Il coraggio: semiotica e valore simbolico dal Seicento al Novecento

Marin Cureau de La Chambre e Pierre Bourdieu, autori francesi distanti nel tempo, si ritrovano uniti sul tema della visibilità del coraggio

Nell’ottavo e conclusivo incontro dell’undicesima edizione della formazione filosofica, Pensare la vita, dell’associazione La Ginestra, si è affrontato l’argomento intitolato La visibilità del coraggio. Gli ospiti sono stati la professoressa Paola Giacomoni, ordinaria di storia della filosofia dell’Università di Trento, e il preside del Liceo classico di Treviglio, il professore Silvano Allasia.

Il corpo come un testo da leggere

Il primo autore menzionato è Descartes, noto spiritualista, che ci stupisce in l’opera Le passioni dell’anima, in cui con una prospettiva quasi anti-dualistica, parla del corpo “fisico” come meccanismo che produce ed esprime passioni

L’altro grande autore, assolutamente fondamentale nell’analisi di questo tema, è Charles Darwin

Darwin studia le passioni in chiave evoluzionistica: ritiene che a determinate emozioni corrispondano determinati movimenti del corpo. Tali movimenti sono ereditabili ed universali

A fine ‘800, lo psicologo William James sottolinea che le emozioni non hanno una natura solo psicologica ma sono legate al corpo: esse sono congiunte alla percezione che abbiamo del nostro corpo, quando le proviamo. In William James poi il nesso psicologico-fisico è assolutamente centrale

Si arriva poi alla psicologia sperimentale, alla filosofia scientifica e alle neuroscienze di oggi, che studiano le passioni connesse alle attivazioni di alcune parti del cervello ma ritengono fondamentali le espressioni del corpo ad esse collegate, tanto che le manifestazioni corporee delle emozioni sono considerate, come dice la professoressa Giacomoni, “segnale essenziale alla definizione stessa dell’emozione. Ogni emozione base, come la paura, la sorpresa e la collera, ha una sua facies.” 

Marin Cureau de La Chambre, l’antesignano seicentesco del dottor Cal Lightman di Lie to me

Marin Cureau de La Chambre era medico alla Corte di Luigi XIV ed era un personaggio molto interessante, non solo per i suoi studi, ma anche per l’importanza riconosciutagli dal re. Pare che il monarca ricorresse spesso a lui per consultarsi nel giudicare le abilità, le disposizioni, le inclinazioni e le prerogative dei suoi cortigiani, chiedendogli di osservare in silenzio i movimenti corporei dei vari personaggi, in determinate situazioni. “Questa abilità  semiotica del medico – chiarisce la professoressa – coglieva nella camminata, nella postura del corpo o nella posizione della schiena più o meno eretta, nel grado di inclinazione dello sguardo o nella mobilità di un sopracciglio o in quella della bocca, un linguaggio che parlava con chiarezza a chi ne conosceva finemente la complessa grammatica psicofisica; abilità che fanno pensare a quelle osservazioni rese caricaturali dal dottore Cal Lightman di Lie to me, che sono basate però sulle ben note ricerche scientifiche di Paul Ekman, che reinterpreta Darwin nel ‘900.”

Una perizia non da poco, se si tiene conto, come ci insegna Norbert Elias, che nella corte assolutista di Re Sole “gli atteggiamenti misurati, i gesti accuratamente calcolati e un linguaggio attento alle sfumature” erano le qualità richieste e apprezzate per sopravvivere a Corte. “Non era la franchezza del coraggioso, il suo slancio, la sua energia che contavano nei tempi di pace, – spiega la professoressa – ma un controllo completo sulle emozioni ad assicurare l’opportunità di migliorare il proprio rango, il proprio posto nella sempre mutevole gerarchia di gradimento del re; quindi, dissimulazione o anche simulazione erano abilità accuratamente coltivate a questo fine, ben oltre gli scopi dell’onestà, della dissimulazione onesta di Torquato Accetto.”

Il coraggio in Cureau: forza dell’anima e potenza del corpo guidati da una spinta etica

Cureau scrisse diversi volumi intitolati Les caractères des passions (i caratteri delle passioni), intestazione con cui non si indicano i caratteri psicologici ma i tratti visibili delle passioni. 

Il secondo volume, Passions courageuses, pubblicato nel 1660, comprende il tema dell’audacia, di cui il coraggio è l’espressione imminente, della costanza, come fermezza del coraggio, e dell’ira. 

In un quadro interpretativo, tutto al maschile, in cui le caratteristiche tipiche del coraggio non sono valide per entrambi i sessi, la visione di Cureau è una spinta etica, che si innesta su una formazione aristotelico-tomista: tutte le passioni sono interpretate come un avvicinamento al bene o un allontanamento dal male. 

A ciò si aggiunge il meccanicismo cartesiano e la rivalutazione del corpo, che giustificano l’ira come emozione necessaria alla rimozione degli ostacoli, che si frappongono alla realizzazione del bene. L’ira, emozione energizzante, stimola il coraggio fino a compiere l’azione riparatrice in una lotta contro il male, per la giustizia. 

La visione si arricchisce, inoltre, di una sorta di riduzionismo e determinismo, per cui il coraggio è tipico dell’uomo nerboruto: il coraggioso è anche un uomo forte nel corpo.

Il coraggio non è l’esito di un esercizio ma è “qualcosa di spontaneo”: “L’istinto può certo essere educato e sviluppato – chiarisce la professoressa Giacomoni – ma deve portare sempre con sé la freschezza della spontaneità”. 

Il coraggio è “energia agonica accompagnata dalla speranza della vittoria, dalla fiducia nei propri mezzi e nella fermezza dell’intento”.

Cureau, da buon medico, conosce molto bene il mondo degli animali e spesso, nelle descrizioni accurate e dettagliate degli elementi visibili del coraggio, ricorre alle analogie con le specie animali

Tra i coraggiosi Cureau elenca anche i ribelli e gli eretici: quindi, non solo quelli vigorosi nel corpo ma anche quelli energici nello spirito, che hanno salde convinzioni. “Cureau rappresenta il coraggio come un coraggio muscolare. Sostanzialmente, la concezione del coraggio di Cureau è una virtù militare che, in questo caso, difende e sostiene l’ordine civile”.

Il coraggioso è anche interessato al potere e alla gloria, al premio: “Non lotta solo contro l’ingiustizia ma vuole anche il potere: è un dominante, un maschio alfa”.

I caratteri visibili del coraggio

La cosa più interessante, però, di questo scritto sono proprio i caratteri fisici, dei quali troviamo un’ampissima casistica in questo corpo che parla: “Il corpo parla, esprimendo queste caratteristiche psicofisiche”, specifica la professoressa Giacomoni.

Le caratteristiche psicofisiche esprimono lo slancio dell’anima, che si smaschera perché gli atti sono involontari: si esprimono nonostante le mie scelte e la mia volontà, come in tutte le emozioni. Dice la professoressa Giacomoni, citando il medico francese: “L’anima ha una segreta conoscenza dei movimenti del corpo, adatti allo scopo”.

Inoltre, è importante che il coraggio si veda perché “deve mostrare la determinazione all’azione, che impaurisce l’avversario, ancora prima di agire”. 

E a questo proposito Cureau fa molte osservazioni interessanti sullo sguardo, paragonandolo a quello di diversi predatori, dall’aquila ai felini, e descrivendone uno particolare, di sbieco: “Il coraggioso è uno che guarda in faccia, non guarda di sguincio, ma – dice Cureau – c’è anche uno sguardo di tre quarti perché lo sguardo del coraggioso deve esprimere, non solo determinazione, ma anche il disprezzo per il nemico, che rappresenta il male”.

La postura deve essere eretta: “la postura tipicamente maschile deve essere eretta e deve dare il senso della forza, della determinazione.”

La camminata viene descritta nel seguente modo: “Quanto all’altera camminata, che Aristotele chiama magnifica e che è tipica dei leoni, essa contraddistingue la forza, la grandezza e il coraggio. I passi sono ampi e gravi, alternano il peso del corpo da una parte all’altra e spingono le spalle avanti in diritto e in ogni passo. Alcuni ne hanno individuato la causa nel temperamento tipico dei corpi robusti, osservando che tale costituzione è la più salda e solida, essendo le sue parti più unite e meglio connesse insieme. Un uomo animato dal coraggio e ardimento ha un passo più fermo e vigoroso perché ha molti muscoli che lo rafforzano”.

Pierre Bourdieu: l’habitus “coltivato” del coraggio

A metà degli anni Settanta del Novecento, in un contesto completamente diverso da quello del medico seicentesco, il sociologo francese Pierre Bourdieu, parla degli aspetti visibili del coraggio nel corpo, allargando però la prospettiva al valore simbolico di queste manifestazioni.

Nel suo testo, Il dominio maschile, lo studioso dice: “Il coraggio si scrive nel corpo come un insieme di disposizioni visibili”. 

Le disposizioni visibili sono atteggiamenti tipici di schemi corporei tipici, indicati dall’autore anche come habitus. Esse sono riscontrabili nel portamento del capo, nel modo di camminare, nella schiena eretta. 

Bourdieu ritiene che queste disposizioni visibili governino il maschio attraverso un atteggiamento coltivato, a cui si viene educati e che gradualmente si impone a causa di quella concezione di virilità, che deve dare prova di sé nei confronti degli altri

La virilità dipende dal riconoscimento degli altri, di solito dello stesso sesso, e dal riconoscimento del coraggio, che è la virtù della virilità: “La virilità – dice Giacomoni – si deve dimostrare agli altri con una prova di forza, che deve mostrare la propria superiorità. L’uomo veramente coraggioso è colui che si sente tenuto ad essere all’altezza della possibilità che gli viene offerta di accrescere il proprio onore o la propria gloria nella sfera pubblica, davanti agli altri, da cui si cerca il riconoscimento e in cui questa virtù essenzialmente consiste”. 

Pertanto, la virilità in questo senso è anche un carico, è anche ansiogena perché è sempre portata alla performance, alla dimostrazione di sé.

Sempre in funzione della necessità di dare prova di sé, il maschio viene educato a coltivare un habitus, cioè un atteggiamento mentale che attiva automaticamente l’atteggiamento tipico del corpo, che comunica a livello simbolico la determinazione e la preparazione all’azione. In questo senso Bourdieu è molto vicino alla descrizione di Cureau de La Chambre. 

Il tema interessante, però, è che non c’è una vera costrizione: nessuno spinge il coraggioso a tenere la schiena dritta o a presentarsi in un certo modo: “A questo – scrive Bourdieu -, nelle società tradizionali, ma ancora oggi, il maschio viene educato, senza una costrizione esteriore ma con una serie di sollecitazioni, che producono degli schemi corporei consolidati, che si solidificano progressivamente, che diventano poi un habitus. Se sono coraggioso, mi presenterò in un certo modo perché questo ha un valore simbolico: io mi presento così e il mio corpo dice già che io sono coraggioso; non occorre che io parli, non occorre che io sguaini la spada”.

La dimensione simbolica, che è implicita in Cureau, diventa esplicita in Bourdieu, che parla di questi habitus incorporati, cioè inscritti nel corpo, che diventano visibili al nemico ma anche agli amici, a cui si deve dimostrare la propria superiorità con una prova di forza. Questi schemi corporei incorporati, che non vengono imposti ma che vengono pian piano acquisiti nell’educazione, diventano però una sorta di seconda natura, un habitus, appunto.

di Michela D’Albenzio

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