Don’t Look Up: un cinico sguardo al nostro presente
Riflessione sull'attesa pellicola all-star di Netflix che ha diviso pubblico e critica
Da grandi e affermati attori come Meryl Streep, Leonardo DiCaprio e Cate Blanchett, a giovani e promettenti stelle come Jennifer Lawrence (Hunger Games, Il lato positivo) e Timothée Chalamet (Chiamami col tuo nome, Dune): è proprio il cast ciò che inizialmente più ha colpito della nuova pellicola targata Netflix – distribuita prima in sale selezionate e resa disponibile dal 24 dicembre – Don’t Look Up. L’attesa era molta e i numeri non mentono; basti pensare che nei suoi primi tre giorni sulla piattaforma ha raggiunto e superato le 111 milioni di ore di visione, oltre ad avere ottenuto quattro nomination ai Golden Globe. Tuttavia, si può parlare di un vero successo di pubblico e, soprattutto, critica?
Saper guardare intorno a sé
In un laboratorio dell’università del Michigan la dottoranda in astronomia Kate Dibiasky (Lawrence) scopre l’esistenza di una cometa grande all’incirca quanto l’Everest, che si sta dirigendo verso il pianeta Terra e che si schianterà non lontano dalle coste del Cile nel giro di poco più di sei mesi. Dopo aver messo al corrente il suo docente – Randall Mindy (DiCaprio) -, i due decidono di informare le autorità di ciò che sta per accadere e tentare di salvare l’umanità dalla distruzione totale. Ed è qui che iniziano i problemi: sì, perché i due si ritrovano ad avere a che fare con un ambiente decisamente ostile. Da una parte una presidente degli Stati Uniti (Streep) inizialmente più interessata alle elezioni di metà mandato che alla catastrofe presentatale dagli scienziati, mentre dall’altra il mondo dei media e del giornalismo tende a minimizzare il tutto, poiché bisogna sì informare gli spettatori, ma ciò che più conta – a quanto pare – è farlo sempre con un tono leggero e rassicurante.
Tra le sequenze più iconiche del film, indubbiamente, vi sono le apparizioni di Dibiasky e Mindy a un Morning Show condotto da due giornalisti (Blanchett e Tyler Perry) più impegnati ad apparire compiaciuti e affabili, piuttosto che a dare voce e importanza alle informazioni fornite dai due esperti. In tutto questo vi è, inoltre, il miliardario Peter Isherwell (Mark Rylance), il visionario proprietario dell’affermata compagnia high-tech Bash, che vede nella cometa solamente un’ulteriore fonte di guadagno personale. Infine, vi sono anche le persone comuni, dai famigliari di Mindy a un giovane skater (Chalamet) che si innamora di Kate: in un panorama di caricature e personaggi sopra le righe, questi ultimi sono forse i più realistici. Così mentre il mondo del film si divide tra chi guarda in alto, notando l’avvicinamento progressivo della cometa, e chi si rifiuta di farlo, in quanto non crede nella sua esistenza o si rifiuta di pensarci, inevitabili sono i parallelismi con il nostro presente e con persone realmente esistenti.
La vera catastrofe siamo noi
Tra gli spettatori, c’è chi ha pensato a una metafora del Covid o dei sempre più frequenti disastri ambientali. Il messaggio del film è chiaro: è necessario agire per tentare di evitare la fine del mondo e bisogna farlo nel minor tempo possibile. Tuttavia, ciò è reso ancor più complicato dal fatto che buona parte della popolazione mondiale sembra più interessata ad apparire sui social media, a distrarsi con frivolezze e a girarsi dall’altra parte, piuttosto che informarsi, prendere posizione e affrontare il problema. Ma soprattutto il regista e sceneggiatore Adam McKay (La grande scommessa, Vice – L’uomo nell’ombra) si scaglia contro quelle figure e istituzioni che dovrebbero sostenere e guidare i cittadini e che, invece, sono le prime a voltar loro le spalle. Ecco che allora, diventa facile rivedere nella presidente Janie Orlean gli atteggiamenti di Donald Trump, così come nel personaggio di Isherwell evidenti sono i richiami a uomini potenti come Mark Zuckerberg, Jeff Bezos e Elon Musk. McKay analizza la società odierna e lo fa passando anche dal giornalismo, ponendo in risalto le sue criticità: se tutto è politica e l’identità delle persone si riduce ormai alla raccolta di serie di dati, di reazioni e di hashtag, allora anche l’informazione perde il suo spessore e il suo vero ruolo. Tutto diventa lecito anche in televisione, perché ciò che più conta è conquistare l’affetto del pubblico – detto in altri termini: migliorare gli ascolti -, farlo sentire in qualche modo confortato, rincuorato, senza mai infastidirlo, criticarlo o sfidarne l’intelligenza. Il tutto mentre si tenta di dare spazio nelle trasmissioni ai personaggi più svariati – da scienziati a opinionisti, da cantanti a sportivi – per indorare la pillola o permettere a tutti di esprimere un’opinione, indipendentemente dal livello di conoscenza di un dato argomento, perché che lo si faccia bene o male poco importa, l’aspetto fondamentale è parlare costantemente di qualcosa.
Puntare troppo in alto e perdere di vista l’obiettivo (?)
Portare sul grande (e piccolo) schermo alcune delle tematiche più scottanti dei giorni nostri è indubbiamente un grande rischio e non solo i riscontri sono stati tra i più variegati, ma numerosi commenti negativi non si sono fatti attendere, in particolare dai critici. Basti pensare che siti come Rotten Tomatoes e Metacritic – tra i più famosi aggregatori di recensioni online – mostrano un apprezzamento del pubblico, rispettivamente, tra il voto 7 e 6 e degli esperti tra il 5.5 e il 5. Da una parte si può apprezzare il tentativo di dissezionare la società odierna attraverso la satira, un po’ di black humor e tanto cinismo, ma dall’altra, a lungo andare, il tutto risulta stucchevole, troppo forzato e soprattutto semplicistico. Forse ciò è stato volutamente ricercato per far sì che più persone possibili guardassero la pellicola e, in qualche modo, si immedesimassero, capendo la gravità della situazione. Ma così facendo, si rischia che, ponendo tutto sotto i riflettori, spesso in maniera esagerata e caricaturale, lo spettatore prenda le distanze, evitando di comprendere che ciò che sta guardando non vuole essere soltanto una pura e semplice forma d’intrattenimento. Si ottiene una sorta di effetto inverso, in cui il distacco emotivo è tale da non provare alcuna sensazione, se non un certo disagio di fronte a ciò a cui si ha appena assistito. E chissà che, per quanto frustrante e fastidioso possa essere, ciò non fosse in fondo l’obiettivo di McKay: sbattere in faccia al pubblico l’assurda realtà che ci circonda, al contempo ricordando che limitarsi a guardare intorno a sé non serve a nulla.
Di Federica Mastromonaco
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