Guerra in Ucraina: quanto influenza la propaganda di Putin sulla popolazione russa?

Incontro all'Università di Parma con il docente che dopo 17 anni ha lasciato il suo lavoro in Russia rientrando in Italia per colpa della guerra. Con Giovanni Savino cerchiamo di capire fino a che punto il racconto patriottico sul conflitto incida sulla percezione dei fatti

I russi sono realmente un “popolo di schiavi” come vengono descritti da alcuni media in realtà non possono esprimere liberamente il proprio dissenso per la guerra? Per parlare di questo e tanto altro il 14 marzo si è tenuto all’Università di Parma un importante dibattito sulla crisi che sta coinvolgendo l’Ucraina e sulla percezione del conflitto in Russia.

Il professore Giovanni Savino, ex docente dell’Università Ranepa di Mosca costretto a lasciare il paese dopo 17 anni a causa della guerra, ha discusso con altri docenti per cercare di fare il punto sul conflitto in corso e sulla situazione attuale della Russia.

L’incontro nasce dall’incombente bisogno di informazioni provenienti da fonti affidabili per capire cosa sta realmente accadendo in Russia e in Ucraina, come spiega il professor Marco Deriu, presidente del corso magistrale Giornalismo e cultura editoriale. In particolar modo, con lo scatenarsi della guerra si è riattivato immediatamente un meccanismo “amico-nemico” su tutti i fronti e anche al nostro interno. “Subito si viene schedati e classificati in filo Putin o contro Putin e questo penso sia un segno di vero imbarbarimento della discussione pubblica”.

Ecco perché risulta fondamentale non smettere di interrogare e interrogarci, avanzare questioni e interrogativi perché la qualità della discussione va salvaguardata. “Il nostro compito è alzare il livello della discussione pubblica non soltanto su quello che avviene nel nostro Paese, ma anche al di fuori” conclude Deriu.

Le cause del conflitto

È fondamentale approfondire le ragioni storiche del conflitto, perché in realtà conosciamo davvero poco dell’Europa orientale e questo lo vediamo spesso anche nel dibattito pubblico. Come sottolinea il professor Savino, si ricorre spesso ad una serie di immagini stereotipate e cliché che sono fuorvianti.

“Le parole sono importanti perché creano un senso comune molto pericoloso e questo non si vede solo in Italia, ma anche in Russia dove si è verificata una progressiva riduzione degli spazi di informazione”.

Savino spiega che, in realtà, gli spazi democratici in Russia sono sempre stati negli ultimi trent’anni precari. Dal bombardamento del ’93 è scaturita una costituzione totalmente squilibrata che “ha reso la Russia una repubblica iper-presidenzialista con una presenza ipertrofica dell’apparato amministrativo con i Gabinetti di Governo che non sono responsabili di fronte al Parlamento”.

Il problema in Russia, secondo il docente, è l’assenza del senso comune di una possibilità di avere delle opinioni diverse. Questo tipo di assenza del pluralismo è dovuto anche da un compromesso raggiunto negli anni 2000: sostanzialmente il potere garantiva la possibilità al popolo di usufruire della stabilità economica e in cambio i cittadini non dovevano interferire sull’operato del manovratore. Questo compromesso rappresenta evidentemente un ostacolo alla creazione di uno spazio democratico per la società civile russa, radicando un’idea profondamente autoritaria.

Per Putin l’Ucraina non è un problema internazionale, non è una questione di politica esterna ma interna. Per questa ragione considera gli ucraini dei “russi sbagliati”. Ecco perché in Russia si parla sempre di operazione speciale o operazione militare e non di guerra.

Giovanni Savino

Russia, libertà di pensiero e di espressione fortemente limitate

“Se dovessimo chiedere ai russi se siano favorevoli alla guerra, in moltissimi vi direbbero di no perché sono cresciuti ricordando l’orrore dei sette milioni di caduti tra il ’41 e il ’45. Ma se si va a chiedere con una telecamera loro rispondono di sì perché hanno paura di esporsi e questo tipo di paura viene utilizzato abilmente dalle autorità russe” afferma il docente.

Le restrizioni alle libertà hanno raggiunto, in queste settimane, dei livelli altissimi. Dapprima con le circolari all’interno delle università che invitano a segnalare i professori e gli studenti che parlano contro quello che sta succedendo (basta semplicemente dire la parola guerra) e poi con l’approvazione della legge sulle fake news e sul vilipendio delle forze armate. Questo ha portato il prof Savino a lasciare il paese in cui ha vissuto per 17 anni.

“In questo momento sono sotto processo più di 200 persone con l’accusa di aver infranto questa legge approvata il 4 marzo. Queste persone rischiano da una multa di svariati milioni di rubli a 15 anni di colonia penale. Un giornalista, ad esempio, è stato arrestato perché aveva il cartellino della stampa coperto parzialmente dal giaccone e questo tipo di fermi (in questi giorni ci sono stati 15.000 fermati) spesso si traducono in processi che portano a condanne di arresti fino a 30 giorni oppure a multe. Naturalmente queste sanzioni entrano nella fedina penale delle persone”.

Chi lavora in Russia ogni anno deve ottenere quelli che in Italia vengono chiamati “carichi pendenti” per poi presentarli sul posto di lavoro. Ovviamente chi presenta un certificato in cui vi è resistenza a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata o vilipendio alle forze armate difficilmente riesce a lavorare.

Foto di Rai News

Quanto pesa la propaganda in Russia in una guerra tra “popoli fratelli”

Secondo Savino, la propaganda russa si basa sulla televisione e generalmente funziona se si ha più di 50 anni. La vita per le persone che hanno dai 50 anni in su non è proprio idilliaca, perché non c’è un senso della famiglia così forte così come lo abbiamo in Italia. Spesso la televisione, quindi, fa da sfondo e da accompagnamento. Chi ha sotto i 50 anni consulta Instagram, Facebook, Telegram. Soprattutto Telegram non è, come lo descrivono i media italiani, un mezzo di propaganda russo, ma un mezzo per divulgare notizie che in altri social vengono bloccate. È proprio per questo motivo che l’informazione viene bloccata sui social ed è stato imposto il controllo su ogni tipo di pagina web.

Ciò che accade in alcuni casi da parte delle generazioni più anziane non è un consenso verso Putin o verso l’operazione in sé, ma un “tentativo di chiudersi in sé stessi” per sfuggire al peso emotivo di questa tragedia. Savino non ritiene che vi sia una “national indifference” in Russia, ma piuttosto “un tentativo di ripiegamento in sé”, da parte di alcuni settori della società, per difendersi da una realtà che ritengono ostile e difficile da poter cambiare.

“Credo che questo ripiegamento sia un’eredità dell’età sovietica e degli anni del Grande Terrore, in cui per anni non si parlava nelle famiglie di cosa fosse successo a padri, fratelli e nonni per evitare essenzialmente problemi”.

La guerra Russia-Ucraina si distingue anche perché coinvolge due popoli “fratelli”, ma non in senso figurato. I russi hanno in Ucraina parenti e amici e per gli ucraini la lingua madre è il russo. Noi parliamo della “discesa agli inferi”, come la definisce Savino, non solo dell’Ucraina, ma anche della Russia dove in pochissimi giorni tutte le consuetudini di una parte importante della popolazione sono saltate, i risparmi dei cittadini sono evaporati e dove si parla della possibilità di uno scenario ben peggiore del 1998, quando lo Stato russo dichiarò il default.

Questo fa capire anche come quell’idea di stabilità che Putin aveva sempre propagandato come architrave della propria politica sia stata infranta “dal sogno imperiale di ricostruire la grandezza della Russia”.

Foto di askanews.it

Un’informazione incompleta e una popolazione che paga le scelte della politica

Il professor Giancarlo Anello dell’Università di Parma ha poi interrogato Savino sul consenso dei russi e sulla percezione che questi hanno del conflitto.

Tendenzialmente si tende a far coincidere l’essere russi con un orientamento politico necessariamente filo Putin. In realtà, sono numerose le critiche mosse al suo governo anche attraverso delle manifestazioni. C’è naturalmente anche un settore della società russa che sostiene il presidente e lo fa per una serie di ragioni:

  1. l’idea di stabilità, Putin ha permesso ai russi di uscire dagli anni ’90 e ha risolto le guerre cecene
  2. Putin ha ridato la grandezza sullo scenario internazionale
  3. Se non Putin chi?“, questo è dovuto anche all’aver creato negli anni una competizione elettorale che di fatto non sussiste, non vengono create nemmeno le condizioni per presentare delle candidature.

Alla fine dell’incontro il professor Paolo Ferrandi ha posto poi l’accento sulla poca attenzione prestata nei confronti della versione russa sulla guerra. Un numero impressionante di corrispondenti, da un giorno all’altro, hanno fatto le valigie e sono tornati. L’esempio della Rai è ancora più assurdo, perché gli inviati sono ritornati in Italia e i corrispondenti sono stati costretti a mettersi in ferie. Lo stesso New York Times non aveva mai abbandonato la Russia e adesso lo ha fatto.

Secondo Savino “questo tipo di azioni sono senza precedenti, ma anche parecchio stupide. Non trovo una parola migliore”. Azioni come queste si legano all’iniziativa di Meta, che consente messaggi d’odio contro la Russia o al corso annullato su Dostoevskij all’Università Bicocca.

“Queste azioni offrono degli assist enormi alla propaganda del Cremlino e ostacolano la vita dei russi che vivono in Italia e non vogliono tornare nel loro paese d’origine. Non tutti i russi vogliono la guerra, tanti sono contrari” conclude Savino.

Ciò che è emerso da questo dibattito è quindi l’importanza di affidarsi a fonti attendibili evitando di limitarsi a ricostruzioni eccessivamente generiche e semplicistiche. Il pressappochismo in cui sono caduti vari media, anche italiani, sicuramente non è d’aiuto.

Di fronte ad una tragedia come quella della guerra in Ucraina è fondamentale ricercare le reali cause del conflitto per capire cosa sta accadendo. Schierarsi contro il popolo russo e la sua cultura, come invece sta succedendo in queste settimane, è una risposta puramente emotiva e di nessuna utilità.

di Laura Ruggiero

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