con nove morti e centinaia di feriti. Ci sono, da una parte, coloro che affermano che se la cancel culture funzionasse sul serio ad oggi Scott sarebbe già stato denunciato per la sua negligenza, dall’altra persone che lo difendono e condannano chi ha preso immediatamente le distanze dalla sua figura. A chi ha provato a difendere l’artista escludendo che potesse interrompere lo show, subito alcuni utenti hanno risposto con centinaia di video di altri artisti a riprova di ciò che poteva essere fatto, riportando anche alla luce episodi precedenti in cui avrebbe fermato concerti per molto meno, come il furto di una scarpa firmata, per non parlare dell’aver incitato la folla spesso alla violenza. Tempestivo il suo messaggio di dispiacere in alcune storie Instagram e la promessa di sostenere i familiari delle vittime, ma è sufficiente? Anche i meno “estremisti” reputano la circostanza troppo oltraggiosa.

La discussione, la crescita e il perdono dovranno rimanere sempre leciti; siamo esseri umani, e in quanto tali, commettiamo molti, moltissimi errori, per non parlare di quanto poco sia corretto rispondere ad opinioni diversi semplicemente con un “è così e basta”, bisogna saper argomentare, sia per ribattere che per riflettere. Oggi abbiamo tutti gli strumenti per conoscere il passato e il presente, viviamo in un mondo che difende più diritti di ieri, ma non meno problematico, per cui una maggiore premura prima di dire qualcosa che possa ferire qualcuno e una maggior presa di coscienza e responsabilità sono, presi nella giusta dose, solo segnali di un modo più civile .

di Giulia Padova

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