Discriminazioni ai colloqui di lavoro: perché essere donna è ancora uno svantaggio

Come funziona il mondo del lavoro femminile in Italia, intervista a Laura Lambri di Cgil Parma in attesa dell'applicazione di nuove leggi contro la discriminazione di genere

Chiedere informazioni private e personali ai colloqui di lavoro è illegale. Spesso, però, domande come “sei sposata? hai figli? hai intenzione di averne?” vengono poste durante i colloqui di lavoro, e principalmente alle donne. Inutile nascondersi dietro a un dito, questo accade perché molte aziende non vogliono assumere dipendenti in cerca di una gravidanza, per non doversi fare carico delle responsabilità (congedo di maternità, congedo parentale, indennità, malattia per i figli…) che gli spettano nel caso in cui una lavoratrice resti incinta. Non a caso, in Italia, c’è il più alto tasso di disoccupazione tra le madri: stando a un report dell’Eurostat solo il 57,3% delle madri italiane lavora.

Le madri lavoratrici in Europa sono il 72,2%. L’occupazione per le donne senza figli è del il 76,8% mentre risultano occupati il 90% di uomini con figli, contro l’80,9% di chi non ne ha.

Si pensi al noto caso della pallavolista Lara Lugli, che dopo essere rimasta incinta non ha più ricevuto lo stipendio, e la giustificazione che le è stata data è quella di “aver taciuto al momento della trattativa contrattuale la sua intenzione di avere dei figli”. Lei ha coraggiosamente deciso di parlarne e la sua storia ha fatto il giro del mondo, dimostrando quanto ci sia ancora da lavorare sui diritti della maternità e delle donne in generale. Solo dopo la forte risonanza mediatica avuta sul caso la società ha deciso di fare dietrofront e adempiere agli obblighi di legge.

Molte aziende, invece, già al momento del colloquio mettono le mani avanti, ponendo alle intervistate domande fuori luogo, personali e che nulla hanno a che vedere con il lavoro per il quale si sono candidate. Secondo alcune ricerche condotte negli ultimi anni da Telegraph e The Indipendent al 40% delle donne durante colloqui di lavoro sono state poste domande inerenti alla loro vita privata, mentre solo un 10% degli uomini ha subito questo trattamento.

Nonostante l’articolo 37 della costituzione italiana e il 27 del codice delle pari opportunità citino che “è vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro”, la realtà è ben lontana dalla teoria anche nel nostro Paese che è migliore a livelli di tassi di disoccupazione di donne con figli solo alla Grecia e alla Spagna (61, 3% la prima, 66,2% la seconda).

Per capire qualcosa in più sull’argomento abbiamo intervistato Laura Lambri, che lavora per il servizio SOL (servizio di orientamento al lavoro) della CGIL. Questo servizio si occupa di aiutare le persone a mettere a fuoco il loro profilo professionale, e a capire, in base alle proprie competenze, capacità e in seguito a una ricerca nel mercato del lavoro, quale può essere l’obiettivo professionale più adatto per ciascuno.

Secondo Lambri, che lavora nel settore da circa 20 anni, ultimamente le offerte di lavoro usano sempre una dicitura sia femminile che maschile (è obbligo di legge), anche se poi parlando con società che gestiscono direttamente le offerte di lavoro, “capita di rilevare una preferenza”.

Per il cosiddetto “terzo settore”, che include asili, ONG, cooperative sociali sono preferite le donne per un fattore culturale, si tende a vederle come più “adatte” a lavori che riguardano la cura della persona. Mentre secondo uno studio condotto da The European House – Ambrosetti (società di consulenza) nel mondo solo il 28% delle donne lavora nel campo della scienza e dell’ingegneria, contro il 72% degli uomini.

Parlando di domande personali rivolte durante i colloqui, anche Lambri afferma “che possono capitare”, e che per rispondere educatamente “si può fare appello alla comunicazione, alla capacità di essere un buon comunicatore”. Il suo consiglio è quello di riportare il focus sul colloquio, quindi dire ad esempio “la ringrazio per l’interesse alla mia situazione famigliare, ma preferirei approfondire il mio profilo professionale”.

E se qualche candidata durante un’intervista venisse discriminata per il genere e volesse sporre denuncia? In questo caso, la parte più difficile è dimostrare di essere stata scartata “perché donna”, l’azienda, infatti, potrebbe semplicemente dire di non aver riscontrato nella candidata le cosiddette soft skills richieste nella job description. Proprio per questo motivo, secondo Lambri, è quasi impossibile che la denuncia porti a dei risarcimenti o a delle conseguenze per chi ha discriminato, e nella sua carriera non ha mai sentito nessuno che abbia tentato di farlo, proprio per le difficoltà che comporta.

Fortunatamente, però, si sta muovendo qualche passo nella giusta direzione: qualche settimana fa è stata approvata anche in Senato la legge sulla parità salariale, che si basa su due punti principali. Il primo è il rispetto della parità di genere e la trasparenza: significa che tutte le aziende con più di 50 dipendenti dovranno compilare un rapporto sulla situazione del personale che conterrà molti indicatori (salari, congedi…) e il tutto sarà pubblico e quindi consultabile da chiunque.

Ma questo basterà? Il gap salariale (differenza tra i salari orari medi) a livello europeo è stimato in media al 14,1 per cento, riporta Il Sole 24 Ore. Ma la situazione peggiora nel caso in cui si prenda in considerazione il divario retributivo complessivo, includendo anche la media mensile di ore effettivamente retribuite e il tasso di occupazione reale. Il gender pay gap ha una media europea del 36,7%. In Italia siamo tra i peggiori: al 43%, secondi solo a Paesi Bassi e l’Austria (44,2%).

Per fare fronte a questo problema, il ministro del lavoro Andrea Orlando – in occasione del webinar sulla parità dell’occupazione femminile ‘Obiettivo 62%’ – il 21 marzo scorso, ha avanzato la proposta di creare una piattaforma in cui si possano denunciare anonimamente le aziende che violano queste leggi. Essendo anonima avrebbe il vantaggio di poter essere utilizzata senza paura di ritorsioni. Al webinar è intervenuto anche Vittorio Colao, ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, affermando che vorrebbe che “ogni sito di ogni azienda e di ogni ente, in alto a destra, avesse una piramidina e – non usando il rosa ma il rosso ed il blu – si indicassero i ruoli ricoperti dalle donne a tutti i livelli”. Anche Elena Bonetti, ministra per le pari opportunità e la famiglia, ha affermato che “una politica che promuove l’empowerment femminile e libera energia femminile è un investimento, è un tipo di politica che va ricercata.”

A causa della pandemia moltissime persone hanno perso il lavoro, e a pagare il prezzo più alto sono state le donne, in particolare al sud Italia, dove sono ancora poche coloro che lavorano. Ben 4 regioni del sud Italia (Campania, Calabria, Sicilia, Puglia) sono tra le peggiori 5 d’Europa per quanto riguarda l’occupazione femminile. Da inizio pandemia, su 440mila posti di lavoro persi, 312mila coinvolgono l’occupazione femminile che è del 20% più bassa rispetto a quella degli uomini

Quindi, mentre attendiamo che tutto ciò venga attuato, e che finalmente ci sia una vera parità e che non ci siano più discriminazioni almeno nel mondo del lavoro, è fondamentale prepararsi al meglio per affrontare i colloqui. Abbiamo chiesto a Lambri qualche consiglio da dare ai giovani neolaureati che si trovano ad affrontare un colloquio per la prima volta. Sicuramente farsi aiutare da servizi di consulenza come SOL di Cgil Parma è un primo passo per essere guidati nella direzione giusta. Ma il primo consiglio è quello di “non improvvisare mai“, perché l’emotività non è facile da gestire. Il secondo è avere una risposta pronta alla domanda “Chi sono io?”, seguita da “Cosa fa la differenza tra me e un’altra persona?” e “Cosa posso offrire in più di altri?”. È molto importante anche informarsi sull’azienda, su cosa cerca, come lavora.  Alle donne, oltre a tutti i consigli precedenti, suggerisce di prepararsi in modo da saper anticipare e gestire le obiezioni al meglio, facendosi rispettare dal proprio interlocutore e non facendosi sottomettere dal sistema patriarcale.

di Marianna Dalcò

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*