Orban stravince in Ungheria, il controllo totale sui media ha funzionato ancora

Si pensava che ci sarebbe stato un testa a testa tra il premier uscente e la coalizione di opposizione, ma invece il partito FIDESZ al governo ha migliorato il suo risultato, perdendo però clamorosamente il referendum anti-lgbt

Foto di Il Post

Viktor Orban vince per la quarta volta consecutiva e raggiunge il suo miglior risultato, conquistando il 53,1% dei voti. Nelle scorse settimana, seguendo i sondaggi, si sarebbe pensato a un vero testa a testa tra il premier uscente e la coalizione dell’opposizione “Uniti per l’Ungheria”, ma le urne hanno sorpreso tutti.

L’opposizione era composta da ben sei partiti: LMP (partito verde sincretico), Jobbik (ex partito di estrema destra), DK (democratici), MSZP (socialisti), MOMENTUM (centristi), Parbeszed (partito verde) ed MMM (partito indipendente del candidato unico della coalizione, Marki Zay-Peter). Questa variegata coalizione era partita con l’intento di sconfiggere Orban e riportare la libertà in Ungheria, ma si è fermata ad un deludente 35%, 10 punti in meno del previsto. Ancor più sorprendente è stata l’entrata in parlamento del partito di estrema destra “Mi hazànk”, che è riuscito a superare la soglia di sbarramento del 5%. Un seggio è stato invece conquistato dalla minoranza tedesca in Ungheria.

Ma se i risultati delle elezioni sono stati accolti trionfalmente da FIDESZ, il partito al governo, quelli del referendum sulla legge che vieterebbe la diffusione con i minori di contenuti che promuovono o ritraggono l’omosessualità, non sono stati affatto soddisfacenti. Su 5 milioni di schede, solo il 40% era valido e dunque non è stato superato il quorum necessario. Tra le schede valide, il 96% era a favore di questa legge, mentre il 60% delle restanti schede, considerate non valide, erano bianche oppure riportavano la X sia sul sì che sul no. L’opposizione aveva infatti chiesto di non votare contro la legge, ma di rendere le schede nulle, in modo tale da evitare una possibile vittoria dei favorevoli. I risultati sono stati quindi una notizia positiva per la comunità lgbt in Ungheria, che temeva un’ulteriore limitazione della propria libertà.

Rimane però un grande successo elettorale per Orban Viktor, che migliora il risultato delle elezioni 2018, quando vinse con il 49% dei voti e con un’opposizione frammentata. La domanda sorge allora spontanea, come ha fatto a vincere nuovamente le elezioni e battere l’intera opposizione ungherese? Si tratta solo di carisma e consenso o c’è qualcosa che non stiamo considerando?

Orbán e la strada verso l’autoritarismo

Foto di Reuters

Era il giugno del 1989, quando nella Piazza degli Eroi di Budapest un giovane studente fece un discorso che lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo. Quel giovane ragazzo di 26 anni era Orban Viktor e nel suo discorso chiedeva l’immediato ritiro delle truppe russe dal territorio ungherese. In un momento in cui l’Ungheria stava cercando di liberarsi dalla dominazione sovietica che per anni l’aveva soffocata, il discorso di Orban divenne un simbolo di libertà e coraggio.

Per quasi venti anni Orban rimase coerente con la sua posizione pro-Europa, firmando l’entrata dell’Ungheria nella NATO nel 1999 e attaccando duramente l’invasione della Georgia del 2008. Era l’unico tra i leader europei a non voler mantenere stretti rapporti con la Russia e continuò ad essere contrario ad un riavvicinamento anche quando tornò all’opposizione negli anni 2000. L’allora primo ministro ungherese, il socialista Ferenc Gyurcsány, accolse Putin a Budapest e aumentò la dipendenza energetica del paese nei confronti della Russia.

Quando però Orban venne rieletto nel 2010, tutto cambiò e secondo gli analisti questo fu dovuto ad un incontro tenutosi nel 2009 a Mosca con il presidente Putin. Da allora sembra che il premier ungherese non abbia più criticato il suo omologo russo, diventato un vero e proprio alleato. L’Ungheria negli anni siglò un accordo che prevedeva che la Russia costruisse la centrale nucleare nella cittadina di Paks, inoltre in un suo discorso, Orban definì Cina, Russia e Turchia come modelli da seguire. A quanto pare, questo cambio di schieramento venne consigliato al premier dal direttore della banca nazionale ungherese György Matolcsy, che sosteneva che con la crisi finanziaria del 2008 l’oriente si sarebbe rafforzato ai danni dell’occidente.

Dal suo ritorno al potere, Orban viene quindi considerato un vero e proprio cavallo di Troia di Mosca e ha siglato una serie di accordi economici che fanno sembrare questa alleanza più una questione di profitto a vantaggio di imprenditori vicini al partito di governo, che un’alleanza politica per bilanciare l’occidente con l’oriente.

Le tanto discusse leggi introdotte da Orban

Durante la sua vita politica, Orban si è spostato dal liberalismo a posizioni illiberali e nazionaliste. Nel 2011, l’anno successivo al suo ritorno al potere, introdusse una nuova Costituzione che limitò la libertà di espressione e di stampa, le libertà individuali e indebolì la Corte costituzionale e il potere giudiziario. Suscitò scalpore la legge sulla cittadinanza ungherese concessa anche a coloro che vivono al di fuori del paese, criticata dalla Slovacchia in quanto paese con una forte minoranza magiara. Contestualmente, il nome ufficiale del Paese fu mutato da “Repubblica d’Ungheria” a “Ungheria”, avvalorando le accuse di autoritarismo mosse nei confronti del discusso premier. Vennero inoltre permesse azioni civili per incitamento all’odio rivolte alla comunità di un individuo e in un’altra legge si richiedeva agli studenti la cui istruzione era sovvenzionata dallo Stato di lavorare in Ungheria per un periodo dopo la laurea o rimborsare le loro tasse scolastiche allo Stato. Infine, venne sottolineata l’importanza della famiglia tradizionale.

Nel corso del 2015, Orbán si è distinto invece per posizioni contro l’immigrazione. Durante la crisi migratoria infatti, ha ordinato l’erezione di una barriera al confine con la Serbia per bloccare l’ingresso di immigrati clandestini, in modo che l’Ungheria potesse registrare tutti i migranti che arrivano dalla Serbia, quando in realtà molti di loro venivano respinti. Come altri leader del Gruppo di Visegrád (che comprende Slovacchia, Repubblica Ceca e Polonia), Orbán si oppone a qualsiasi quota obbligatoria a lungo termine dell’UE sulla redistribuzione dei migranti.

Altro dato interessante è che dal 2017, le relazioni dell’Ungheria con l’Ucraina si sono rapidamente deteriorate a causa della questione della minoranza ungherese in Ucraina. Orbán ha ripetutamente criticato la legge sull’istruzione dell’Ucraina del 2017, che rende l’ucraino l’unica lingua di istruzione nelle scuole statali, e ha minacciato di bloccare ulteriormente l’integrazione del paese nella UE e nella NATO fino a quando tale norma non venga modificata o abrogata. Risulta quindi molto probabile che la riluttanza nel approvare nuove sanzioni o nel fornire armi al paese ora invaso dalla Russia, sia dovuta a una specie di vendetta per una vecchia questione mai risolta.

Una legge criticata anche dai suoi stessi sostenitori è quella approvata nel 2018, che introdusse gli straordinari obbligatori, consentendo ai datori di lavoro di ordinare ai dipendenti di svolgere fino a 400 ore di straordinario all’anno e di ritardarne il pagamento anche per tre anni. Durante la pandemia, ha cancellato gli accordi collettivi in vigore, nonché limitato il diritto di sciopero. Il 30 marzo 2020 il parlamento ungherese ha portato all’approvazione della dichiarazione dello stato di emergenza senza limiti di tempo che concede poteri speciali al Primo ministro, con la facoltà di governare per decreto, sospendere il parlamento senza elezioni, e pene detentive per diffusione di notizie false e uscita dalla quarantena.

Nel giugno del 2021, il Parlamento ungherese ha approvato la più discussa legge nella storia del governo di Orban, la cosiddetta legge anti-lgbt, che vieta la condivisione con i minori di qualsiasi contenuto che ritrae o promuova l’omosessualità o il cambio di sesso. La normativa, secondo il partito di governo, mira principalmente a combattere la pedofilia, ma include anche emendamenti che vietano altre forme di rappresentazione di orientamento sessuale oltre alla eterosessualità, nei programmi di educazione sessuale nelle scuole, nei film e nelle pubblicità rivolte agli under 18. La legge era stata contrastata fortemente dall’UE e proprio per questo Orban aveva deciso di dare la parola agli ungheresi, che a quanto pare hanno bocciato l’introduzione di questa legge.

Tutte le leggi elencate sono state approvate soprattutto grazie alla maggioranza assoluta di cui gode Orban nell’Assemblea nazionale ungherese, in cui 133 dei 199 seggi, appartengono a FIDESZ, il partito del Primo ministro. La legge elettorale mista che rende praticamente impossibile qualsiasi azione di dissenso da parte dell’opposizione e dà la possibilità a Orban di approvare qualsiasi tipo di legge, considerando che l’ex Presidente della Repubblica Ader Janos e la neoeletta Novak Katalin, sono da sempre membri fedelissimi di FIDESZ. La Presidente della Repubblica Novak è la prima donna a ricoprire questo incarico in Ungheria, ma è stata definita la “marionetta di Orban” già prima della sua elezione, a differenza di Ader, che si era opposto ad alcuni provvedimenti.

La campagna elettorale, tra propaganda e censura

Foto di Financial Times

Dopo aver vinto per tre volte consecutive le elezioni del 2010, 2014, 2018, Orban si è preparato alle elezioni più difficili nella storia del suo paese. Se infatti negli scorsi anni i suoi unici rivali erano dei partiti che correvano singolarmente e racimolavano al massimo il 20% dei voti, contro il 50% di FIDESZ, da alcuni anni 6 partiti all’opposizione hanno deciso di unirsi contro il nemico comune, per riuscire a liberare il paese dalla morsa autocratica di un governo che dura da ormai 12 anni. Il primo segno di cedimento della supremazia di Orban sugli elettori ungheresi, arrivò alle municipali del 2019, quando l’ecologista Gergely Koracsony, candidato dell’opposizione unita, trionfò a Budapest con il 55% dei voti, battendo contro qualsiasi aspettativa il sindaco uscente di FIDESZ. Da allora la coalizione ha deciso di rimanere unita e lottare per la vittoria delle elezioni 2022, scegliendo un candidato unico attraverso le primarie tenutesi a ottobre. In quell’occasione fu l’indipendente Marki Zay-Peter a trionfare, battendo la vicepresidente del parlamento europeo Klara Dobrev. Da allora Orban ha attivato una durissima campagna propagandistica, che infanga ogni membro dell’opposizione.

Da mesi vengono infatti affissi manifesti denigratori nei confronti dei principali esponenti politici di sinistra, accusandoli di voler far entrare l’Ungheria in guerra contro la Russia, di far aumentare notevolmente l’immigrazione clandestina nel paese e di voler alzare le tasse. Lo stesso Marki-Zay ha però dichiarato che nessun politico fonderebbe la propria campagna elettorale su questi obiettivi. Non ci sono però solo manifesti a influenzare l’opinione dei cittadini, ma anche delle operazioni di propaganda che entrano negli aspetti più semplici della vita di un individuo. Sono apparsi video di promozione del governo anche tra le pubblicità nei video di Youtube o tra le storie di Instagram, piccoli elementi che possono sembrare futili, ma che in realtà catturano l’attenzione dello spettatore e diffondono fake news con maggior facilità ed efficacia. In un paese democratico tutto ciò non accadrebbe, non ci sogneremmo mai di vedere per le strade delle nostre città manifesti del governo in cui viene denigrata l’opposizione, o video-promozioni a favore del governo diffuse sulla tv di stato o sui social network.

Esempio di video-propaganda del partito di governo in formato annuncio su Youtube

Per quanto riguarda la libertà di stampa, la situazione non è affatto rosea. Márki-Zay ha avuto solo 5 minuti di spazio sulla tv pubblica. L’International Press Institute (IPI) ha pubblicato un rapporto sulla “libertà dei media in Ungheria in vista delle elezioni del 2022”. Secondo il rapporto, “il governo del primo ministro Viktor Orbán ha continuato i suoi sforzi per erodere sistematicamente il pluralismo dei media, mettere a tacere ciò che resta della stampa indipendente e manipolare il mercato per rafforzare ulteriormente una narrativa filogovernativa dominante. Per raggiungere questo livello senza precedenti di controllo politico sull’ecosistema dei media del paese, Fidesz ha perseguito il modello più avanzato di acquisizione dei media mai sviluppato all’interno dell’Unione Europea. Il motore di questa cattura mediatica è stata una rete di procuratori: aziende statali e oligarchi vicini al Presidente del Consiglio che hanno acquisito molti dei principali media televisivi, radiofonici e cartacei. Queste acquisizioni sono state spesso agevolate da decisioni normative guidate dalla politica e prestiti da banche controllate dallo stato. Molti media portati sotto la proprietà ungherese sono stati convertiti in portavoce pro-Orbán o chiusi“.

Sembra quindi impossibile per l’opposizione presentare il proprio programma sulle reti nazionali o sui giornali principali. L’unica vera possibilità per esprimersi rimane quella dei social media, che Marki-Zay usa spesso per rispondere agli attacchi fatti dal suo rivale. Tra questi ci sono quelli riguardanti la guerra in Ucraina, un tema molto spinoso per Orban, che sta cercando di cancellare anni di flirt nei confronti di Putin. Il Foreign Policy scrive a riguardo: “Quando Putin ha attaccato l’Ucraina, la posizione dell’Ungheria è rimasta nel caos per circa una settimana. Inizialmente Orbán ha sostenuto le sanzioni, ha chiamato il presidente ucraino Zelensky per offrire supporto e ha fatto entrare i migranti ucraini. L’Ungheria ha rapidamente smesso di bloccare gli sforzi di adesione dell’Ucraina all’UE e alla NATO. Ma dopo una settimana tutto è svanito e il governo Fidesz ha deciso di puntare su un duplice messaggio: pace ed energia a buon mercato“. Il premier ungherese aveva poi fatto un lungo discorso durante la marcia per la pace, in ricordo dei moti liberali di Budapest del 1848 e aveva spiegato: “L’Ungheria deve rimanere fuori dalla guerra perché nessun ungherese dovrebbe mettersi tra l’incudine ucraina e il martello russo. Ed è per questo che ci rifiutiamo di inviare soldati o armi nel teatro di guerra”. Una tattica elettorale mirata ad assicurarsi i voti dei pensionati (preoccupati per le forniture di gas), ma anche una tattica strategica, perché nel caso in cui Putin dovesse risultare vincitore nella guerra in Ucraina, l’Ungheria avrebbe un trattamento speciale in cambio della non interferenza.

Il problema più grande dell’opposizione però non sembrano essere né la propaganda, né la censura, perché le cause del calo di consenso dei partiti di opposizione che va avanti dal 2010 è dovuta ad un evento fondamentale nella storia ungherese, ossia l’őszödi beszéd (discorso di Öszöd), pronunciato nel 2006 da Gyurcsany Ferenc, l’allora primo ministro socialista. In settembre venne diffusa una registrazione audio di una riunione del partito socialista a Balatonoszod, nella quale il premier confessava d’aver deliberatamente nascosto ai cittadini la grave situazione economica del paese e d’aver, conseguentemente, vinto le elezioni di maggio soltanto grazie alle menzogne. La riunione era a porte chiuse e i partecipanti supponevano che nessuno avesse potuto ascoltare cosa fosse stato detto dal premier. Qualcuno invece inviò la registrazione dei discorsi alla radio ungherese e alla maggior parte degli organi d’informazione il 17 settembre. Questo provocò fortissime proteste, soprattutto nella capitale, che il 23 ottobre (anniversario della rivoluzione antisovietica del 1956) venne assediata da migliaia di manifestanti che chiedevano le dimissioni del primo ministro e riuscirono perfino a impadronirsi di un carro armato sovietico guidandolo per le strade principali.

Da allora FIDESZ è diventato il partito più votato dagli ungheresi e continua ad attaccare l’opposizione unita riproponendo la registrazione di quel discorso, portando così a un senso di sfiducia nei confronti degli esponenti politici all’opposizione.

Insomma, Orban può anche contare sul cuore degli ungheresi (come direbbe Salvini), ma dobbiamo capire come sia riuscito effettivamente a conquistarlo, e quel “come” non è affatto rassicurante.

di Gabriele Scarcia

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