Un viaggio nel cinema insieme al maestro Vittorio Storaro

Da Bernardo Bertolucci a Francis Ford Coppola: vedere la Settima arte attraverso gli occhi di un grande artista

Vittorio Storaro, (fonte: Wikimedia Commons)

Dopo una difficile annata, negli scorsi giorni si è svolta la 24esima edizione del Parma Film Festival, che è tornata a riempire le sale con i suoi incontri, premiazioni e soprattutto visioni cinematografiche imperdibili e memorabili. Vi abbiamo parlato e presentato una selezione delle opere proiettate in un altro articolo e, tra i film citati, è presente anche il vincitore del premio del pubblico del Festival: La scelta di Anne – L’Événement di Audrey Diwan (Leone d’oro alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia).

Come se non bastasse, questa edizione ha avuto modo di concludersi nel migliore dei modi, tramite un incontro con il famoso e pluripremiato direttore della fotografia Vittorio Storaro.

Un direttore della fotografia da Oscar

Vittorio Storaro (fonte: l’indro.it)

Vittorio Storaro, romano, nasce nel 1940 e inizia a studiare fotografia giovanissimo, (aveva appena 11 anni) presso l’Istituto Tecnico di Roma “Duca d’Aosta”, per poi proseguire gli studi al Centro Sperimentale di Cinematografia.

Il suo esordio nel mondo del cinema avviene nel 1969, con il film Giovinezza, giovinezza di Franco Rossi, dove ha modo di poter mettere in pratica gli insegnamenti e conoscere sul campo la natura del mestiere. Dopo questo primo film, è chiamato da numerosi e rinomati registi, tra cui Bernardo Bertolucci, Francis Ford Coppola, Woody Allen e Warren Beatty. Con Bertolucci realizza il primo film del cineasta: La strategia del ragno (1970). Al suo fianco lavora anche per i successivi film come Ultimo tango a Parigi (1972) e Novecento (1976).

Nel 1979 collabora con Francis F. Coppola per la realizzazione di Apocalypse Now, film sulla guerra in Vietnam, con il quale Storaro vince il suo primo Oscar per la Miglior fotografia. Nel 1982, invece, si trova sul set di Reds di Warren Beatty, sulla Russia comunista, con il quale ottiene il suo secondo Oscar. L’ultima statuetta, invece, la vince con il famoso L’ultimo imperatore di Bertolucci, nel 1988 (film per il quale riceve anche il David di Donatello). Tra i vari premi, si aggiudica anche due Nastri d’Argento per i film Il tè nel deserto (1990; con il quale vince anche il premio BAFTA – equivalente britannico degli Oscar) e per Il piccolo Buddha (1993), entrambi con regia di Bernardo Bertolucci. Nel 1987 è membro della giuria della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia e nel 1991 di quella del Festival di Cannes. Nel corso della sua lunga carriera, riceve anche tre Lauree Honoris Causa: dall’Università di Łódź in Polonia, dalla Facoltà di Sociologia dell’Università di Urbino e dall’Accademia di Belle Arti di Macerata.

Il fotografo Storaro al Parma Film Festival

Vittorio Storaro e Bernardo Bertolucci (fonte: lastampa.it)

Domenica 14 novembre, alle 11.00, al Cinema Astra si è tenuto l’incontro con il maestro Vittorio Storaro: l’occasione è stata memorabile e, in particolar modo, è stato un viaggio nella storia del cinema e del percorso personale di questo grande autore. A presentare l’incontro, l’Assessore alla Cultura, nonché docente di Cinema, Michele Guerra e, a introduzione dell’ospite è stato presentato un breve film (di 30 minuti) sul percorso e sui registi con cui lo stesso Storaro ha lavorato.

In un excursus autobiografico, il maestro si è raccontato e ha presentato il suo percorso con particolare attenzione all’amicizia e al sodalizio con Bernardo Bertolucci. Di quest’ultimo, ha raccontato il percorso di avvicinamento alla cinepresa e alla sua volontà di dedicarsi alla scrittura di storie, ma con l’intenzione di emanciparsi dall’influenza letteraria del padre e, di conseguenza, trovando la propria strada nella “scrittura della macchina da presa”.

Ricordando alcuni momenti durante le riprese, Storaro ha raccontato come Bertolucci preparava il set: “Vedo che lui parte al mattino con il mirino, guarda lo spazio vuoto e immagina quel tipo di inquadratura che deve fare e, rarissimamente, chiama qualche attore o qualcuno che gli faccia da modello. Lui ha già la visione delle cose e solo dopo che ha deciso il tipo di spazio, di lunghezza e di ritmo (le tre cose fondamentali del cinema), si inizia a provare. Quando ho visto questo, ho capito che lui aveva deciso di non usare la penna, ma la macchina da presa per scrivere”.

Questo, per il fotografo ha rappresentato l’inizio del loro “binomio di scrittura visiva”, come lui stesso lo ha definito: mentre Bernardo Bertolucci scriveva a partire dalla triade spazio, tempo e ritmo (in sintesi con la macchina da presa), lui scriveva con la luce, con la macchina fotografica.

Vittorio Storaro sul set di Apocalypse Now (fonte: ciakclub.it)

Ha poi parlato del suo lavoro con Francis Ford Coppola e della scelta del regista di chiamare un direttore della fotografia italiano sul set di un film incentrato su una guerra americana: Apocalypse Now (1979).

Trattando dei primi contatti con il cineasta, il fotografo ha ricordato il suo iniziale diniego nei confronti di un film di tale portata, dal momento che, da una parte si chiedeva il perché della scelta di un direttore della fotografia italiano che si occupava di tutt’altre tematiche (come l’inconscio, tipico della filosofia di Bertolucci) e dall’altra parte non comprendeva il motivo del cambio di direttore della fotografia – lui al posto di Gordon Willis, con il quale il regista aveva lavorato per Il Padrino e Il Padrino – Parte II.

La scelta di Coppola si basava sulla sua volontà di non fare un film sulla guerra del Vietnam, ma sulla guerra di conquista dei popoli, con particolare riferimento e ispirazione a Cuore di tenebra di Joseph Conrad. Dopo aver letto il romanzo, Storaro si rese conto dell’importanza di quel film: “Certo che mi riguarda, è un concetto universale. È la denuncia di ciò che accade quando una civiltà si sovrappone a un’altra cultura, non rispettandola. E questo riguarda tutte le conquiste che sono state fatte dai Romani, dagli Spagnoli, dagli Inglesi e dall’America”. Fu, dunque, la comprensione dell’importanza di questo lavoro, che fece sì che Storaro accettasse l’incarico e collaborasse alla realizzazione del film.

Tra i vari aneddoti, egli ha raccontato la difficoltà del reperimento del materiale (in particolare degli elicotteri – poi trovati nelle Filippine) e l’intromissione del governo americano durante la realizzazione del film stesso. Oltre a questo, ha trattato l’importanza del colore, di come lui stesso sia stato istruito dalle pitture rupestri e di come questi insegnamenti gli siano stati utili sul set. Ha parlato del desiderio di creare, con particolare riferimento al film di Coppola, un contrasto tra l’energia naturale del popolo vietcong e l’energia artificiale delle armate americane: è un conflitto che va al di là della semplice guerra e ciò trova realizzazione sul piano cromatico e visivo.

A conclusione dell’incontro, si è focalizzato sull’importanza del restauro e del suo lavoro sul recupero delle sue opere e di quelle realizzate con Bertolucci. In quest’ultimo, ha ribadito di aver trovato le proprie radici: quelle di alunno della scuola cinematografica. É anche grazie a essa che è diventato quello che è oggi e, per questo motivo, ha ringraziato i suoi maestri, perché senza di loro, non avrebbe maturato e, di conseguenza, non avrebbe potuto esprimere la propria visione della fotografia nel cinema.

Uno straordinario incontro per concludere in bellezza

Vittorio Storaro (fonte: parmafilmfestival.it)

L’incontro con Vittorio Storaro non è stata solo una lezione di cinema memorabile, ma anche un approfondito racconto dell’amicizia tra due grandi maestri, come lui e Bertolucci. É stata una grande riflessione sul valore del cinema e di come questo si è evoluto e continua a cambiare sotto i nostri occhi stupiti, oltre che sulla funzione della Settima arte in ambito sociale e nell’affrontare tematiche di importanza mondiale, spesso e volentieri ostacolate nella loro realizzazione. Un momento magico che ha riunito i cinefili in un incontro con un grande artista della cinematografia italiana.

Il Parma Film Festival non avrebbe potuto terminare in modo più spettacolare: un memorabile incontro con un grande personaggio che comprende perfettamente i meccanismi dell’industria cinematografica e, attraverso il suo lavoro, continua a stupire.

di Erika V. Lanthaler

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