“Preferisco dire la verità a chi potere non ne ha”: il coraggio dell’attivismo per i diritti umani

In occasione della rassegna Pensare alla vita dell’associazione di Parma, La Ginestra, Emanuele Russo e Thomas Casadei si confrontano in un dialogo onesto e puntuale per portare alla luce questioni taciute e mistificate

 

Quest’anno l’associazione filosofica La Ginestra di Parma, per la rassegna Pensare alla Vita, giunta alla sua undicesima edizione, ha scelto di declinare, con il contributo di vari esperti – e il patrocinio del Dipartimento delle Discipline umanistiche sociali e delle imprese culturali -, il tema eroismo e coraggio.

In occasione del quarto incontro, sono intervenuti Emanuele Russo, dottore di ricerca in Relazioni internazionali e Studi politici presso l’Università di Torino, nonché presidente di Amnesty International Italia, e Thomas Casadei, docente dell’Università di Modena e Reggio Emilia, che ha moderato l’incontro. Russo era presente anche in qualità di coordinatore di una campagna globale per l’educazione ai diritti umani.

Il rapporto sotto esame, oggetto dello specifico confronto, è stato quello tra il coraggio e l’attivismo politico, vagliato rispetto a due differenti opzioni: l’indifferenza, o “attenzione a corrente alternata rispetto alle grandi questioni dei diritti umani”; e il professionismo di chi se ne occupa, unendo professione e missione di vita, tenendo presente che l’attivismo politico può essere inteso come forma di coraggio.

Emanuele Russo

La natura rivoluzionaria della Dichiarazione universale dei Diritti Umani: rivendicazione e attivismo politico  

Quando si parla di attivismo politico, non si intende quello partitico ma quello civico, un impegno per il miglioramento della società e la promozione dei diritti umani. “Si tratta di una spinta ben diversa rispetto a quella di decidere semplicemente come impiegare il proprio tempo libero” spiega Russo.

È fondamentale, quando si parla di diritti umani, chiarire che il punto di partenza è il 1948, cioè l’anno che sancisce l’approvazione della Dichiarazione universale dei Diritti umani.

La Dichiarazione universale non è uno strumento giuridico vincolante per gli Stati ma la natura rivoluzionaria della Dichiarazione sta proprio nella “reale volontà degli Stati” aderenti di vincolarvisi e nel passaggio significativo da dichiarazione a patto: con il patto lo Stato si vincola a rispettare i diritti umani, attraverso la convalida. Tuttavia, non stupisce che solo con il 1976, dopo una serie di ratifiche, i patti entrano in vigore. Trentotto anni perché la volontà universale si sostanzi in realtà. Infatti, non va dimenticato che i diritti umani stabiliscono una relazione diretta tra autorità costituita, cioè lo Stato, e l’individuo.

Il punto più alto dell’effettiva giudicabilità sui diritti umani si raggiunge con la Corte Penale Internazionale che nasce solo nel 1998 con il Trattato di Roma. Quando Bobbio dice che “il problema dei diritti umani è un problema politico”, intende dire che occuparsi di diritti umani significa fare un percorso che non ha mai fine. La stessa Dichiarazione afferma che i trenta articoli in essa contenuti sono “un ideale comune da raggiungere”. Questo implica che il livello si sposta sulla perfezione delle relazioni tra individui e autorità costituita, che ovviamente è sempre in divenire e, purtroppo, non è sempre in meglio.

In realtà, è davanti agli occhi di tutti che negli ultimi anni le battute d’arresto del progresso per una maggiore tutela dei diritti umani sono state numerose ma è in questa circostanza che l’attivista per i diritti umani trova la sua ragion d’essere. Amnesty International nasce proprio per proporre un metodo, una proposta di attivazione e di rivendicazione organizzata dal momento che l’individuo da solo non è in grado di frapporsi tra l’autorità costituita e la vittima. L’individuo riesce ad avere la meglio solo se si organizza. Si ricorda che Amnesty International nasce nel 1961, quando i Patti di New York non erano ancora stati firmati, quando ai Governi non interessava l’universalità dei diritti umani che invece la società civile rivendicava.

Rispetto a un attivismo che si radica in pratiche che coinvolgono gruppi di persone, come si pone una concezione eroica del coraggio incentrata sulla figura dell’eroe e/o dell’eroina “che da solo si mette davanti a un carro armato, come l’immagine di Tienanmen, oppure di chi, come Rosa Parks, resta seduta da sola, sfidando l’autorità costituita, per rivendicare il suo diritto all’uguaglianza negli Stati Uniti della segregazione razziale”? Su questo punto Russo ritiene l’attivismo per i diritti umani una forma di “coraggio mite” soprattutto per l’Italia e per i diversi stati dell’Europa, sebbene anche in Occidente la situazione stia progressivamente peggiorando: basti pensare, solo per citare alcuni casi, all’Ungheria di Orbàn o alla Polonia autoritaria e autocratica degli ultimi anni ma anche allo Stato italiano “ e all’incapacità del nostro governo che, inefficiente nella tutela di persone che svolgono il proprio lavoro, denunciando la criminalità, corre ai ripari mettendoli sotto scorta e sancendo così il suo fallimento nel far valere la propria autorità sul territorio che amministra”.

Il giornalismo libero garante dei diritti umani

Si aggiunge poi un altro tassello, cioè quello dell’indipendenza e dell’autonomia del giornalismo ufficiale. Russo sottolinea che i professionisti che si occupano di giornalismo, “nel momento in cui decidono di portare avanti un discorso serio e approfondito, diventano eroi”. L’asservimento al potere politico ed economico è reale ed è visto come “una forma di ignavia e clientelismo ma occorre anche denunciare l’assenza di un mercato che apra a visoni più ampie e approfondite”. La soluzione a quest’impasse è già in Camus, suggerisce Russo, “il tipo di lavoro che bisogna cercare di portare avanti è pur nella consapevolezza di quanto possa anche essere infinitesima la nostra capacità di successo”.

Casadei ricorda due giornalisti che attraverso le loro inchieste sono ed erano “a supporto anche dei diritti umani e del coraggio”: il giornalista Nello Scavo, sotto scorta per aver documentato una serie di processi in corso che riguardano le persone migranti e i rapporti che il nostro Paese intrattiene con alcuni Stati, coma Libia, Tunisia, Egitto; e Ilaria Alpi, giornalista d’inchiesta senza scorta, tragicamente uccisa in Somalia mentre stava utilizzando gli strumenti dell’informazione per indagare su alcuni fenomeni di natura criminale “in zone dove già fare questo era andare contro un’autorità costituita e basata sull’illegalità”.

Russo ribadisce che per l’informazione sono momenti difficili: “C’è un crescente pericolo sistematico e sistemico per coloro che cercano di svolgere un’attività di ricerca, che è necessariamente un’attività che richiede tempi lunghi, che si scontrano con gli attuali tempi rapidi della velocità d’informazione”.

La mancanza di approfondimento inevitabilmente si ripercuote sulla società civile e sulla tutela dei diritti umani “perché impedisce di comprendere la complessità della realtà e dei rapporti sociali, spingendo, perciò, per soluzioni di tipo manicheo” in cui hanno “il vantaggio definitivo” i pensieri autocratici e le teorie antidemocratiche, che si nutrono di ignoranza, figlia della superficialità. Questo tipo di approccio è ormai generalizzato, quindi, “decidere di avere il coraggio di promuovere un approfondimento per farsi delle idee, già questo sarebbe un atto di coraggio”.

diritti umani

Nell’età dei diritti umani: dal superamento degli eroi alla distopia orwelliana

Soffermandosi sulla questione “eroi”, Russo chiarisce che l’esempio di Rosa Parks è un chiaro caso di “pre-età dei diritti umani”. Entrare “nell’età dei diritti umani” significa vivere in un mondo in cui i valori come l’uguaglianza, l’interdipendenza e la necessità di confronto e di relazioni pacifiche non sono più delle istanze individuali da parte di chi subisce una discriminazione e decide di opporvisi, trasformandosi così in eroe o in eroina, ma sono elementi della cultura generale. Pertanto, “c’è tutta la possibilità che la società civile possa fare a meno di eroi ma non perché degli eroi non ce ne sia bisogno, quanto perché una massa critica importante di individui può conoscere e apprezzare idee che prima erano minoritarie”.

Paradossalmente, oggi, non dare “risonanza” a queste idee fa inesorabilmente regredire, rendendo necessaria l’esistenza degli eroi. Negare l’accordo sui diritti umani determinerebbe “un vero ritorno a un’epoca medievale”. Autocrati come Bolsonaro, Duterte, Trump, Orbàn, Putin e Xi Jinping lo stanno già facendo: “Passano il loro tempo a dire che la democrazia e i diritti umani sono dei concetti superati”. Il problema emerge quando la maggioranza di persone inizia a crederci e pare che così stia accadendo, se pensiamo al successo della Brexit o agli esiti delle ultime elezioni europee o all’episodio di Capitol Hill. Ci troviamo in un mondo in cui le persone iniziano a credere che questo ordine di valore sia superato.

Per Russo, in merito a questo punto, vale la dimostrazione che il nostro Paese, che nonostante sia fondato su una Costituzione  scritta dopo le atroci esperienze della dittatura fascista e della Seconda guerra mondiale, non si faccia scrupoli a sottoscrivere accordi commerciali con un Paese come l’Egitto, nel quale sono palesemente e sistematicamente calpestati i valori democratici; perciò, diventa anche la negazione dei nostri principi costituzionali. All’Egitto, “a cui non potremmo vendere neanche un proiettile, nel solo 2019 abbiamo venduto un miliardo di euro di armamenti. Ma tutto questo viene vissuto come normale”.

Casadei introduce la questione relativa alla rete di intellettuali impegnata contro il disarmo, richiamando le tragiche vicende di Patrick Zaki, Giulio Regeni e Antonio Megalizzi, storie diverse che hanno in comune il bisogno di documentare, di attestare la verità dei fatti negati da governi dittatoriali. Si evidenzia, perciò, il coraggio di denunciare ciò che diviene scomodo rispetto a posizioni dominanti. Russo non solo conferma questo stato di cose, ma paragona il nostro attuale “livello di comunicazione” alla distopia orwelliana in cui è il ministero dell’amore a occuparsi della guerra. Il dialogo e la posizione formale dell’Europa sembrerebbero rispettare i diritti umani ma la “gestione strutturale”, in particolare quella economica, li viola di continuo. “Come il governo della distopia orwelliana, i nostri governi proclamano una cosa ma nell’azione si comportano in maniera diametralmente opposta”.

Essere attivisti oggi significa “imporsi e cercare di imporre alle autorità costituite” di avere un “minimo di coerenza tra parole e azioni” ma, soprattutto, “di essere seri e chiari nel momento in cui si parla ai propri cittadini”. Citando Leonard Cohen con il verso “preferisco dire la verità a chi potere non ne ha”, Russo ribadisce che questo è il momento storico nel quale il potere dei cittadini diventa sempre più frazionato e debole, proprio perché non si ha il tempo di approfondire, nonostante, paradossalmente, movimenti come Fridays For Future sembrino dare prova di una grande vitalità dell’attivismo politico.

Casadei sottolinea che l’attivismo politico a favore dell’ambiente e contro il cambiamento climatico sta suscitando, non solo interesse, ma “una vera e propria mobilitazione delle nuove generazioni e, insieme a loro, di cittadini e cittadine su scala planetaria”. Non c’è, però, una “pari spinta sul versante del disarmo e del pacifismo”. Sembra infatti che dopo il 2000 ci sia stato un declino in questa direzione.

Guerra del Congo,  la più grave forma di violazione dei diritti umani

Russo porta ad esempio di grave violazione dei diritti umani la guerra nella Repubblica Democratica del Congo, definita la Terza guerra mondiale, “anche se non ce ne avvediamo perché distanti”. Ma in termini di numeri di morti, di eserciti dispiegati e di danni ad un’area vasta quanto l’Europa, è una guerra ampiamente e profondamente devastante legata al coltan. Il 75% delle batterie dei cellulari è fatto di coltan, le cui riserve sono quasi esclusivamente in Congo. Infatti, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Venti, quando la diffusione e l’utilizzo dei cellulari s’incrementa in maniera esponenziale, scoppia questa terribile guerra. La risposta sul piano internazionale e poi nazionale e locale è sullo stile del Patriot Act degli Stati Uniti e sue leggi gemelle in cui “il dissenso viene progressivamente limitato e identificato con il terrorismo”, giustificando una crescente diffusione “di un sistema di controllo a modello panottico”. Il Congo diviene così uno dei paesi con la più grave forma di violazione dei diritti umani e con la più alta concentrazione di bambini-soldato.

La questione aperta sul Congo permette anche di portare l’attenzione sul rapporto tra diritti umani e natura. Un aspetto che il contesto pandemico ha disvelato in tutta la sua gravità. Pertanto, questo è diventato oggetto di interesse per Amnesty International. Nel suo ultimo rapporto l’organizzazione ha identificato nella pandemia l’evento che ha reso del tutto evidenti storture, debolezze e difficoltà in cui versavano la maggior parte dei Paesi. In particolare, il report Abbandonati, relativo alla condizione degli anziani nelle RSA, denuncia come “ciò che già era un problema si sia riproposto con maggior crudezza e, dove la pandemia non ha colpito, le violazioni sono continuate esattamente uguale a prima”.

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Educazione e diritti umani: la decodifica dei processi algoritmici

Sul rapporto tra diritti umani, educazione e mondo della scuola, Russo, che è anche impegnato come esperto del Centro Internazionale per l’infanzia e la famiglia, richiama la campagna globale per l’Educazione ai Diritti Umani, ponendo come esempio la questione su cui sta lavorando da diversi anni, il discorso d’odio. Il suo diffondersi è “uno dei grandi problemi della nostra agorà”. È sempre più difficile prendere una posizione “senza doversi preparare a difenderla con le unghie e con i denti” con l’evidente impossibilità di dialogare per giungere a un compromesso, tenendo in conto di doversi preparare a insulti e violenza. Molti dei progetti sul discorso d’odio si focalizzano sul linguaggio, cioè “sulle parole che fanno bene e le parole che fanno male” ma questo approccio è limitato; come precisa Russo, equivale a concentrarsi “sul proverbiale dito che indica il cielo […] Il linguaggio è una manifestazione di quello che è un problema più radicato che non può prescindere da un’analisi puntuale e strutturata di come, per esempio, funzionano gli algoritmi dei social media”.

La nostra vita sociale e politica è ormai condizionata da algoritmi e le scelte algoritmiche privilegiano i discorsi ad alto tasso d’emotività: infatti, le fake news così diffuse e i discorsi d’odio sono tra i discorsi a più alto tasso di emotività che si possano trovare. Questo spiega anche perché i nostri social media siano zeppi di immagini di cani e gatti e gente che si insulta perché questi contenuti hanno in comune il fatto di essere ad altissimo impatto emotivo, ossia generano emozioni forti.

Inoltre, gli algoritmi di ultima generazione sono programmati per far viaggiare a sei volte la velocità di un contenuto razionale quello di tipo emotivo. Questo significa che, per quanto si prepari una risposta ponderata e argomentata a un contenuto d’odio, essa viaggerà a un sesto della velocità rispetto a un contenuto emotivo. Russo, per rendere ancora più esplicito il confronto, spiega che “è come provare a vincere una gara di corsa tra un treno locale e un Frecciarossa”. Da qui, sottolinea Casadei, la necessità urgente di un’educazione alla cittadinanza globale, ma anche alla cittadinanza digitale, che favorisca da parte dei cittadini la decodificazione dei processi algoritmici.

La “teoria dei tre cerchi “: dall’attivismo educativo alla libertà di informazione

L’educazione ai diritti umani, aggiunge Russo, è certamente un buon approccio alla soluzione della questione ma non è una strategia comprensiva di tutte le conoscenze che occorrono per riuscire a comprendere i problemi di oggi. Le iniziative tra università e scuole per una formazione adeguata a un approccio globale ai diritti umani forse si limitano troppo all’ambito strettamente educativo. Sarebbe necessario superare questo “difetto di forma” per aprirsi ad altri ambiti influenti nella vita dell’attuale come del futuro cittadino globale: sport, informazione, istituzioni, lavoro.

L’educazione ai diritti umani presuppone la volontarietà, cioè la decisione dell’individuo di partecipare. D’altra parte, anche presupponendo che questa si verifichi, se chi è educato a tali diritti si confronta con il resto della realtà che non segue la stessa formazione, il conflitto e il dissidio sono dietro l’angolo: chi condivide i valori dei diritti umani, ma non riscontra una loro concreta applicazione nella realtà, crescerà “nell’idea che i diritti umani siano una bella cosa ma poi occorre stare nella vita reale”.

Secondo Russo, le organizzazioni che elaborano progetti educativi dovrebbero delineare progetti a tre livelli secondo la “teoria dei tre cerchi”: il primo obiettivo tiene conto dei giovani; il secondo include genitori, insegnanti, allenatori, figure religiose di riferimento; il terzo si rivolge all’amministrazione pubblica.

L’attivismo politico va svolto perché è opportuno farlo, ossia “perché è coerente con i valori che noi professiamo. Non bisogna farlo per la speranza di vedere un cambiamento importante nell’arco della nostra vita perché questo porta a un sicuro insuccesso”. Inevitabilmente per chi è interessato è sufficiente portare avanti un attivismo di trincea che si può, per esempio, esemplificare nella promozione e nella diffusione di uno studio serio e approfondito a tutti i propri contatti. Casadei aggiunge l’idea di un coraggio che può animare la vita di ognuno di noi, che non rimanda al gesto solitario di un eroe, come di una figura quasi slegata dal contesto, ma rimanda all’idea di uno “sforzo condiviso”.

Russo conclude con una ultima riflessione sulla sicurezza. “Chi promuove la sicurezza è una forza del disordine” perché tutta l’ideologia sovranista si fonda sull’insicurezza e “sta alla politica come il racket sta alla criminalità”. Proprio chi dichiara di volerci difendere da un qualcosa, in realtà genera ciò da cui pretende di difenderci.  Pertanto, “la libertà e l’uguaglianza sono minacciate dalla mistificazione di tutto un discorso politico che necessita in modo vitale di difendersi…”. Russo ricorda infatti che sono proprio “i partiti sovranisti quelli che hanno più bisogno che i migranti arrivino sulle nostre coste”. Il nostro principale “nemico è dunque la mistificazione sistematica delle politiche messe in atto”.

di Michela d’Albenzio

 

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