Politica e crisi della rappresentanza: il Diritto si interroga su nuove forme di democrazia partecipativa

Di fronte a una cittadinanza sempre più sospettosa dei suoi rappresentanti, la ricercatrice di diritto costituzionale Maria Francesca De Tullio presenta all'Università di Parma il suo libro “Uguaglianza sostanziale e nuove dimensioni della partecipazione politica"

La democrazia oggi, tra crisi della rappresentanza e sfiducia nella politica (o meglio, nei politici): di questo si è parlato nel secondo incontro del ciclo di seminari “L’Emergenza in Democrazia. La Democrazia in Emergenza. Questioni e problematiche aperte del XXI secolo”, organizzato dalla Cattedra di Diritto Costituzionale dell’Università di Parma.

Ospite dell’incontro è stata Maria Francesca De Tullio, dottoressa di diritto costituzionale presso l’Università Federico II di Napoli, che ha presentato il suo nuovo libro “Uguaglianza sostanziale e nuove dimensioni della partecipazione politica”. A discutere con lei, Elena Scalcon e Riccardo Barletta, rispettivamente dottoranda e dottore di diritto costituzionale presso l’Università di Parma.

Rappresentanza: la garanzia per un’uguaglianza sostanziale

Si respira sempre di più un clima di sfiducia nei confronti dei rappresentanti politici, ormai non considerati più reali interlocutori della democrazia, e un numero crescente di cittadini cerca di mobilitarsi al di fuori dalle istituzioni, ricorrendo a forme di democrazia partecipativa. E la Costituzione italiana difende la struttura rappresentativa tramite l’art. 67, dove si legge chiaramente che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”.

La forza di questo articolo risiede non solo nella possibilità di rappresentare il cittadino, ma anche nel divieto di mandato imperativo, che garantisce che il candidato, una volta eletto, possa agire svincolato da interessi particolaristici di alcuni gruppi. Se da un lato questo è certamente un punto di forza della nostra Costituzione, dall’altro potrebbe suggerire che i rappresentanti siano autorizzati a disattendere le promesse fatte durante la campagna elettorale. “In realtà – come nota la De Tullio – il vincolo di mandato ha una funzione precisa sebbene vada arricchita con altri strumenti: l’articolo 67 ci dice che essi devono perseguire l’interesse generale, che dal primo suffragio universale ad oggi va interpretato come una composizione di conflitti e diritti che richiedono una negoziazione politica”.

In pratica, garantisce un’uguaglianza sostanziale, ovvero inclusione del cittadino nella vita politica. Di fronte perciò al malcontento e alla sfiducia dilaganti nei confronti della classe politica, quello che il diritto propone è sia un rafforzamento del legame tra rappresentanti e rappresentati, sia il perseguimento e realizzazione dell’uguaglianza sostanziale. “Se vogliamo fare ciò – spiega la studiosa- bisogna andare a osservare, soprattutto a livello locale, quelle forme spontanee di democrazia partecipativa, che si caratterizza per forme dialogiche tra istituzione e cittadini/abitanti”.

In linea teorica questo tipo di democrazia supera alcuni limiti di quella diretta, tuttavia, come nel caso del referendum abrogativo, vi sono strumenti incapaci di tutelare le minoranze. Per fare in modo che essa non faccia interessi particolaristici, deve dotarsi di garanzie in senso legale, formale, procedurale, e lo Stato deve favorire forme nuove di aggregazione e mobilitazione non solamente autorizzandole, bensì creando le condizioni ideali per una loro completa realizzazione. E questa passa per un supporto che non si traduce solamente come sostegno economico ma come misura atta a migliorare la trasparenza e i canali di comunicazione.

Nel 2001 entrava in vigore il nuovo art. 118.4: esso ci informava che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà“. Ecco dunque un vincolo di prestazione a carico dello Stato centrale sancito dalla nostra Costituzione.

E-democracy: quando la politica si fa in rete

Mai come negli ultimi due anni ci siamo resi conto delle potenzialità e dei rischi del digitale. “La rete viene percepita – continua la docente – come un mezzo neutrale capace di far esprimere liberamente e tutelare in maniera inclusiva, ma gli stessi codici sorgente dei programmi sono regole. Queste possono limitare i diritti come potenziarli, ma dietro c’è una scelta”. Se infatti l’informazione dipende dalla visibilità, criterio stabilito e fissato con modalità spesso non trasparenti perché l’attuale normativa difende il segreto commerciale, ecco allora che il nostro diritto a informare e a informarci è compromesso. “Il mezzo deve avere la stessa disciplina del fine, dunque internet deve essere reso rispettoso e sicuro con una scelta politica”.

Anche nei social network ci sono dinamiche analoghe. A decretare la visibilità di un post è la popolarità e a decretare la popolarità del post non sempre concorrono elementi soggetti a normative trasparenti. E questo succede perché ci muoviamo ancora in un “grigio normativo” che assicura la libera autodeterminazione a pochi attori della rete che dominano il mercato. Parimenti, dovremmo chiederci se piattaforme di auto-organizzazione politica siano chiare nel comunicare ai propri utenti processi di creazione e regole, in un’ottica bottom-up.

Durante l’emergenza Covid-19, poi, si è vista la necessità di traslare in rete molte delle attività quotidiane, senza che fossero sempre disponibili infrastrutture digitali che garantissero l’uguaglianza sostanziale. Molte criticità, inoltre, sono derivate dall’assenza di una normativa che andasse a tutelare come a promuovere in sicurezza la libera iniziativa, limitando fortemente le potenzialità del digitale.

di Maria Grazia Gentili

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