“The French Dispatch”: il grande ritorno di Wes Anderson

Il giornalismo spiegato al cinema

Come lavora una piccola testata giornalistica? Come si muovono i suoi redattori nella piccola, ma variegata cittadina di Ennui-sur-Blasé? Wes Anderson è tornato sul grande schermo a raccontare come funziona lo strano mondo della stampa e dei suoi protagonisti.

The French Dispatch, Wes Anderson (fonte: rbcasting.com)

The French Dispatch, una storia unica

Le vicende prendono piede a Ennui-sur-Blasé, ridente cittadina francese, e vedono protagonista un’immaginaria redazione giornalistica che, alla morte del proprio fondatore (Arthur Howitzer Jr. – Bill Murray), decide di pubblicare un’edizione speciale, che includa i migliori articoli usciti nell’arco dei dieci anni della testata. Ha così inizio l’avventura attraverso le pagine della rivista, seguendo pari passo la creazione delle storie da parte dei giornalisti che le scrivono. 

Ecco allora che lo spettatore scopre, ad esempio, la vita cittadina di Ennui, grazie al giornalista-ciclista Herbsaint Sazerac (Owen Wilson) e conosce la storia di un grande artista carcerato, Moses Rosenthaler (Benicio del Toro), scoperto dal trafficante di opere d’arte Julien Cadazio (Adrien Brody), tutto grazie alla ricerca della giornalista J. K. L. Berensen (Tilda Swinton). Inoltre, tramite il reportage di Lucinda Krementz (Frances McDormand), vengono svelati i retroscena dei moti studenteschi, al cui vertice si trova un giovane e stralunato Zeffirelli (Timothée Chalamet). Infine, si assiste alle vicende legate a una cena tra il giornalista Roebuck Wright (Jeffrey Wright) e il capo della polizia (Mathieu Amalric): mentre il primo ha l’obiettivo di fare un articolo sul noto e famoso chef Nescaffier (Steve Park), avviene il rapimento del figlio del commissario. 

The French Dispatch (fonte: mymovies.com)

È un’avventura che ne racchiude molte altre, così come deve essere in un vero giornale. Una storia a matriosca che rappresenta il cuore pulsante del fare giornalismo: raccontare storie, fatti, avvenimenti e far stupire, piangere, ridere il lettore; farlo sognare e fargli conoscere parte della realtà che lo circonda.

L’apice della carriera registica di Wes Anderson

Storie dolci, colori pastello e una voce narrante che richiama alla mente Hans Christian Andersen: è tornato Wes Anderson, regista americano, nonché maestro della simmetria per eccellenza nella storia della cinematografia mondiale. Se con The Grand Budapest Hotel (2016) aveva messo in scena una storia intima, emozionante e caratterizzata dalla sua tipica estetica, con The French Dispatch gli equilibri geometrici e le proporzioni, così come tutto l’impianto narrativo, arrivano a un nuovo livello di concezione e realizzazione.

La trama diviene più fitta e se prima le pellicole erano rappresentate da un unico intreccio, ora Wes Anderson porta sullo schermo storie che si intersecano con sintonia, una dopo l’altra, in un’unica grande e armoniosa sinfonia testuale. Il racconto delle singole storie diviene una raccolta di avventure che fanno capo a un unico titolo: quello della testata giornalistica stessa.

Wes Anderson sul set di The French Dispatch (fonte: nytimes.com)

La maestria del regista risiede proprio in questo: creare un nucleo narrativo complesso e ricco di avventure, ma che abbiano, nella loro totalità, simmetria e armonia. 

La bellezza di The French Dispatch risiede anche e soprattutto nel presentare al pubblico l’impianto giornalistico che, non molto lontano dal cinema, ma con altri mezzi, racconta storie. É un racconto cinematografico inerente al giornalismo e, allo stesso tempo, è una storia giornalistica che trova realizzazione nel cinema.

di Erika V. Lanthaler 

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