La sfida dell’ambientalismo nei videogiochi

Il mondo del gaming corre verso l'obiettivo della sostenibilità e si dimostra un valido alleato per insegnare ai più giovani, ma non solo, il rispetto dell'ambiente e di tutte le forme di vita

I videogiochi sono sicuramente fra i media più discussi degli ultimi trent’anni. Fra articoli al vetriolo e denunce da parte dell’associazioni e dei garanti dei genitori, anche in Italia i Pokemon, Super Mario, Trevor Phillips, Kratos e compagnia bella hanno provocato un cambiamento socioculturale che ha molto infastidito alcune famiglie e soprattutto le fasce più estreme fra i conservatori della nostra società.

Accusati infatti di aver corrotto i giovani, di esporre gli studenti a stili di vita criminosi e recentemente di essere persino la “Cocaina delle giovani generazioni” – tale tesi, sostenuta da Andrea Cangini al TG1, senatore di Forza Italia e promulgatore di una proposta di legge che equipara il web e i videogiochi alla droga, qualche giorno fa ha dato molto fastidio agli esperti e agli appassionati del settore del nostro paese – i videogiochi sono in realtà probabilmente il prodotto di massa che ha avuto il maggior impatto economico e culturale all’interno delle nostre società globali dai tempi delle prime proiezioni cinematografiche di inizio ‘900. Nemmeno il successo della televisione ha avuto infatti la stessa importanza mediatica ed è stata osteggiata ugualmentedalle famiglie, per quanto alcuni nostalgici possano sostenere come in alcunenazioni, tra cui l’Italia, le reti nazionali abbiano contribuito a rendere unita e istruita buona parte della popolazione.

Da oltre trent’anni infatti, ovvero dall’ultima e unica crisi del settore nota come “Atari Shock”e che coinvolse nel 1983 l’allora maggiore produttore di console al mondo, il successo dei videogiochi sembra crescere senza temere alcuna “minaccia esterna” o provocazione lanciata da critici fin troppo diffidenti e pignoli. Neppure l’attuale guerra in Ucraina o la pandemia da Covid-19 sono riusciti a rallentare le vendite e la produzione di software, sintomo di un mercato ancora in espansione e che riesce a sostenersi, per quanto i costi di produzione di alcuni titoli siano schizzati alle stelle. E per quanto il problema dell’approvvigionamento e costruzione degli hardware possa risultare al momento il maggior ostacolo – anche ambientale – che devono affrontare le varie compagnie (Microsoft, Sony e Nintendo) per sostenere la loro industria, in uno scenario di crisi produttiva indotta dalle difficoltà di fabbricazione dei chip, il futuro del gaming è già realtà con i servizi di abbonamento stile Stadia o Microsoft Game Pass, che permettono a qualsiasi giocatore dotato di uno schermo di vivere le avventure dei suoi svariati avatar assieme ai propri amici.

Visto che il successo di questo media sembra inarrestabile e proprio in queste settimane titoli come Elden Ring raggiungono guadagni stellari, con oltre quindici milioni di copie vendute in poco più di un mese, sembra però doveroso chiedersi come questo mercato affronti le sue responsabilità, soprattutto per quanto riguarda la sfera sociale ed ambientale, quelle principalmente coinvolte nel processo di produzione, trasporto ed utilizzo dei videogiochi.

Ovviamente i dati in nostro possesso sono in alcuni punti lacunosi, in quanto – per esempio – nessuna software house o compagnia comunica il costo energetico necessario per alimentare gli studi di produzione che ideano e sviluppano un videogioco. Conosciamo i consumi energetici di alcune consolee gli sforzi di alcune compagnie di rendere i loro prodotti sempre più eco-compatibili. Già il semplice abbandono progressivo delle versioni fisiche dei videogiochi, con il risparmio energetico legato al non dover più produrre dischi, confezioni e plastiche inquinanti, è un esempio nobile che ci permette di capire verso dove si muove l’industria.

Parola d’ordine: sostenibilità

Per quanto produrre e giocare sia ancora oggi un processo lento e costoso, sempre più opzioni all’interno delle console permettono agli utenti di risparmiare e di controllare quanta energia consumano, durante le loro sessioni di gioco. Per esempio, mentre prima le console erano sprovviste di modalità che prevedessero un concreto risparmio energetico, sfruttando lo standby in maniera oculata e intelligente, a partire dalla PS4 e dalla Xbox One per poi arrivare all’attuale generazione di console, la Sony e la Microsoft si sono impegnate molto per limitare il consumo energetico dei loro processori. Soprattutto messe a confronto con i PC di alta fascia con cui giocano i giocatori da “scrivania”, Playstation e Xbox sono meno energivore e spingono gli utenti a spegnere le console al termine del loro utilizzo in salotto. Gli ultimi modelli tra l’altro di default spingono gli utenti a far entrare le console in standby dopo 8 o 10 minuti di inutilizzo. Opzione che è possibile bypassare facilmente, ma che dimostra la sensibilità delle aziende nell’educare gli utenti a consumare energia in maniera intelligente.

Considerando poi però i costi economici ed energetici, quanto consumano ufficialmente le varie console? Ecco un po’ di dati. La Playstation 5 versione disco consuma tra 160 e 220 watt all’ora quando gioca a pieno regime. Valori leggermente inferiori si applicano alla Xbox Series X, che al suo picco consuma circa 200 watt. Ricordiamo che i modelli di queste due console rappresentano il top di gamma del mercato, ma che esistono anche modelli meno costosi e che hanno un impatto energetico minore. PS4 e Xbox One consumano rispettivamente 137 e 112 watt all’ora, mentre Nintendo Switch ha un picco di consumo (29 watt) con i titoli più mastodontici della sua libreria, quando è connessa ad un televisore.

Con due ore di gioco al giorno, un utente console spende dai 10 ai 45 euro all’anno di energia. Una quantità notevole di elettricità, è vero, ma basta pensare che in media un italiano spende 1500 euro di benzina per i trasporti, con picchi di 3200 euro in alcune regioni, con un maggior rilascio di CO2 e gas serra. Un confronto fra differenti tipologie di consumo energetico può farci rendere conto come forse sarebbe meglio “viaggiare” con la fantasia, rispetto a prendere abitualmente la macchina per andare acompiere il classico viaggio on the road di primavera – consumo di carbonio che bisogna moltiplicare svariate volte, quando si sceglie di viaggiare con l’aereo. Di questo confronto se ne è parlato tanto durante i primi mesi più della pandemia nel 2020, con le compagnie di videogiochi che consigliavano ai propri utenti di restare a casa durante l’estate e magari di visitare l’Egitto o l’Antica Grecia attraverso videogiochi che mettano a disposizione i loro paesaggi come i vari Assassin’s Creed, rispetto a optare su viaggi di lunga percorrenza, che tra l’altro mettevano a rischio la salute della popolazione.

Ritornando a questioni di sostenibilità, in confronto alle varie console il consumo energetico dei PC e dei portatili è maggiore e si traduce in circa 250 euro annuali in più sulla bolletta, esaminando solo i momenti in cui lo schermo viene lasciato in pausa e il sistema non tocca i suoi momenti maggiormente energivori. Considerando infatti un computer dalle caratteristiche medie che lavora 24 ore su 24 in maniera intensiva, la sua influenza nella bolletta sale vertiginosamente.  Per questa ragione molti uffici in oriente hanno pensato di riconsiderare i mezzi tecnologici messi a disposizione ai lavoratori e di non cambiare i loro vecchi PC con modelli più recenti, riconvertendo i processori e le schede RAM delle vecchie console di penultima generazione, per fornire hardware sufficientemente potenti ma non troppo dispendiosi energeticamente, tanto da non creare un gap economico all’aziende. 

Siamo a conoscenza inoltre del fatto che produrre copie fisiche dei videogiochi più venduti sta diventando via via una spesa che sia gamer che sviluppatori intendono sacrificare. Produrre una copia fisica di un videogioco crea infatti in media circa 0,39 grammi di CO2 per custodia e disco, un numero che visto così sembra ridicolo, ma che se messo in prospettiva rispetto al numero di copie dei titoli più amati – per esempio GTA 5 ha venduto 155 milioni di copie, di cui poco più della metà in versione digitale – diventa colossale. Si parla di migliaia di tonnellate di gas serra nell’arco di una generazione e di milioni di euro in plastiche e trasporto che potrebbero essere investiti altrove. Per questa ragione, a partire dal 2012, il netto calo delle vendite retail -accompagnato da politiche di vendita aggressive che spingevano verso il digitale – ha permesso al mercato videoludico di trovare maggiori acquirenti, di divenire il principale mercato del settore tecnologico e di ridurre il consumo energetico prodotto dalla produzione e dal trasporto dei dischi.

Immagine tratta da Assassin’s Creed Origins, uno dei giochi che durante la pandemia ha dimostrato come fosse possibile viaggiare in luoghi esotici attraverso i videogiochi

Con tutta questa innovazione e le informazioni che abbiamo finora elencato, dunque è giusto asserire che il mercato videoludico sta navigando verso acque più sostenibili? In realtà non possiamo esserne convinti del tutto. Per prima cosa il trasporto delle copie fisiche per quanto ridotto è ancora presente e incide pesantemente sull’impronta ecologica delle software house e dei videogiocatori. Anche qualora però scomparissero del tutto, esistono costi ancora più importanti che rendono questo hobby tra i più inquinanti del pianeta. Per prima cosa, il consumo delle batterie dei cellulari causa un enorme problema ambientale anno dopo anno. E per quanto non si può assegnare la colpa di tale consumo esclusivamente ai giochi scaricati su nostri smartphone, bisogna ricordare che i videogiochi sono (1) tra i programmi scaricati più energivori presenti sulle piattaforme virtuali e (2) tra quelli più usati, assieme ai social network, dalla massa di utenti meno responsabilizzata in campo tecnologico che si conosca, ovvero quella dei ragazzini, dei Boomers sessantenni e dei bambini.

Milioni di cellulari e console portatili ogni anno bisognano di nuove batterie perché durante i dodici mesi i loro possessori dedicano ore ed ore al gioco, con il risultato che la potenziale durata dello smartphone si dimezza.Per capire la grandezza del problema, si pensi che solo nel 2022 si riusciranno a riciclare 200.000 tonnellate di batterie a litio e che nel 2025 si raggiungeranno le 400.000 tonnellate. Badate bene che stiamo parlando solo di quelle batterie che vengono effettivamente riciclate e rimesse sul mercato. Un numero enorme di batterie non riesce ad entrare in questa nobile filiera e il mercato dei videogiochi mobile dovrà sicuramente prendere una posizione molto più marcata su tale problema. Oggi la responsabilità e il costo ricade infatti solo sugli acquirenti e sulle aziende che producono cellulari come Samsung o Apple, ma è stato già dimostrato come sia possibile produrre software che inducano un limitato consumo energetico da parte delle batterie. Campione di questa filosofia è la Nintendo, che attraverso la sua Switch in modalità portatile e le svariate versioni del Nintendo DS ha da sempre giocato in anticipo, puntando sul risparmio energetico e per non spingere agli utenti ad un eccesivo ricambio delle batterie. 

Un altro punto delicato del medium è il costo energetico del mantenimento dei server utilizzati per i giochi online. Un problema enorme, visto che questi giochi necessitano di un continuo flusso di dati, in alcuni casi di server dedicati per regioni, di costante energia ed aggiornamenti. Si prevede che i costi di gestione, manutenzione, sicurezza e configurazione giungerà a costare miliardi di dollari per l’intero mercato videoludico entro il 2025, ma visti i ricavi online derivanti da questa tipologia di giochi il costo non è equiparabile neanche lontanamente ai guadagni. Dunque l’unico limite al mantenimento di questi server sarebbe la sostenibilità ecologica di questi impianti, che assorbono moltissima energia.

Una risposta potrebbe venire dall’applicazioni di pannelli solari e centrali eoliche nei pressi dei principali server, ma vista le attuali limitatezze tecniche di queste tecnologie, che difficilmente riescono a inserirsi all’intesto di un contesto urbano, per limitare i costi e garantire una maggiore sostenibilità ai loro server, allora le aziende hanno deciso di puntare alla differenziazione dell’utilizzo delle loro tecnologie.

Proprio per garantire la massima diffusione dei loro servizi, le grosse compagnie come Microsoft hanno iniziato a sfruttare i loro server non solo per sostenere i giochi online, ma anche per fornire strumenti di streaming, di geolocalizzazione diretta, di elaborazione dati. In poche parole le aziende non tendono più a edificare nuovi server solo per mantenere i titoli multiplayer, ma affiancano a queste tecnologie nuovi servizi che possano ridurre notevolmente i costi di gestione. Ormai buona parte dei server del mondo ha al suo interno parti di memoria che gestiscono servizi molto diverse fra di loro. Il problema del mining delle criptovalute ha in buona parte invertito la tendenza, inducendo un aumento delle emissioni prodotte dal processo di condivisione della potenza di calcolo degli hardware dei partecipanti di una rete, però con il sequestro di migliaia di macchine per il mining illegalinegli ultimi anni in Cina e con le proposte di legge contro questa pratica in UE e USA, probabilmente in futuro il fenomeno così come è stato osservato finora si regolamenterà, seguendo la lotta contro l’aumento dell’eccessivo consumo di carbonio. Anche perché essere più eco-friendly dona un vantaggio economico e commerciale, permettendo alle aziende di convincere sempre più numerosi acquirenti sensibili.

Scena di Horizon Forbidden West, avente protagonista Aloy, una nostra discendente nata attorno al 3021 che ha come missione principale quella di difendere la natura

Non solo tecnologie, anche storie

Un altro quesito principale dell’ambientalismo degli ultimi decenni è come insegnare le principali regole della sostenibilità ambientale ai più giovani. L’educazione ambientale non a caso è divenuta all’interno delle nostre scuole una disciplina meritevole di far parte delle materie scolastiche solo molto recentemente, dopo il successo delle manifestazioni dei Fridays for Future e del confronto politico su questi temi. Mentre però l’istituzione scolastica permette di definire meglio le leggi biologiche e quali siano i concetti che ci permettono di valutare un determinato comportamento come giusto o sbagliato, anche sotto il profilo ambientale, i mezzi dell’intrattenimento hanno il grande potere di educare al sentimento e di far scatenare le emozioni che sono necessari per far assimilare quei concetti ad un livello più profondo.

Per questa ragione, già da parecchi anni, il mondo videoludico ha cominciato a proporre sempre un maggior numero di storie che coinvolgessero i videogiocatori e li spingessero a domandarsi cosa potessero fare per migliorare la situazione. In maniera completamente opposta a come asserivano gli articoli di qualche anno fa e le odirne proposte di legge, i videogiochi alla fine hanno indotto moltissimi giocatori ad appassionarsi a tematiche nobili, a mettersi in gioco pur di rispettare i limiti inerenti alle emissioni e le altre questioni ambientali. Moltissimi psicologi e pedagogisti hanno collaborato in questi anni assieme agli sviluppatori e hanno attestato come il medium videoludico sia tra i migliori, per rendere partecipi i ragazzi di moltissime questioni come la perdita della biodiversità, l’inquinamento dei mari e il pericolo rappresentato dalla sovrappopolazione, senza che questi soffrano di ansia o sviluppino una repulsione a questi problemi.

Secondo determinati studi, capire il climate change attraverso i videogiochi è stato molto più facile rispetto ad affrontare intere ore di lezioni specifiche. E secondo alcune esperienze dirette di chi scrive, per i ragazzi di scuola media è stato molto più semplice appassionarsi alla biologia o alla ecologia marina attraverso giochi come Subnautica, rispetto alle visioni di documentari che seppur corretti sotto il profilo scientifico risultavano meno coinvolgenti, per quella fascia d’età. Per questa seria di ragioni oggi giorno in moltissimi progetti di Citizen Science che hanno come scopo l’osservazione e la tutela della Natura, l’uso e la creazione del videogioco come mezzo di apprendimento viene suggerito dagli stessi scienziati, per sopperire alle mancanze educative dei principali metodi d’insegnamento scientifico d’uso nel contesto scolastico standard. 

Volendo però prendere un esempio per descrivere al meglio la potenza del medium videoludico e dimostrare come sia possibile fare cultura e trattare di questioni ambientali tramite un videogioco, da qui in avanti illustrerò il caso della serie videoludica Horizon di Guerrilla Games, che ha come protagonista Aloy, una nostra discendente del 3000, coinvolta in una guerra contro una forma di cambiamento climatico che non sbaglierei a definire come apocalittico.

La potenza e la bellezza della storia di Aloy ha suscitato molto credito da parte dei videogiocatori più attenti alle tematiche ambientali e si spera che in futuro sempre più software house prenderanno spunto da Horizon per proporre un maggior numero di storie che abbiano come focus della trama proprio l’ambientalismo recondito che è nascosto in ognuno di noi.

Lotti per sopravvivere, giochi per comprendere

La saga sviluppata da Guerrilla Games attualmente consta di due titoli principali: Horizon Zero Dawn, uscito nel 2017, e Horizon Forbidden West, uscito lo scorso 18 febbraio. L’ambientazione futuristica di entrambi i giochi è forse la caratteristica più peculiare di tutto il franchise. Tra mille anni nel futuro, la società umana è regredita ad uno stato semi-primordiale, con la civiltà degli Stati Uniti che di fatto è tornata ad una condizione pre-industriale, dove le popolazioni si suddividono in tribù. Gran parte della nostra tecnologia, come vetture, case farmaceutiche, internet, armi e tutto quello che definiremmo come moderno, è ormai caduto in disuso e l’umanità ha dimenticato sia come produrre ex nuove queste tecnologie sia le proprie origini e la storia.

Il mondo di Horizon è una sorta di distopia apocalittica, dove in breve l’umanità ha perso gran parte dei comfort moderni ed è tornata ad una civiltà di cacciatori raccoglitori o di primissimi artigiani. Visto con l’occhio critico di un antropologo (svariati di essi hanno aiutato Guerrilla nell’ideare le varie culture di cui è composta il mondo di gioco), i vari popoli ricordano gli antichi abitanti della Mesopotamia o gli indios americani che sono stati sterminati da Cortes durante le guerre di colonizzazione spagnola in centro America. Aloy è una ragazza neppure ventenne, appartenente ad una di queste tribù, ma c’è qualcos’altro che si nasconde nello scenario immaginato dagli sviluppatori di Guerrilla per la protagonista.

Il mondo di Horizon infatti, per quanto regredito ad una condizione ante industriale, conserva di fatto alcune testimonianze del passato (che per noi giocatori continuano ad essere tracce del nostro imminente futuro). Le valli, le montagne, i boschi e i deserti invero sono abitati non soltanto da piante e dai classici animali che conosciamo, ma anche da creature digitali e robotiche che hanno lo scopo di aiutare la natura a ripristinare una omeostasi planetaria, che consenta al pianeta di ristabilirsi dagli eventi nefasti di una apocalisse climatica e biologica, che noi potremmo definire come la conseguenza più diretta dell’Antropocene.

Nella vita reale, piante e animali rischiano ogni giorno di estinguersi a causa dell’eccessivo impatto antropico che possiedono i nostri elevati standard di vita. Con Antropocene gli esperti definiscono l’epoca geologica in cui molti dei cambiamenti biologici e climatici che sembrano colpire la Biosfera e la Litosfera sono direttamente prodotti dall’uomo. Mentre però una classica lezione di ecologia esprime le conseguenze del nostro comportamento, inducendo le persone a temere l’estinzione di massa che sembra colpire il pianeta o a scegliere mezzi di trasporto alternativi ai veicoli a benzina, in Horizon gli sviluppatori mettono di fronte al giocatore un mondo già collassato per colpa dei cattivi comportamenti e delle scelte svolti da noi esseri umani di oggi.

Per quanto si tratti sempre di un gioco fantasy con un marcato contesto fantascientifico, Horizon racconta gli errori del nostro tempo in fatto di clima, conservazione della natura, gestione politica delle risorse e miopia delle istituzioni. Nella lore del gioco infatti, il giocatore – sempre attraverso le lenti di Aloy – scopre per esempio che nel ventunesimo secolo le nazioni hanno trasferito le responsabilità economiche, scientifiche e politiche della protezione e gestione della natura ai privati, con tremende conseguenze, visto che la fine del mondo, che nel gioco avviene nel 2064, accade proprio per colpa di quelle aziende che avrebbero dovuto risolvere “la questione climatica e ambientale che dava il via alle guerre”. Un gioco che si prefigura a divenire in qualche modo profetico, visto come le risorse naturali vengano già sempre più affidate alle grosse compagnie private e le guerre vengono sempre più dichiarate per colpa di crisi energetiche e ambientali, che sono in un certo modo collegate alla questione climatica.

Aloy esplora il suo mondo, permettendo al giocatore di assimilare tutti i principi base dell’ambientalismo attivo (Riciclo, Risparmio, Resilienza, Razionalizzazione, Recupero) e il rispetto nei confronti di tutte le creature viventi, finché il sentimento biofilonon si radica del tutto in chi ha il controllo della protagonista e instaura una forma di immedesimazione con la sorte dei nostri reali discendenti, che vivranno probabilmente vite non molto dissimili da quella di Aloy, se continueremo a sperperare le risorse e ad inquinare il mondo come stiamo facendo attualmente.

La forza di Horizon però non si limita a questo. Come detto, la tecnologia del mondo di Aloy non è solo colei che ha arrecato il danno, ma anche parte della soluzione al problema.

Come nella vita reale, da una parte la tecnologia del mondo di Horizon (rappresentata dalle creature robotiche zoomorfi che vagano per i vasti territori degli Stati Uniti) ci racconta come l’industrializzazione massiva della società umana abbia degradato la biosfera al tal punto da estinguere buona parte di tutte le specie viventi. Dall’altra però responsabilizza l’uomo, in quanto ciascuna macchina, per quanto possente, è sempre il prodotto di una mente umana e compie le funzioni che gli umani hanno imposto ai loro circuiti. In breve, macchine come pianti e animali, non hanno una coscienza individuale e storica e quando non compiono il loro dovere o arrecano danno all’ambiente, di certo non è colpa loro se il danno rischia di estinguere nuovamente le specie viventi. È l’uomo l’origine del problema ed è l’uomo – in questo caso impersonato dall’eroina Aloy – ad avere il compito di guarire il pianeta, sistemare le macchine, evolvere la tecnologia affinché sia sempre più sostenibile e insegnare alle altre civiltà (magari meno sensibili al tema ambientale) a portare maggiore rispetto nei confronti della natura e a seguire comportamenti più virtuosi e sostenibili.

Questa missione, questo sentimento ambientalista che pervade la protagonista, anche perché l’unica a riconoscere i segni e gli errori commessi dall’umanità nel passato, si trasmette in maniera così abile nella mente del giocatore tanto da indurre moltissimi insegnanti di scienze ed educazione ambientale nell’introdurre questi titoli all’interno delle discussioni con i propri discenti. I giochi di Horizon sono un modo molto semplice con cui introdurre giovani e meno giovani alle tematiche ambientali e assieme alla visione di un film come Avatar del 2009 sono i migliori stimoli che l’industria dell’intrattenimento poteva offrire per sostener attivamente le politiche ambientaliste degli esperti.

Aloy in breve tempo è divenuta una icona di stile, femminilità, di cultura e di lotta contro coloro che continuano a sostenere che non esiste il cambiamento climatico o che l’uomo non ha responsabilità in esso. Tanto che lo scorso febbraio, proprio per annunciare il ritorno di Aloy nelle console con l’uscita del seguito, la rivista Vanity Fair Italia ha celebrato l’eroina, dedicandone la copertina del 18 febbraio.

Aloy come Greta Thunberg o Madonna, insomma… per quanto un personaggio inventato abbia sicuramente meno rilievo rispetto ad una vera attivista coinvolta nella lotta contro il cambiamento climatico e per limitare lo strapotere delle aziende che gestiscono mangimi, concimi industriali e petrolio. Con l’introduzione però di personaggi così tanto caratterizzati nei confronti di questa lotta per la nostra sopravvivenza e di storie marcatamente green, l’industria videoludica si è espressa, esponendosi a supporto di un ambientalismo diffuso che preveda la convivenza di uomini, ambienti naturali e moderne tecnologie. Speriamo solo che l’esempio di Horizon non si perda nel tempo e nelle maree di produzioni che escono ogni anno e che soprattutto coloro che hanno intrapreso un cammino ambientalista grazie a questi titoli si lasci trasportare da future iniziative a sostegno della natura, praticando i comportamenti corretti che ha visto praticare nel corso della vita, sia da un personaggio di fantasia sia da esempi più concreti, come parenti, amici, educatori.

La strada verso una sostenibilità ambientale della nostra società è ancora irta di ostacoli, ma anche un semplice gioco può far compiere un primo passo verso uno stile di vita più sano e migliore.

di Aurelio Sanguinetti

Questo articolo è stato realizzato per la rubrica Comunicare la scienza, realizzata in collaborazione con gli studenti del Master Cose dell’Università degli studi di Parma

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