L’accoglienza europea funziona: perché non per tutti?

L'immigrazione dei profughi ucraini sta dimostrando quanto funzioni correttamente l'accoglienza negli stati europei, sistema mai dimostratosi così ottimale quando si tratta di migranti mediterranei

Succede che a Palermo una signora si rende disponibile ad ospitare due immigrati dall’Ucraina. Succede che i ragazzi arrivano e vengono direttamente cacciati per il colore della pelle . Succede dunque che i giovani, dopo aver compiuto un lungo viaggio, dopo esser stati forzatamente sfrattati dalle loro case a Kiev a causa della guerra, vengono mal accolti anche nel paese ospitante. Anzi, non vengono proprio accolti.

Per quanto scioccante, la premessa non è così assurda come dovrebbe: in Europa, e quindi in Italia, la sensibilizzazione e l’accoglienza per i profughi ucraini sta registrando attualmente numeri record, mai raggiunti quando si tratta dei flussi migratori provenienti dai paesi mediterranei. Perché se si tratta di ucraini bianchi in fuga dalla guerra l’Italia è pronta a braccia aperte, mentre se differiscono per il colore della pelle risulta più restia?

Il documentarista e giornalista Valerio Nicolosi spiega che “non tutti i profughi sono uguali“: lo testimoniano i 75mila migranti africani che annualmente sbarcano sulle coste italiane, contro i 79mila fuggitivi ucraini entrati in Italia nell’attuale periodo di guerra (con una media di 17mila al giorno). In un solo mese, quindi, il nostro paese ospita un numero di profughi maggiore rispetto all’afflusso di migranti africani che approdano in territorio italiano in un anno.

In questa situazione di emergenza, l’Italia ha saputo dirigere gli aiuti umanitari in modo ottimale e produttivo, ma ciò che lascia perplessi è la discrepanza abissale tra la macchina d’accoglienza in moto per i migranti africani accolti annualmente (più o meno volentieri) e quella dedicata alle persone ucraine arrivate nel nostro territorio.

Sarà perché la situazione in Ucraina ci tocca più da vicino? La risposta è no: il trattamento delle persone non dipende dalla vicinanza geografica, seppur fondamentale per il coinvolgimento europeo negli aiuti diretti. Nei dati precedenti non è considerato un fattore: il carattere razziale e discriminante adottato nei confronti di fuggitivi ucraini di colore.

Sono stati denunciati vari casi in cui lo slogan prima gli ucraini veniva utilizzato come criterio di selezione per salvare coloro che – nell’immaginario comune – sono i veri ucraini: pelle bianca, capelli biondi, occhi chiari. Così, donne e bambini di colore sono stati costretti a dare la precedenza a categorie di persone che non ne avevano la precedenza per la lista di “priorità” applicata in frontiera (avanti i bambini, le donne, e poi agli altri). É dunque tutta una questione razziale?

In realtà c’è tanto altro dietro: c’è un maggior coinvolgimento verso la guerra in atto da un mese a questa parte, sia per la vicinanza che per l’importanza degli stati coinvolti nel conflitto. C’è una differenza mediatica legata allo scontro stesso: più propaganda porta più attenzione. C’è una sensibilizzazione agli orrori della guerra senza precedenti. C’è paura di un possibile conflitto più esteso, che promuove l’aiuto alle vittime. E in risposta, l’Europa non può fare altro che assistere gli espatriati.

Eppure non è solo una questione di percezione. L’entrata degli ucraini nel territorio europeo prevede un processo di accoglienza più facilitato rispetto a quello riservato agli immigrati mediterranei. Il Dpcm firmato dai capi dello stato dell’UE, come lo stesso Mario Draghi, promuove in tutta l’Unione Europea lo stanziamento di contributi pari a 300 euro per ogni profugo, 150 se minore, con annesso permesso di soggiorno prorogabile.

Gli ucraini vengono quindi supportati dall’assistenza di ciascun Paese: l’Italia, per esempio, ha proposto due vie. La prima opzione prevede l’accesso per i profughi ai servizi dello Stato, accreditando 33 euro a profugo e offrendo percorsi di integrazione. Il secondo percorso permette ai migranti di trovarsi una sistemazione autonomamente, con la sicurezza di ottenere l’aiuto finanziario dello Stato. In questo modo l’UE si propone di restituire ai fuggitivi una vaga sensazione di casa, quella stessa casa che hanno forzatamente perduto.

Una mano tesa da parte dell’UE, che cambia modalità per gli immigrati oltremare. Infatti, tutti coloro che oltrepassano il Mediterraneo hanno sempre avuto un processo più lungo e complicato per la salvezza. Forse perché non si vede alcun tipo di emergenza nei loro espatri, o forse perché viene sminuita la situazione al di là del mare. Proprio come vengono sminuiti e denigrati gli espatriati.

Il processo di accettazione delle persone di colore in Italia risulta infatti molto più laborioso, stancante e inconcludente, come una perenne corsa a ostacoli: i migranti vengono trasferiti in centri governativi dove verranno assistiti e identificati, devono successivamente passare per i Centri di prima accoglienza nei quali si differenziano i richiedenti d’asilo dai non, per poi procedere con il sistema di accoglienza e integrazione (Sai). I vari step prospettano di integrare o espellere l’individuo in un paio di settimane, mentre nella realtà il processo è più prolisso di quello che sembra, sia per il numero di richiedenti d’asilo, che per la mancanza di infrastrutture al passo.

Come possono apparire sulla carta così differenti due situazioni di emergenza, se hanno la stessa base fondante? Nel suo podcast, Valerio Nicolosi propone una frase che riassume il sentimento comune: “Colore e usanze diverse, basta questo per sentirsi distanti”.

Tutti i giorni social, televisione, scuole non fanno altro che ricordarci gli orrori della guerra in atto. Persone comuni a cui è stata negata la vita quotidiana, gente forzata a trovare riparo altrove. I mezzi di comunicazione danno voce agli sfollati, consentendo loro – o a chi per loro- di raccontare la propria storia, permettendo a tutti di sentirsi più vicini alle vittime. I media sono iconici in questo senso perché riescono a garantire un maggior coinvolgimento e una crescente fratellanza verso il popolo anche grazie al supporto di immagini e video.

Ed è a questo meccanismo che si deve un comune senso di gemellaggio verso una popolazione che vediamo simile alla nostra. A partire dalla sensibilizzazione al tema, si crea un effetto a catena: più interessamento porta a più rappresentanza da parte dell’opinione pubblica, una maggior considerazione aumenta le iniziative volte a favore degli ucraini e della loro nazione.

Così, la via per l’accoglienza diventa sempre più funzionale ed efficiente, perché la gente ha voglia di supportare i fuggitivi ucraini. L’apporto economico è di conseguenza più consistente e generoso, in modo tale da consentire un’integrazione al massimo delle possibilità.

Ma è proprio quando si è inconsapevoli della storia personale dei richiedenti asilo che si è più restii nell’aiuto. Se, per esempio, gli scontri etnici in Burkina Faso o la guerra civile in Libia fossero più mediatizzati, le popolazioni occidentali si dimostrerebbero meno contrarie a permettere ai fuggitivi di colore di sbarcare in uno dei nostri porti; sebbene non si tratti solo di ignoranza, ma anche e soprattutto della visione distorta degli immigrati.

Gli stereotipi giocano un ruolo fondamentale perché etichettano a priori una categoria di persone in modo negativo senza dar loro possibilità di smentire tali caratteristiche. La speranza è che la carica con cui si sta fronteggiando l’accoglienza ucraina possa in qualche modo diffondersi ad altri tipi di accoglienze.

di Annachiara Magenta

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