Senzatetto allontanati da stazioni e parchi: quando la solidarietà viene battuta dal decoro urbano
Il drammatico racconto di come a Roma Termini stiano cercando di scoraggiare i disperati a dormire nei pressi della stazione lascia sconvolti. Ma questa vicenda è solo l'apice della sconfitta morale per una politica anti-clochard attuata ormai da anni da molti comuni italiani e stranieri
“Roma Termini, marciapiedi bagnati per allontanare i senzatetto”. La notizia ha fatto presto il giro del web finendo anche sui giornali nazionali. Come racconta Vice Italia, nella stazione Termini da alcune settimane i volontari stanno incontrando molte difficoltà con i vigilanti assunti da Grandi Stazioni Rail (società che gestisce le 15 stazioni italiane più grosse) che vietano loro di dare cibo ai clochard. Inoltre, nell’ultimo periodo le idropulitrici gettano acqua gelida a ridosso delle vetrate della stazione, in modo che si scoraggi chiunque a dormire lì.
E sono purtroppo sempre di più i piani organizzati dai Comuni delle grandi città, ma non solo, che in Italia e all’estero vengono attuati per allontanare i senzatetto dalle strade e dalle stazioni. Ma come siamo arrivati a questo? Perché si preferisce la cura di un luogo piuttosto che quella della persona?
Dall’avvento della modernità liquida, termine coniato dalla medesima opera del sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman, pubblicata nel 1999, l’individuo è stato abituato al materialismo e al consumismo. Non si ha più il tempo per pensare agli altri, se non per guadagni reciproci, e siamo perennemente immersi nell’individualismo. Ciò che generano questi valori, sono la necessità di sentirsi parte di una comunità che condivide le stesse norme e regole sociali e che reagisce con la paura e con lo stereotipo verso ciò che non conosce.
Bauman disse che inizieremo a superare queste discriminazioni solo nel momento in cui abbracceremo le diversità e comprenderemo le altre culture. Purtroppo, questo fenomeno non sembra essere attuato e ascoltato al momento, specie negli ultimi anni, durante i quali hanno prevalso regole come l’ordine pubblico, piuttosto che valori come l’empatia. Come disse il sociologo polacco: “L’estraneità non si elimina, si possono eliminare gli estranei comprese le loro strane, paurose e certo pericolose peculiarità”.
Le persone vivono poi immerse in una cultura dell’indifferenza, come spiega Papa Francesco. Siamo così impegnati nella nostra vita individuale di tutti i giorni, con la mente immersa nei nostri problemi, che vediamo la sofferenza altrui con distacco e quasi fastidio? Le amministrazioni infine non trovano soluzioni, ma al fine di evitare polemiche sembra che cerchino di allontanare il problema dai luoghi pubblici e dagli occhi di investitori e turisti. E sembrano essere della stessa idea molti Stati di tutto il mondo, dato che questi fenomeni sono ormai diffusi su larga scala. Perché lo dico? Avete mai sentito parlare di architettura ostile? Sono svariate le opere italiane e mondiali adottate come misure anti-clochard (ne abbiamo già parlato in questo articolo) e da qualche anno la situazione sta peggiorando.
Anche Georg Simmel, sociologo e filosofo tedesco, nella sua opera Filosofia del Denaro del 1900, parlò di una società fredda. Caratteristica della grande città novecentesca è essere diventata una metropoli, nella quale ogni persona è bombardata da stimoli ed è tutto veloce e superficiale. I rapporti diventano distaccati, e ognuno pensa a sé, scordandosi dell’altro. Questo amplifica il fenomeno per il quale, chi non riesce ad adattarsi a questa velocità, viene emarginato e lasciato solo. Così facendo, gli uomini vengono etichettati e bollati. Ritornando a Bauman, la paura domina, l’empatia scompare e l’emarginazione aumenta.
Come disse il sociologo Edwin Lemert, viviamo nell’epoca dell’etichettamento. Non riusciamo più a pensare all’altro come individuo che ha bisogno d’aiuto, ma come colui che non dovrebbe vivere nel posto in cui viviamo noi, perché dannoso per la comunità se non rispetta determinati canoni di comportamento ed adattamento.
E in un mondo come quello di oggi che va sempre più di corsa lasciando indietro chi non riesce ad adattarsi, il fenomeno aumenta in modo inesorabile facendo sempre più vittime. Un fenomeno che può sfociare nel suo apice di follia con gesti violenti. Non possiamo dimenticare la tragedia del 2019 a Verona, dove un senzatetto marocchino è stato bruciato vivo ed è morto tra atroci sofferenze. La povertà non è ben accetta nelle città capitalistiche.
Come riporta agi.it, inoltre, sono quasi 11 milioni gli italiani a rischio povertà: 4 milioni di disoccupati e 6,7 milioni di occupati ma in situazioni instabili o economicamente deboli. Una situazione già precaria che si è aggravata con lo scoppio della pandemia da Covid-19.
Ma come si arriva a partorire odio e pregiudizio nei confronti dei senzatetto? Perché certi episodi accadono ogni anno? Le amministrazioni comunali e la politica non sono esenti dalle loro responsabilità. I politici cercano di raccogliere approvazione parlando la lingua del popolo ed estremizzando certi pensieri. Come scrive Il Fatto Quotidiano, per esempio, a Genova è stata consegnata una multa da 200 euro ad un clochard perché la sua presenza è stata ritenuta indecorosa. Anche a Padova, il sindaco ha voluto la chiusura di un dormitorio apposito per queste persone. Diventa lecito domandarsi, se in strada non possono starci perché sono ritenuti indecenti, e gli spazi appositi vengono fatti chiudere, dove dovrebbero stare gli homeless?
Da anni hanno fatto poi la loro comparsa anche altre ingegnose idee per allontanare i poveri dagli occhi dei cittadini: le archietture ostili. Apparentemente sembrano innocue ma analizzate si rivelano spietate. Degli esempi lampanti possono essere quelli che si riferiscono alle panchine anti-clochard a Milano. Sono state introdotte proprio per evitare che qualsiasi persona possa dormirci sopra e, secondo il Comune, servono per mantenere un certo ordine pubblico e una zona decorosa intatta. Certamente, dalla foto sembrano così graziose, immerse in una zona verde ben curata, circondate da piante potate e fiorite. Colorate in tema con le piastrelle ben selezionate, per rendere alla vista questo luogo sinonimo di pulizia e precisione. Un decoro che ovviamente non include che qualcuno possa dormirci sopra.
Un altro esempio di panchine progettate per allontanare i senzatetto sono comparse anche a Bologna, nei pressi della stazione. Da sempre il capoluogo dell’Emilia-Romagna è considerato centro di accoglienza delle varie comunità e culture, eppure sembra che anch’essa si sia lasciata abbindolare dal concetto che sia più importante mantenere la stazione controllata piuttosto che aiutare le persone in difficoltà. Queste panchine si distinguono velocemente, a differenza di quelle presenti a Milano, perché sono divise da maniglioni, somiglianti quasi a delle barriere, che favoriscono l’individualità, piuttosto che la convivialità. Se pensiamo al motivo per le quali vengono realizzate e posizionate, non vi sentireste scomodi e ridimensionati se ci foste seduti sopra?
Anche Parma, recentemente Capitale Italiana della Cultura 2020-2021, qualche anno fa ha sperimentato l’installazione delle cosiddette panchine ingabbiate, in piazza Ghiaia. Queste architetture sono state posizionate come rastrelliere per i fiori, così disse il Comune, anche se ai più la ragione è sembrata ben diversa. Infatti queste operazioni fecero molto scalpore tra l’opinione pubblica, perché anch’esse sembravano essere misure per prevenire lo stanziare dei senzatetto.
Per fortuna, però, c’è chi non dimentica chi ha più bisogno e chi, tra mille difficoltà, riesce a risollevarsi. E conoscere queste storie ci fa capire che quello che dorme avvolto nei cartoni per proteggersi dal freddo non è così distante da noi. La vita gira e in un attimo potremmo essere noi al suo posto. Voglio fare qualche esempio.
Come racconta bolognatoday.it, Giuseppe, senzatetto di Bologna, prima di diventarlo era un grande lavoratore e la prospettiva di finire per strada era più che mai lontana. “Avevo la mia casa, la mia professione, persino due automobili, poi, per aver aiutato un amico a mettere su casa, ecco come sono finito. Tutto è precipitato e il mondo mi è crollato addosso. Ma non la mia dignità”. Prima la malattia e poi la morte della moglie lo hanno fortemente provato ma Giuseppe non si è “buttato giù” e ha continuato a lavorare per mantenere i figli fino a quando un amico d’infanzia, anche lui salito al nord per lavoro, gli ha parlato di un problema con il mutuo della casa. La banca non glielo concedeva perché non aveva garanzie nonostante lavorassero entrambi. “Ho deciso di fargli da garante per far sì che potesse realizzare il loro sogno familiare” si legge nella sua intervista. A qualche mese dalla firma ecco la telefonata della banca che avvertiva che otto rate non erano state pagate e che doveva provvedere il garante. “Hanno iniziato a non rispondere più alle mie chiamate, io a dover vendere quello che avevo per pagare i debiti. Ma non bastava e tutto è precipitato. Ho usato il mio Tfr, ho fatto tutto quello che potevo e alla fine sono finito in mezzo a una strada”.
Un altro esempio è quello che ha come protagonista la città di Catanzaro. Come tiene a precisare Mariella Ruggero, educatrice professionale e responsabile della struttura alla Maddalena: “Giungono persone con i bisogni più disparati, dai senzatetto per fortune avverse e non per scelta, alle straniere vittime di tratta e a quelle italiane costrette alla fuga da un compagno violento. Le loro storie si intersecano, poi, con quelle degli immigrati che approdano sulle nostre coste a bordo di un barcone con la speranza di un futuro possibile, e poi si scontrano con le maglie burocratiche dei permessi di soggiorno e la mancanza di lavoro”.
Sono tante le vicissitudini che portano certe persone a dover affrontare la vita di strada, spesso contro il loro volere. Basterebbe più comprensione e più empatia, per accorgersi che se reintegrati, queste persone sono delle risorse per la comunità e non dei pesi o una vergogna da nascondere. I clochard non sono un problema, emarginarli ed ignorarli lo è.
di Samuele Piroli
Scrivi un commento